Come la «neutralità» della BCE influisce sul cambiamento climatico
Giuseppe Montalbano
24 novembre 2020
Secondo il presidente della banca centrale tedesca la BCE deve restare «neutrale» nelle sue politiche monetarie straordinarie, anche a costo di finanziare le compagnie più inquinanti in Europa. Ma la neutralità della BCE è un «mito» pericoloso, che compromette l’obiettivo della neutralità climatica.
Dalle colonne del Financial Times il presidente della banca centrale tedesca, Jens Weidmann, ha lanciato un nuovo attacco contro ogni ipotesi che la BCE possa ridiscutere il principio della “neutralità di mercato” come asse portante delle sue politiche monetarie straordinarie.
L’invito ad aprire il confronto su un caposaldo della strategia di intervento della banca centrale era stato rivolto per prima dalla stessa Lagarde nel corso di un suo intervento lo scorso ottobre. In quella occasione, la presidente della BCE aveva di fatto sollevato dubbi sulla capacità dei mercati di valutare adeguatamente i rischi ambientali e legati alla progressiva decarbonizzazione dell’economia, traducendoli nei prezzi delle obbligazioni societarie acquistate dalla banca centrale nell’ambito della sua strategia espansiva anti-crisi.
Se i mercati non forniscono una guida attendibile per i rischi connessi ai cambiamenti climatici, la BCE deve chiedersi, secondo la sua presidente, se “la neutralità di mercato debba costituire l’effettivo principio guida delle nostre politiche monetarie” e se la prima non confligga al contrario con gli obiettivi di neutralità climatica posti dall’agenda europea e internazionale.
BCE, quale neutralità?
Perché la “neutralità” della BCE nelle operazioni di mercato aperto è tutto fuorché neutrale dal punto di vista climatico?
Nei suoi programmi di acquisto dei titoli di debito aziendale (il “Corporate Sector Purchase Program”), quale parte essenziale della politica monetaria espansiva condotta attraverso il quantitative easing, la BCE interviene sui mercati ad una precisa condizione: minimizzare il suo impatto sui meccanismi di formazione dei prezzi, limitando o azzerando le possibili distorsioni del mercato.
La neutralità rispetto al mercato viene considerata come requisito essenziale al carattere apolitico degli interventi straordinari della BCE e al rispetto dei trattati. Nei suoi interventi straordinari, quindi, la BCE si pone l’obiettivo di lasciare inalterato l’ordine del mercato così come lo trova, cioè la distribuzione relativa dei titoli e dei loro prezzi. Questo principio si traduce in pratica nella scelta della BCE di acquisire obbligazioni societarie in proporzione alla loro capitalizzazione sul mercato.
Il risultato è, come denunciato e provato da diversi studi, che il portafoglio della BCE negli anni si è riempito di titoli acquistati dalle compagnie e settori più inquinanti a livello europeo e globale, che hanno quindi beneficiato copiosamente delle iniezioni di liquidità garantite da Francoforte.
Secondo un report recente, il 63% dei titoli di debito aziendali acquistati dalla BCE è servito a finanziare i settori a più elevata intensità di emissioni di CO2. Percentuali confermate da un ulteriore studio indipendente, pubblicato lo scorso ottobre, secondo cui più della metà 241,6 miliardi di euro di obbligazioni societarie nel bilancio della BCE sono state emesse da compagnie altamente inquinanti, fra cui Total, Shell, OMV e l’italiana Eni.
In sostanza, quindi, la pretesa della BCE di intervenire sui mercati senza distorcerne il meccanismo di formazione dei prezzi, mantenendo “neutrale” l’effetto complessivo di questo intervento, si traduce nel finanziamento continuo alle compagnie più inquinanti a livello europeo e ad una distorsione di fatto dei rischi reali legati al riscaldamento globale. Il principio della neutralità di mercato compromette il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica fissati dall’accordo di Parigi del 2015.
La neutralità poco neutrale della BCE a livello climatico
Se Lagarde ha avuto almeno il merito di porre apertamente il problema, Weidmann cerca di intestarsi la responsabilità di chiudere subito ogni discussione. L’argomento dei difensori della neutralità della BCE è in realtà del tutto pertinente: ma non per le ragioni di fondo e gli obiettivi che i suoi sostenitori portano avanti. Per il governatore della Bundesbank non spetta alla BCE decidere cosa finanziare o meno, e per nessuna ragione essa può sostituirsi ai governi democraticamente eletti dell’Unione nell’assumersi responsabilità relative alle politiche di contrasto al cambiamento climatico che non le possono legittimamente competere. L’obiezione di Weidmann è in sé pienamente corretta, sul piano teorico e giuridico: ma ad essere sbagliate sono le premesse e la conclusione.
In primo luogo, il fatto che la BCE possa mantenersi effettivamente “neutrale” quando interviene sui mercati è messo sempre più in discussione da una platea crescente di studiosi e organizzazioni della società civile: un dubbio che, come mostrano le parole di Lagarde, è iniziato a serpeggiare anche fra i corridoi della BCE. Ad esempio è già stato evidenziato quanto il programma di acquisto delle obbligazioni societarie escluda per definizione i titoli azionari e privilegi di fatto le grandi aziende in grado di emettere titoli di debito, a scapito delle piccole e medie imprese che, al contrario, hanno maggiori difficoltà ad accedere ai mercati obbligazionari.
Nel decidere quale canale di trasmissione delle politiche monetarie adottare e a quali condizioni implementarlo, le banche centrali sanno di impattare in maniera differente sui diversi settori e attori economici. L’acquisto di titoli come canale per immettere denaro nell’economia finisce per beneficiare le aziende in grado di emettere più alti volumi di obbligazioni societarie, a scapito di quelle che si finanziano prevalentemente o unicamente attraverso i canali bancari. Come sintetizzano bene Clément Fontan e Jens van’t Klooster in un loro studio sugli effetti distorsivi della neutralità della BCE, “nessun tentativo di replicare la struttura del mercato potrà mai riuscire a rimuovere la dimensione politica dall’acquisto dei titoli e a controbilanciarne le conseguenze distributive”.
In secondo luogo, nelle loro operazioni straordinarie, le banche centrali operano scelte politiche relativamente alla quantità e qualità di titoli pubblici e privati da acquistare, in un’allocazione che non è mai neutrale. Un esempio recente è dato proprio dalla nuova “politica” adottata dalla BCE in risposta alla pandemia. Prima della crisi da Covid-19, la BCE stabiliva la ripartizione del suo portafoglio di titoli sovrani sulla base delle quote di ogni Stato membro dell’eurozona nel capitale dalle BCE (la “capital key”): una scelta già per sé politica, e slegata dalla dinamica dei prezzi del mercato. Come è noto, in risposta alla pandemia la BCE ha scelto di sospendere l’acquisto di debito sovrano in base alla capital key, così da assicurare sostegno ai Paesi più colpiti dalla crisi.
Le responsabilità e le mancate responsabilizzazioni della BCE
Infine, l’argomento di Weidmann relativo alle responsabilità politiche della BCE e i loro criteri di legittimità, se portato alle estreme (e corrette) conseguenze, porta a mettere radicalmente in discussione la pretesa indipendenza e “neutralità” politica della banca dell’eurozona. La BCE infatti si è già presa di fatto abbondanti dosi di responsabilità nelle politiche economiche europee nel corso della lunga crisi del Continente iniziata nel 2007/08 in cui si è incardinata la nuova crisi pandemica. Lo ha fatto perché in quanto banca centrale non poteva che svolgere la funzione di prestatrice di ultima istanza. E lo ha fatto determinando di volta in volta i vincitori e gli sconfitti nella crisi, proprio intervenendo a gamba tesa sui mercati e sui suoi fallimenti, e in maniera ancor più dura sul governo della crisi negli Stati Membri più a rischio. Il tutto mantenendo sempre la propria indipendenza di banca centrale: cioè il non dover rispondere a nessun cittadino europeo delle sue scelte politiche e dei loro effetti distributivi a livello sociale.
L’argomento di Weidmann va quindi generalizzato e portato alle estreme conseguenze, contro il dogma dell’indipendenza della banca centrale e la pretesa spoliticizzazione delle politiche monetarie di cui il presidente della Bundesbank è uno dei più irriducibili alfieri. Proprio perché le politiche monetarie non sono di fatto neutrali politicamente e nelle loro ricadute sociali, esse non dovrebbero essere appannaggio esclusivo di istituzioni formalmente indipendenti dal controllo democratico. Una questione tanto più decisiva quando si parli di una banca come la BCE, cui manca come controparte uno Stato e un governo centrale a livello europeo, trovandosi quindi a prendere decisioni di enorme impatto per le politiche economiche e fiscali degli Stati membri e dei loro cittadini.
Per questo il tema della responsabilità che la BCE dovrebbe pienamente assumere in merito alle politiche di contrasto al cambiamento climatico implica in sé una questione a monte, cruciale per il futuro dell’integrazione europea: quella della legittimazione di una politica monetaria ed economica comune, che non può essere affidata a un’istituzione indipendente da ogni controllo democratico.
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