Tradizione, innovazione e tenacia al femminile nel mondo del vino
Antonella Coppotelli
20 maggio 2025
Intervista a Silvia Brannetti, giovane produttrice vinicola del Lazio che dalla matematica è passata alla vigna per portare avanti l’azienda di famiglia.

“Nulla sveglia un ricordo quanto un odore”, scriveva Victor Hugo e se c’è una cosa che ho subito incamerato quando ho conosciuto Silvia Brannetti, giovane produttrice vinicola, è stato proprio il profumo delle sue vigne e del suo vino.
Una sorta di firma che si stampa nella memoria, un tratto distintivo che sa di eleganza e semplicità allo stesso tempo e ti accompagna per giorni, facendoti ricordare che il bello e il buono costano sudore e fatica. Gli stessi che mette lei insieme al suo team per portare avanti quotidianamente i 25 ettari vitati di Riserva della Cascina, azienda agricola collocata nel parco dell’Appia Antica a Roma ai piedi dei Castelli Romani, tra le mille difficoltà che il settore affronta; specie se si è donne e si opera in un contesto tradizionalmente dominato dagli uomini dove, oltre alla fatica fisica quotidiana si deve combattere e contenere il pregiudizio di genere.
L’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali di vino, con una lunga e ricca storia vitivinicola. Tuttavia, il settore è spesso caratterizzato da dinamiche conservative e da una forte presenza maschile, rendendo il percorso delle donne particolarmente impegnativo.
Silvia, con la sua laurea in matematica e la sua determinazione, rappresenta una nuova generazione di produttori che coniugano tradizione e innovazione, portando avanti un approccio sostenibile e biologico che ritroviamo in maniera coerente e cristallina nel bicchiere. E’ stato bello confrontarsi con lei.
D: Com’è nata la tua azienda vinicola e cosa ti ha spinto a investire nel biologico e nei vitigni autoctoni del Lazio?
R: L’azienda nasce nel 1946 con mio nonno Giovanni, che ha cominciato a fare vini sfusi. Ci troviamo a Roma, lungo la via Appia Antica, quindi alle pendici del vulcano Laziale, in fondo ai Castelli Romani e di diritto rientriamo in questa area.
Il vino dei castelli era quello che si portava a spalla nel caratello, ossia il classico vaso a forma di botte e mio nonno lo vendeva così. La scelta del biologico è iniziata con mio padre, successivamente. Ha cominciato a lavorare in vigna a 13 anni e dagli anni ‘70 ha proseguito l’attività fino al 1994, anno in cui siamo entrati ufficialmente nel biologico; all’epoca era applicato soltanto alle uve d’agricoltura biologica e nel 2012 questa certificazione è stata estesa anche alle pratiche di cantina.
Di fatto, però, mio nonno non ha mai usato diserbanti o pesticidi, quindi già naturalmente la mia famiglia faceva agricoltura biologica senza saperlo e senza che ci fosse un’etichetta.
Il biologico è stata una scelta dettata da una logica molto semplice e cioè «il vino me lo devo bere io in primo luogo, quello che faccio è quello che berrò io e quindi voglio una cosa sana». Dopodiché questo si riflette anche sul consumatore. Il concetto di sostenibilità è molto più moderno e anche un poco abusato.

D: Quali sono state le principali difficoltà che hai incontrato come giovane imprenditrice agricola e come le hai affrontate?
R: E’ un mondo molto conservatore per una donna. Di fatto è un ambiente molto concreto, pragmatico, poco teorico e speculativo. Quindi ben venga che ci siano persone che hanno studiato e che fanno questi lavori perché hanno un altro modo di ragionare, fare agricoltura è pesante e la natura ha dei processi lentissimi. Avendo studiato materie scientifiche, ho dovuto in qualche modo frenare le aspettative, capire certi processi della natura e andare a un’altra velocità.
Quotidianamente combatto con l’eccessiva burocrazia e adempimenti che il settore vinicolo richiede. Oltre a questo, il lavoro in sé è complicatissimo e fisicamente pesante perché porto avanti vigna, cantina e vendita e devo chiudere il ciclo. Però vai avanti e risolvi problemi con la passione, perché sai che stai facendo una cosa che ti piace e perché sai che ci sono sei dipendenti da pagare.
D: Tu sei laureata in matematica, quanta ce n’è nella vigna?
R: Poca! Però dalla matematica e, in generale da alcune lauree scientifiche, mi porto dietro la capacità di problem solving che ti aiuta ad affrontare i problemi di tutti i giorni. Hai un metodo attraverso il quale scomponi il problema e cerchi la soluzione.
D: Che impatto stanno avendo i dazi e l’attuale clima politico-commerciale internazionale sul tuo lavoro e sulla tua capacità di esportare?
R: Noi abbiamo puntato quasi esclusivamente sul locale, quindi sull’Italia e in particolare proprio sul Lazio, qui a Roma. Esauriamo la nostra produzione localmente, perché ci rivolgiamo al privato e, quindi, al dettaglio.
Abbiamo anche un po’ di esportazione estera verso gli Stati Uniti e, al momento, stiamo vivendo la situazione con molta incertezza perché non c’è ancora nulla di definito e di certo. Allo stato attuale continuano ad arrivare gli ordini e non è ancora cambiato nulla, ma ti confermo che aleggia incertezza.
Per quanto riguarda i mercati, invece ci sono state grandi differenze già a partire dall’anno scorso, per il Codice della Strada che è cambiato, seppur in modo lieve, ma questo ha creato forti ripercussioni soprattutto nel consumo fuori casa del vino. Questo è un problema che stiamo vivendo tutti noi i vignaioli perché il consumo al ristorante è calato drasticamente. Non dipende solo dal Codice della Strada ma anche dai prezzi che sono diventati allucinanti e dai ricarichi di alcuni ristoratori che non possiamo definire etici. Quindi tante persone preferiscono risparmiare bevendo solo un calice e mettersi tranquille alla guida. Questo ha determinato un crollo delle vendite delle bottiglie nei ristoranti. Personalmente ho puntato molto sul mercato locale e sull’enoturismo, attraverso visite e degustazioni.
D: Guardando al futuro: quali investimenti o sviluppi hai in programma nei prossimi anni oltre all’enoturismo? Stai puntando su nuove tecnologie, canali o partnership?
R: Per quanto riguarda l’enoturismo, c’è una legge che è uscita proprio da poco, che lo regolamenta, e ci stiamo mettendo in regola con questa normativa prendendo personale specializzato. Per quanto riguarda le nuove tecnologie, le seguo con interesse specie se applicate a macchinari che ottimizzano le risorse.
Per esempio noi usiamo gli atomizzatori con il recovery che passano nel filare senza far disperdere nell’aria i trattamenti a base di rame e zolfo che facciamo alla vigna. Questo ci permette di risparmiare sia dal punto di vista economico che da quello ambientale perché si disperdono molte meno particelle nell’aria. Attraverso la tecnologia, manteniamo la tradizione nel rispetto della nostra filosofia biologica.

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