Digital Scenario

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di Matteo Pogliani

Squid Game, una serie anche di marketing

Matteo Pogliani

25 ottobre 2021

Squid Game, una serie anche di marketing

Squid Game ha avuto un impatto davvero dirompente, ha spinto utenti e creator a postare tantissimi contenuti sul tema, diventando base per meme e occasione di real-time marketing.

Non bisogna essere fan di Netflix o appassionati di serie tv per essere venuti in contatto con il fenomeno Squid Game e l’impatto che questo sta avendo anche al di fuori del portale di streaming. La serie coreana è in poco tempo diventata un caso capace di spingere utenti e creator a postare una miriade di contenuti sul tema, di diventare base per meme di ogni tipo e immancabile occasione per il tanto amato real-time marketing.

Un impatto tanto dirompente (e forse per certi versi non previsto) che non può non portarci a ragionare sul tema, magari trovando quegli elementi che sono stati i driver per questo boom. Un risultato che ha ancora più valore se pensiamo il suo essere sottotitolato (cosa non amatissima in Italia), il suo vivere in una piattaforma sì ampia a livello di audience, ma non totalmente aperta (tv generalista), il suo essere estremamente plasmato su una cultura sempre più apprezzata (basti pensare a Parasite o al trend del k-pop), ma comunque non così affine alla nostra.

Un caso studio su cui riflettere e attingere spunti interessanti lato marketing.

Il valore dell’estetica

Uno dei driver più rilevanti è senza dubbio quello estetico. Un’estetica, quella di Squid Game, estremamente studiata, parte integrante del racconto ed essa stessa attrice, che fonda elementi diversi, ma tutti capaci di essere riconoscibili e divenire connettori tra la serie e la nostra cultura, fatta anche di stereotipi.

Scenari che ricordano le opere di Magritte e di Escher rivisitate in chiave pop con quei colori brillanti e a effetto che integrano, forse esaltano, l’inaudita violenza che traspare ogni minuto e la follia che ne deriva. Lo stesso surrealismo che traspare tra l’accostamento continuo tra le uccisioni e la sofferenza e gli ambienti/simboli infantili.

Uno shock visivo che va di pari passo con quello narrativo e che è accompagnato da una serie di simboli a noi implicitamente vicini e quindi riconoscibili, capaci quindi di parlarci con un grande affinità. I simboli che ricordano il joypad della Playstation, le tute rosse della Casa di Carta, il logo simil TikTok e quell’effetto di sofferenza/intrattenimento che fa tanto “Mai Dire Banzai”.

Un livello di lettura e comunicazione visiva che non solo accompagna degnamente la storia, ma diventa elemento altrettanto decisivo, anche e soprattutto per renderla iconica e facilmente condivisibile e interpretabile (es. la tuta verde dei concorrenti o quella rossa delle guardie).

Il Buzz Marketing che funziona

I mercati sono ancora conversazione? Oggi più che mai è il buzz, realmente virale e organico, di Squid Game lo ricorda con estrema franchezza, compreso quanto sia impossibile poterlo prevedere/governare.

Siamo sinceri, il lancio della serie è stato forte, ma non assoluto. Il risultato è che molti di noi l’hanno vista solo dopo il consiglio di un amico o dopo essersi imbattuti in parte di quella marea di contenuti e news arrivate dopo qualche giorno dal lancio. Il turning point è stato quando era talmente forte l’hype da farti sentire escluso se non l’avevi vista o, ancora peggio, da essere spettatore non pagante alle discussioni di amici e colleghi.

Ne parlavo qualche giorno fa, senso di appartenenza e community. Guardare la serie per essere anche parte di qualcosa. Mi ricorda molto quando Daniel Wellington lanciò le sue collezioni sfruttando creator e influencer. Il non ricevere uno dei loro orologi veniva percepito dai più come un segno di poca rilevanza. Una sensazione tanto negativa da spingere molti a comprarlo e realizzare i contenuti con #ad, come se fosse una collaborazione contrattualizzata.

Altro punto fondamentale è la necessità di vederlo per poter avere quelle chiavi di lettura che ti permettono di apprezzare tutti i contenuti derivati dalla serie, meme in primis. Non averlo visto significa infatti non capire molti dei riferimenti e degli elementi iconici su cui sono costruiti questi contenuti ironici che, ricordiamolo, restano tra quelli più rilevanti e d’impatto lato social.

Ultimo, ma non meno importante, elemento che spiega questa tendenza alla condivisione di Squid Game, è quell’effetto shock di cui abbiamo già parlato, qualcosa che non lascia indifferenti e che, sorprendendo, facilita la discussione innescando più facilmente la viralità.

Di nuovo TikTok

Un corollario al punto precedente. Impossibile oggi parlare di trend e buzz senza citare TikTok. Le sue dinamiche lo rendono IL canale perfetto per massimizzare diffusione di un trend e valorizzare l’effetto community che si genera attorno a un topic. Una sorta di Twitter dei bei tempi, ma con il valore aggiunto del video e del focus lato intrattenimento. Qualcosa che i brand hanno già sperimentato con le Branded Hashtag Challenge e che li ha portati a comprendere (nuovamente) il valore del passaparola e degli UGC.

Tutto questo porta TikTok a essere un palinsesto in real time di trend, selezionandoli (inconsciamente) e, in molti casi, accelerando il loro hype e rendendoli globali. Se non è su TikTok non è un vero trend oggi. Punto.

Pensiamo al video del drone che riprende un creator (@totouchanemu) mentre balla Stay. Un semplice contenuto che però “in mano” all’algoritmo di TikTok e spinto poi dagli UGC che lo riprendevano è diventato un vero fenomeno di costume. È qui parliamo di una dance, non certo di una serie con gli “appigli” narrativi di Squid Game.

Proprio com’era in Twitter non è tanto importante cosa fai lato brand sul tuo account, quanto cosa riesci a generare/scatenare su utenti e creator. Quella massa critica di contenuto che si sedimenta e crea una verticalità da cavalcare.

Il limite dell’affinità e degli insight owned

Si è troppo spesso tentati, lato comunicazione, a lavorare su schemi già provati, testati o almeno vicini alle caratteristiche e interessi che contraddistinguono il nostro brand. Giusto, in molti casi decisivo per mantenere un buon rapporto costo /performance.

Qualcosa che viene fatto solitamente affidandosi ai dati, cosa che ho sempre apprezzato. C’è un limite però, il rischio di restare chiusi nella bolla di cui spesso si parla lato social, difettando in proposte nuove, originali.

Non possiamo dipendere solo dai dati storici proprietari perché troppo condizionati dal nostro status quo. Per questo diventa decisivo saper integrare fonti diverse e insight terzi, cercando behaviour profondi ed esplorando interessi, caratteristiche alternative, ma che possono comunque divenire driver importanti per la nostra comunicazione e, più in generale, business.

Un buon esempio, a riguardo, sono l’analisi delle conversazioni online, andando a indagare gli elementi più qualitativi come i topic discussi o strumenti come GlobalWebIndex con le sue capacità di analisi di cluster diversi in profondità.

Ciò non significa differenziare tanto per fare, per voler fare gli “originali”, ma saper scientemente innovare, sempre e comunque in modo connesso ai nostri obiettivi e alle caratteristiche/need del nostro pubblico.

Matteo Pogliani

Partner e Digital Strategist di Openbox, agenzia specializzata in Social Media e Influencer Marketing.

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