Cosa fare in caso di stipendio pagato in ritardo dal datore di lavoro o non pagato? Cosa dice la legge, termini di pagamento e diritti riconosciuti ai dipendenti.
Se lo stipendio viene pagato in ritardo cosa si può fare? E come comportarsi se non viene pagato affatto? Tra i diritti dei lavoratori tutelati dalla legge c’è quello di ricevere regolarmente lo stipendio, entro i termini stabiliti dal contratto o dal CCNL.
In caso di stipendio in ritardo o non pagato il dipendente può adire le vie legali e chiedere il decreto ingiuntivo dinanzi alla Direzione del Lavoro o in Tribunale. Ma prima è sempre bene tentare le vie bonarie e capire quali sono le ragioni che hanno spinto il datore a versare lo stipendio in ritardo o a non versarlo.
Ecco come muoversi e le informazioni utili per difendersi.
STIPENDIO IN RITARDO O NON PAGATO: COSA FARE
Stipendio in ritardo o non pagato: cosa dice la legge
I contratti di lavoro prevedono che, in base alla qualità o quantità di prestazione effettuata, il dipendente riceva il pagamento concordato. Potrebbe sembrare scontato, ma spesso non è così e capita che i datori paghino in ritardo o saltino alcune mensilità. Il ritardo nei pagamenti è uno dei casi in cui si può fare un sollecito e mettere in mora il datore di lavoro o, addirittura, dare le dimissioni per giusta causa così da richiedere la NASpI.
Se il ritardo è di pochi giorni e di una singola mensilità non ci sono le condizioni per procedere alle vie legali o alle dimissioni; in questi casi la cosa migliore da fare è tentare il dialogo e sollecitare al pagamento.
Il discorso cambia, invece, se il pagamento dello stipendio salta o arriva un mese dopo.
Dopo quanto lo stipendio si considera in ritardo?
Il termine per il pagamento dello stipendio generalmente viene concordato tra datore e dipendente al momento dell’assunzione ma, in ogni caso, non può andare oltre la data indicata dal CCNL della categoria di appartenenza (nella maggior parte dei casi i contratti collettivi prevedono il pagamento entro il 10° giorno del mese successivo a quello lavorato, ma non si tratta di una regola generale).
Oltre quella data il datore di lavoro si considera automaticamente in mora e dovrà versare gli interessi.
Sottolineiamo che tale termine va inteso come la data in cui il dipendente avrà disponibilità della somma sul proprio conto corrente e non a quella in cui è stato ordinato il versamento da parte dell’azienda.
E se l’azienda non si rifà ai contratti nazionali? In tal caso il compenso deve essere corrisposto nel momento in cui la prestazione è stata eseguita. Quindi se la cadenza di paga è mensile bisogna ritenere la prestazione (e quindi la retribuzione) conclusa entro l’ultimo giorno del mese.
Tredicesima in ritardo o non pagata
Il ritardo o il mancato pagamento possono riguardare anche la tredicesima mensilità o gratifica natalizia, la quale deve essere corrisposta entro e non oltre il 12 gennaio dell’anno successivo in modo da evitare problemi dal punto di vista fiscale.
Sollecito di pagamento
La prima cosa da fare se lo stipendio è in ritardo o non pagato è procedere ad un sollecito di pagamento da inviare al datore di lavoro con raccomandata A/R o PEC.
Il sollecito di pagamento deve indicare questi elementi:
- la mensilità non corrisposta e di cui si richiede il pagamento;
- i dati necessari al pagamento (anche se l’azienda li conosce già, rimandare estremi del conto corrente bancario o postale);
- l’avvertimento che si ricorrerà per vie giudiziali se il difetto di pagamento supera i 10 giorni;
- data e firma (tranne se si invia tramite PEC).
In alternativa al sollecito di pagamento, il dipendente può inviare - nelle stesse modalità - una lettera di diffida con la quale invita l’azienda a pagare entro un certo termine per evitare di proseguire con l’azione legale. La diffida, se si desidera, può essere scritta e firmata da un avvocato di fiducia per conferigli maggiore autorevolezza.
Richiesta di conciliazione
Altra possibilità, prima di adire le vie legali, è chiedere la conciliazione in presenza dei sindacati del lavoratore e dell’azienda. Questo è un procedimento gratuito che non richiede la presenza dell’avvocato e non comporta sanzioni per l’azienda datrice.
Per il tentativo di conciliazione monocratico bisogna rivolgersi alla Direzione del Lavoro presentando un esposto per mancato ricevimento dello stipendio.
Adire le vie legali: il decreto ingiuntivo in tribunale
La via più drastica è la richiesta del decreto ingiuntivo in tribunale per la quale è necessaria la presenza di un avvocato. Per procedere all’ingiunzione bisogna provare il credito mediante il contratto di lavoro stipulato e le vecchie buste paga e non serve invocare la controparte, cioè il datore di lavoro.
Il decreto ingiuntivo viene notificato all’azienda nei 60 giorni successivi alla sentenza e al datore sono concessi 40 giorni per presentare opposizione in tribunale oppure pagare lo stipendio con gli interessi e la rivalutazione monetaria.
Dimissioni per giusta causa
Il dipendente che ha ricevuto lo stipendio in ritardo può procedere alle dimissioni per giusta causa. Questa tipologia di dimissioni ha effetto immediato e non è necessario alcun preavviso.
Per chiedere le dimissioni per giusta causa non basta un semplice ritardo nei pagamenti: la Giurisprudenza in questi anni ha concordato che per presentare le dimissioni per giusta causa ci deve essere un reiterato inadempimento da parte del datore di lavoro; nel dettaglio - come rilevato dal Tribunale di Ivrea con la sentenza n. 150/2017 - questo deve essere in arretrato di almeno due buste paga.
Discorso differente quando è lo stesso CCNL a giustificare le dimissioni del dipendente in caso di ritardo per il pagamento dello stipendio.
Secondo il Tribunale di Milano - sentenza n°1713/2017 - quando le dimissioni sono previste dal contratto collettivo nazionale queste possono essere presentate anche nel 1° giorno successivo al termine ultimo per il pagamento della retribuzione.
Le sanzioni a carico del datore per stipendio in ritardo o non pagato
Il datore che non versa lo stipendio o in caso di ritardo grave rischia pesanti sanzioni amministrative che oscillano dai 150 ai 900 euro, oltre all’obbligo di versare al dipendente la busta paga che gli spetta.
Se il ritardo è frequente, il giudice può applicare la sanzione massima aumentata fino al triplo. A titolo esemplificativo, la multa va da 600 a 3.600 euro nel caso in cui la violazione si riferisca ad un numero di dipendenti pari o superiore a 5 per un periodo di oltre 6 mesi e sale a 1.200 fino a 7.200 se riguarda almeno 10 dipendenti per un periodo superiore ad un anno.
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