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BCE e Fed: quali scenari futuri per la politica monetaria? L’intervista a Alessio Emanuele Biondo
mercoledì 7 ottobre 2015, di
Forexinfo intervista Alessio Emanuele Biondo, docente di International Economic and Financial Policy presso la Laurea Magistrale in Finanza Aziendale dell’Università degli Studi di Catania.
Queste sono settimane decisive per la politica monetaria degli Stati Uniti e dell’Eurozona. L’attenzione dei mercati finanziari internazionali è ad oggi rivolta alle prossime scelte della Federal Reserve e della Banca Centrale Europea.
Sono attese decisioni determinanti per le economie mondiali in un contesto congiunturale caratterizzato dal rallentamento della crescita globale.
Con il Professor Biondo facciamo il punto sullo stato attuale delle politiche delle banche centrali più significative per la coppia di valute euro-dollaro.
1) Professore, partiamo dalla BCE. In occasione dell’intervento presso il Global Citizen Awards a New York, Mario Draghi ha dichiarato che nell’Eurozona è tornata “una crescita sostenuta, sotto l’impulso della nostra politica monetaria”. Cosa ne pensa della politica della BCE? Dal suo punto di vista sta funzionando?
La politica monetaria all’interno dell’Eurozona è costellata di problemi che risalgono all’identificazione degli attributi di ottimalità dell’area valutaria costituita dall’area Euro.
È mia opinione che il Presidente Draghi abbia condotto una politica monetaria molto adeguata ai periodi della crisi che abbiamo vissuto, mentre non sono altrettanto compiacente nei confronti delle modalità con cui il settore bancario ha giocato le sue carte, talvolta correndo il rischio di vanificare dei risultati che si stanno iniziando ad apprezzare, ma che sarebbero stati possibili già precedentemente. Mi pare chiaro che la BCE abbia mostrato sotto la guida di Draghi le capacità che si speravano non solo nell’affrontare la crisi e nel sostenere un profilo rasserenante sulle aspettative (mi riferisco all’importante ruolo di bilanciamento tenuto in occasione del sostegno dato ai Paesi in difficoltà), ma anche nel sintetizzare qualche antidoto efficace per contrastare dei comportamenti non necessariamente collaborativi tenuti da anelli più a valle della catena.
2) Christine Lagarde, direttore generale del FMI, ha definito il “do whatever it takes” di Mario Draghi come la formula di successo che le banche centrali hanno il dovere di applicare in casi di necessità. La disponibilità all’espansione del piano di QE da Francoforte c’è, ma quale sarà secondo lei la prossima mossa della BCE?
Personalmente vedrei con sorpresa delle condotte che non fossero votate a sostenere in ritrovato clima fiducia, in espansione, ma ancora cauto e a rendere sempre più coerente il comportamento di policy con un intento concreto di favorire la ripresa economica. Penso che parlare di doveri nelle scelte di policy sia culturalmente affascinante. Tuttavia, mi risulta che la fermezza delle posizioni e la coerenza temporale, più che doveri da stigmatizzare come novità, siano ingredienti tanto noti quanto sacrosanti nella condotta di un banchiere centrale. Che Draghi abbia cambiato il corso dell’evoluzione dello spread sul debito pubblico italiano con una frase è noto. Che abbia fatto bene è ovvio. Che il mercato ne avesse bisogno perché preda di incosciente panico su cui alcuni hanno anche guadagnato, è segno che ci sarebbero importanti modifiche da fare al sistema finanziario internazionale, di cui si parla sempre mentre la crisi è in atto e che vanno sistematicamente a finire nell’ultimo cassetto dei ricordi, quando si naviga a gonfie vele. Voglio dire cose note, nulla di rivoluzionario: le decisioni comportamentali sui mercati finanziari sono troppo staccate dai valori reali che i titoli rappresentano. Questo è già drammaticamente noto per i titoli privati; purtroppo comincia a diventare vero anche per i titoli pubblici. Che si dia a delle agenzie di rating la possibilità di esprimere valutazioni sui debiti sovrani e che questi siano interpretati come se fossero azioni di una società (che corrisponderebbe allo Stato) è ideologicamente inaccettabile, costituzionalmente improprio ed economicamente pericoloso.
3) Le tempistiche nelle decisioni di politica monetaria sono fondamentali. Se è vero che serve un euro debole per rimettere in moto l’Eurozona e favorire le esportazioni, quale futuro vede per la moneta unica?
Intanto vorrei precisare che l’Euro debole (pur potendo avere un ruolo positivo nella determinazione delle partite correnti dell’Eurozona) non debba essere considerato la soluzione unica. L’Europa ha bisogno di innovazione e riforme sociali, in favore di lavoro e produttività e, prima ancora, l’Europa ha bisogno di capire cosa vuole fare da grande. Aver perso il primo tempo della partita valutaria sul mercato delle materie prime non la mette fuori gioco da sviluppi futuri. Il vero problema sta in quel centinaio (appena) di motivi che rendono i popoli europei non integrati. Come li vogliamo chiamare? Cultura, religione, usanze e, quindi, schema di conformazione sociale, interpretazione del ruolo dello Stato, regole civiche di comportamento, abitudini istituzionali, obiettivi sociali…dica lei. Questi sono i problemi dell’Eurozona e da essi dipende il futuro sviluppo. In macroeconomia la previsione è, nella stragrande maggioranza dei casi, un esercizio di stupidità. Non c’è da guardare al futuro di una moneta, ma al futuro delle persone che popolano l’area in cui si trovano i Paesi che hanno deciso di adottarla. Questo futuro dipende da scelte politiche, di natura costituzionale e di natura fiscale.
4) Passiamo al dollaro. Mentre Francoforte lavora su un allentamento dei tassi, la Federal Reserve ha annunciato da mesi il rialzo del costo del denaro USA. Una scelta ormai certa nei contenuti, ma meno nelle tempistiche. Gli ultimi dati del mercato del lavoro USA (NFP), sono scesi sotto le attese frenando l’azione Fed. Il continuo rinvio del rafforzamento del dollaro che effetto produrrà sulle aspettative delle economie mondiali? L’Eurozona è pronta a un dollaro più forte?
Rispondo senza pensare: forse il rinvio potrebbe assumere il ruolo di “radiografia” legittima della ripresa. Riformulo. La ripartenza non può essere immaginata identica a uno stesso paradigma dovunque. Lei ritorna sull’Euro debole rispetto al dollaro. Torno a dire che certamente potrebbe stimolare nel breve periodo il saldo corrente della bilancia dei pagamenti, ma credo che quello che dovremmo discutere è il cambio “a regime”, non quello di un breve periodo. La domanda forse dovrebbe essere: chi deve essere più forte, l’Euro o il Dollaro? Perché? Per rispondere a questa domanda, sappiamo che tranne periodi davvero minoritari, il dollaro è sempre stato sotto. Eppure, dobbiamo confrontare solo due valute? Oppure stiamo in fondo facendo un secondo confronto, parallelo e ben più complicato? Nel sottinteso di domande del genere, invero, si confrontano l’economia europea e l’economia americana. In che proporzione dovrebbero essere ritenuti i due prodotti interni (in termini di produttività del lavoro)? Qual è il valore di un dollaro e quello di un euro, espresso in termini di produttività del lavoro? Se non si risponde da un punto di vista reale, prima, il ragionamento sulle quotazioni valutarie non mi appassiona più di tanto.
5) A disorientare la Fed, non è solo lo stato di salute USA, ma anche il rallentamento della Cina, paese legato a doppio filo con gli Stati Uniti e di riflesso alle economie emergenti che vedono Pechino tra i principali partner commerciali. Qual è il futuro delle economie emergenti?
Le economie emergenti hanno davanti a loro una “doppia sfida”: da una parte, appunto, emergere, dall’altra emergere in un contesto così globale e integrato. Ci sono pro e contra. Per alcune ragioni è meglio, per altre peggio. Credo che USA e Cina stiano osservandosi bene e capendo che entrambi sono cambiati. La Cina non è più da un pezzo “la casa delle imitazioni”, anzi. Ci sono segnali forti di una riqualificazione importante dell’indirizzo produttivo e, soprattutto, grossi investimenti sono stati fatti sulla formazione e l’apprendimento. Credo che la ripresa si farà sentire un po’ dovunque. Credo che, ora che il peggio è passato, sarà più facile per tutti avventurarsi e riprendere. In questo senso, chi saprà giocarsi le sue carte, ce la farà, al prezzo di guardare dritto in faccia di duro volto delle scelte che si devono fare e non sono rinviabili. Perché se una caratteristica innovativa l’economia globalizzata ha, è quella di aver contingentato tempo e spazio: non c’è più un “qui” e “ora”. C’è piuttosto un “c’è” e “non c’è”. Questo riguarda tutti: chi resta a guardare, a discutere, a tergiversare, con schemi concettuali ormai (per fortuna) fuori dal tempo, annacqua solo la sua percezione della propria agonia.