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Attentato aeroporto Istanbul: identikit di un kamikaze
giovedì 30 giugno 2016, di
Attentato aeroporto Istanbul: sale a 42 morti e a 239 feriti, tra poliziotti, personale in servizio nello scalo e viaggiatori, il bilancio delle vittime della strage all’aeroporto di Ataturk ad Istanbul. Tre attentatori suicidi alle 22.10 di ieri si sono fatti esplodere nella zona adiacente al terminal dei voli internazionali.
Mentre si indaga sulla dinamica e la responsabilità dei fatti, cresce l’allarme terrorismo e la preoccupazione per la sicurezza negli aeroporti di tutto il mondo e ci si chiede chi siano questi kamikaze, perché scelgano di togliersi la vita e in nome di quale ideale lo facciano.
Attentato suicida: una bomba intelligente umana?
L’attentato suicida o kamikaze prevede che un individuo trasporti personalmente esplosivi e li faccia detonare per infliggere più danni possibili e uccidere se stesso nel processo.
Gli attentati suicidi sono particolarmente scioccanti a causa della loro natura indiscriminata. Hanno chiaramente il fine di uccidere o ferire chiunque nel raggio d’azione del kamikaze e in genere le vittime sono civili per lo più ignari, anche se personaggi politici e militari sono spesso i bersagli principali.
Praticamente tutti gli attacchi di questo tipo sono legati a cause o rivendicazioni politiche. A differenza delle tattiche suicide nate per disperazione durante la guerra, come i kamikaze giapponesi nella seconda guerra mondiale, l’attentato suicida è volutamente impiegato dai terroristi per produrre un effetto calcolato.
Proprio perché questi "suicide bombers" hanno la capacità di muoversi, di evitare le misure di sicurezza e scegliere i loro obiettivi, sono stati paragonati ad una "bomba intelligente umana”.
Per infliggere danni maggiori i bombardieri fanno molto affidamento sull’elemento sorpresa: spesso indossano i loro esplosivi sotto i vestiti, li portano negli zaini o addirittura li nascondono nei telai delle biciclette. Per infliggere danni ancora maggiori, i kamikaze si servono di veicoli imbottiti di esplosivo. Le dimensioni delle bombe variano da meno di 100 grammi nel caso del cosiddetto bomber da biancheria intima, a più di una tonnellata nel caso dell’esplosione di un mezzo da trasporto.
Terrorismo: aumento degli attentati suicidi
Un’indicazione che la preferenza per questo tipo di attentati sta crescendo è il numero di attacchi, che è passato da 1 nel 1981 a più di 500 nel 2007. Questo incremento si può spiegare per tre motivi principali:
- L’attentato suicida è quasi impossibile da prevenire in quanto inaspettato data la variabile umana, in altre parole è il bomber a scegliere il momento esatto della detonazione dell’ordigno che ha addosso;
- Genera pubblicità. L’attenzione dei media è come l’ossigeno per i terroristi e gli attentati suicidi ricevono enorme copertura mediatica a causa della volontà dei bombardieri di morire per una causa e il danno scioccante inflitto indiscriminatamente agli obiettivi scelti;
- Un attentato suicida di successo richiede poca esperienza e poche risorse al di là di una bomba e qualcuno disposto a portarla.
Attentatori kamikaze: identikit e motivazioni
La religione può giustificare gli attentati suicidi, ma gli studi hanno dimostrato che molti attentatori kamikaze, in particolare nelle società sviluppate, sono fanatici che non hanno nulla per cui vivere o squilibrati.
Un’altra ampia tendenza, evidente nei numerosi attentati suicidi in Iraq e in Afghanistan, è stata il reclutamento di persone fisicamente o mentalmente malate, povere, suggestionabili o alienate in qualche modo dalla loro società.
Le loro motivazioni possono variare ampiamente: dalla vendetta per la morte di un membro della famiglia (per esempio le donne kamikaze o "vedove nere" in Cecenia) all’indignazione contro una potenza occupante (come in Iraq o in Palestina) o contro qualche ingiustizia (gli abusi sui detenuti nella prigione di Abu Ghraib in Iraq) fino ad arrivare alla coercizione.
L’attentato suicida come arma politica
Molti gruppi militanti impiegano l’attentato suicida non solo per le ragioni pratiche sopra descritte, ma anche per obiettivi strategici più ampi.
Molte ricerche hanno osservato che gli attentati suicidi sono spesso parte di una competizione tra gruppi terroristi o servono per fare pressione sulle democrazie al fine di liberarsi degli interventi stranieri, come è avvenuto nel ritiro delle forze occidentali dal Libano dopo il 1983 e la decisione dell’India di non reintrodurre le forze militari in Sri Lanka dopo l’assassinio di Gandhi nel 1991.
Qualunque siano i loro obiettivi, è chiaro che i leader di alcuni gruppi, come parte delle loro campagne cercano di sfruttare le condizioni politiche, sociali ed economiche a loro vantaggio, usando l’attentato suicida in modo razionale e calcolato.
Eppure, il successo della tattica non sempre si traduce in un successo all’interno di una strategia di violenza politica, anzi l’attacco kamikaze è un’arma a doppio taglio. Se usato troppo spesso e troppo indiscriminatamente, può diventare meno sconvolgente nel tempo e alienare le popolazioni di cui i militanti hanno bisogno per sostenere la loro lotta a lungo termine.
Per esempio, secondo uno studio del Pew Global Attitudes, le stesse persone nei paesi musulmani che guardavano con favore gli attentati suicidi nel 2002, hanno chiaramente espresso il loro rifiuto per queste pratiche cinque anni dopo.