Il punto di vista della GenZ sulla politica

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di Paolo Di Falco

Gli orrori della guerra in Ucraina e la situazione dei diritti umani nel mondo raccontati da Riccardo Noury

Paolo Di Falco

7 aprile 2022

Quattro chiacchiere con Riccardo Noury: dal massacro di Bucha passando per il rinvio del processo di Patrick Zaki e la mancata giustizia per Giulio Regeni.

Sono passati 42 giorni dall’inizio della guerra in Ucraina e tra i tanti orrori di questa guerra, il massacro degli oltre 300 civili compiuto dai soldati russi in una cittadina che si trova a 37 km da Kiev, Bucha, al momento è quello destinato a rimanerci impresso e a essere l’emblema di una guerra frutto di un atto d’invasione a opera della Russia dove tante e troppe sono state le vittime civili così come tanti i diritti umani sistematicamente violati.

Di questo abbiamo parlato con Riccardo Noury, portavoce dell’organizzazione non governativa per la difesa e la promozione dei diritti umani Amnesty International Italia. Lui stesso, attraverso numerose pubblicazioni, da sempre si batte in difesa dei diritti umani focalizzandosi, in maniera particolare, sulla tortura e la pena di morte.

Per cercare di capire i motivi di chi, di fronte alle tragiche immagini di questo massacro, continua a negare il coinvolgimento russo Riccardo Noury ricorda come abbiamo già visto la stessa cosa: «Quando è stato negato il coinvolgimento della Russia nei crimini di guerra commessi in Siria nel 2015. Per quelli più ingenui l’idea molto consolatoria è che una guerra in Europa debba essere un po’ meno sporca di una guerra in Medio Oriente o in Africa. In questo senso Bucha ha fatto svegliare tutti da questa via consolatoria così come è evidente che debba esserci un’indagine indipendente su quanto accaduto non perché ci sono dubbi ma perché quando ci sono crimini di guerra va fatta un’indagine indipendente».

Sulla situazione in Ucraina inoltre anche Amnesty International ha fatto dei sopralluoghi: «Abbiamo verificato sia da remoto che sul posto andando nella zona di Kharkiv e più recentemente nella zona di Kiev raccogliendo non solo testimonianze ma anche munizioni comprese le bombe a grappolo che sono vietate dal diritto internazionale. Da un lato ci sono una serie di crimini di guerra compiuti dalle forze russe, dall’altro ci sono trattamenti degradanti nei confronti dei soldati russi fatti prigionieri di guerra. Questa è una guerra che presenta come sempre il suo tributo enorme di vittime civili, di distruzione e da questo punto di vista è simile alle altre».

«Un’organizzazione per i diritti umani» – continua Noury – «pone l’accento sulla giustizia internazionale che non è qualcosa che arriva dopo come la giustizia dei vincitori sugli sconfitti ma arriva anche durante quindi è importante che adesso si raccolgano le prove e che si imbastisca un’indagine. Agli organi delle Nazioni Unite chiediamo di avviare meccanismi indipendenti di accertamento dei fatti e pretendiamo che gli aiuti umanitari arrivino senza ostacoli così come che i corridoi umanitari siano tali. Quella che abbiamo visto fino adesso è infatti una parodia dei corridoi umanitari: basti pensare ai civili in fuga che venivano bombardati».

Negli ultimi giorni, inoltre, in Egitto c’è stato l’ennesimo rinvio al 21 giugno del processo a Patrick Zaki che «è una conseguenza del sistema giudiziario egiziano: un sistema che attraverso una detenzione preventiva lunghissima, processi che si protraggono di udienza in udienza e condanne toglie lo spazio civile d’espressione delle opinioni a persone che non hanno fatto altro che svolgere legittime attività di dissenso, di ricerca o di giornalismo. Il 21 giugno saranno passati 28 mesi e mezzo dall’arresto di Patrick che trascorrerà il suo terzo compleanno lontano dai suoi cari».

L’Egitto è anche collegato alla vicenda di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso sei anni fa: «Quelle di Patrick e di Giulio sono due storie diverse avvenute anche a distanza di anni ma accomunate dal comportamento dei due Stati. Da un lato c’è l’Egitto che ha sempre manifestato indisponibilità a collaborare alle indagini dal lato italiano e dall’altro lato c’è l’Italia che ha mostrato di avere a cuore le questioni economiche, commerciali, militari attraverso la fornitura di armi piuttosto che la difesa dei diritti umani e queste sono le conseguenze: 6 anni da una parte e 28 mesi dall’altra di situazioni nelle quali l’Italia non ha mai dato neanche l’idea di arrivare a un punto di rottura pur di pretendere verità e giustizia nel caso di Giulio e, nel caso di Patrick, la libertà».

Sempre sul piano dei diritti, si inserisce anche l’Ungheria che ha rieletto per il suo quarto mandato consecutivo Viktor Orban in un contesto dove “praticamente tutti i mezzi d’informazione sono nelle mani di chi è al potere” e che non si è recata a votare per il referendum tenutosi nello stesso giorno delle elezioni su una legge che era stata approvata nel 2021 e che vietava di mostrare ai minori qualsiasi contenuto sull’omosessualità o il cambio di sesso. Accanto all’Ungheria troviamo però l’Afghanistan dei “Talebani del 2022 che sono gli stessi della prima presa del potere a Kabul nel 1996 e che quindi hanno la loro agenda misogina, integralista a cui si aggiunge un’incapacità di governare. Questo è grave soprattutto in un momento in cui il Paese è ancora dominato dalla pandemia, la povertà raggiunge il 90% della popolazione, le bambine sono fuori dall’istruzione e le donne sono fuori dalla società: un’attivista per i diritti umani afghana nel descrivere cosa sia accaduto il 15 agosto del 2021 nel suo Paese ha detto che si è spenta la luce”.

In merito all’anno che è appena passato e facendo riferimento al rapporto annualmente pubblicato da Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nel mondo, il portavoce di Amnesty ha sottolineato come: «Il 2021 è stato un anno di occasioni perse per uscire dalla pandemia. Cosa che sarebbe stata possibile perché c’erano i vaccini ma le aziende farmaceutiche e gli Stati ad alto reddito hanno preferito gestirsela tra di loro così le aziende farmaceutiche hanno fatto profitti con i vaccini vendendoli a chi poteva comprarli e non hanno rinunciato ai brevetti impedendo una distribuzione più rapida ed efficiente a tutti e a tutte. Allo stesso modo abbiamo perso l’occasione sul clima: abbiamo assisto a vertici in cui si è salito sul palcoscenico e si sono raccontate favole: il 2021 è stato un anno catastrofico di siccità, maremoti, temperature estreme…È stata un’occasione persa anche per cercare di dare qualche segnale dell’intenzione di fermare i conflitti: quelli in Siria, Yemen in corso da anni e quello nuovo dell’Etiopia sono andati avanti in maniera rovinosa ed è come se il mondo avesse dato un segnale di via libera dicendo che le crisi locali o regionali possono essere risolte con l’uso della forza con cui si possono anche modificare i confini».

Sulle sfide che ci attendono invece Riccardo Noury ribadisce che: «In termini generali dovremmo garantire una vaccinazione più efficace e più veloce per quel Sud del Mondo dove i tassi di vaccinazione quando va bene sono del 10%. Allo stesso tempo questo è un anno dominato dalla guerra: io temo che ancora per settimane questi crimini di guerra, questi bagni di sangue continueranno. In questo periodo si celebra il 30° anniversario dell’inizio della guerra di Bosnia con i primi morti nella capitale a Sarajevo. Trent’anni fa abbiamo visto le città assediate, i villaggi rasi al suolo, i cadaveri sulle strade e ora ci risiamo quindi non è affatto vero che abbiamo vissuto 70 anni di pace in Europa perché dal 1992 tre capitali europee sono state attaccate: Sarajevo nel 1992, Belgrado nel 1999 e ora Kiev. Siamo un soggetto collettivo incapace di produrre politiche di pace e ne stiamo pagando le conseguenze».

Paolo Di Falco

18 anni, di Siracusa. Ho creato La Politica Del Popolo, un sito di news gestito da giovani.

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