Note di Vino

Note di Vino

di Antonella Coppotelli

Cinque vitigni bianchi italiani sottovalutati da scoprire assolutamente

L’Italia dei bianchi non è solo Verdicchio, Fiano o Pinot. Esistono innumerevoli altri vitigni autoctoni che sono tornati in auge grazie all’impegni di viticoltori coraggiosi.

Cinque vitigni bianchi italiani sottovalutati da scoprire assolutamente

Nel vasto panorama enologico italiano, i riflettori sono spesso puntati sui grandi rossi da invecchiamento o su bianchi iconici come il Verdicchio, il Pinot Grigio o il blasonato Fiano di Avellino. Eppure, dietro le quinte, esistono vitigni autoctoni che custodiscono storie secolari e potenzialità straordinarie, ancora poco esplorate dal grande pubblico.

Questo viaggio tra le pieghe più nascoste della viticoltura italiana porta alla scoperta di cinque vitigni bianchi spesso sottovalutati, ma capaci di regalare emozioni inaspettate e rivelazioni gustative sorprendenti.

Il Timorasso: la rinascita del Piemonte bianco

Nel cuore dei Colli Tortonesi, in Piemonte, un vitigno antico è tornato a far parlare di sé dopo decenni di oblio: il Timorasso. Questo bianco strutturato, longevo e di grande complessità aromatica era quasi scomparso alla fine del Novecento. Salvato dalla testardaggine di alcuni viticoltori locali, oggi è diventato un simbolo di rinascita e autenticità. A renderlo speciale è la sua capacità di evolvere nel tempo: da giovane offre note di fiori bianchi, agrumi e pietra focaia; con l’invecchiamento sviluppa sfumature di miele, idrocarburi e frutta secca.

È un vino di corpo, con una spalla acida ben presente e una mineralità che riflette il terroir calcareo-argilloso delle colline alessandrine. Nonostante le sue qualità, il Timorasso resta ancora poco conosciuto fuori dai circuiti di appassionati ed enotecari esperti, ma rappresenta una delle più affascinanti alternative ai bianchi internazionali.

La Nosiola: l’eleganza nascosta del Trentino

Altro vitigno troppo spesso ignorato è la Nosiola, l’unico bianco autoctono del Trentino. Coltivata soprattutto nella zona di Pressano e nelle colline della Valle dei Laghi, la Nosiola è un vino delicato, capace di raccontare il paesaggio alpino in cui nasce. In versione secca regala freschezza, sapidità e profumi di nocciola (da cui prende il nome), fiori di campo e mela verde.

Ma è nella sua trasformazione in vino passito, il famoso Vino Santo trentino, che mostra tutta la sua nobiltà: grazie all’appassimento naturale su graticci e alla botrytizzazione, dà vita a un nettare dorato, complesso, con aromi di datteri, miele e spezie.

Anche nella versione secca, però, la Nosiola ha oggi un rinnovato interesse grazie a vinificazioni più attente e all’uso sapiente del legno. È un bianco fine, versatile e con grande potenziale gastronomico, spesso dimenticato a favore di etichette più note.

Il Grillo: ben oltre il Marsala

Il Grillo è conosciuto da molti come il vitigno base del Marsala, ma è nella sua versione secca che sorprende davvero. Originario della Sicilia occidentale, in particolare della provincia di Trapani, questo vitigno si è liberato negli ultimi anni dall’etichetta di “uva da fortificato” per esprimere una personalità tutta nuova.

Al naso offre note di agrumi maturi, erbe aromatiche e salinità marina, mentre al palato rivela una buona struttura, freschezza e una marcata persistenza. Il Grillo è figlio del sole e del vento africano che accarezza le vigne isolane, ma non per questo è un vino pesante: la sua acidità naturale lo rende scattante e perfetto anche per l’abbinamento con piatti di pesce, formaggi freschi e cucina etnica.

La sua riscoperta è frutto del lavoro di alcuni enologi e vignaioli siciliani che ne hanno esaltato l’identità varietale, portandolo oltre i confini regionali con risultati sorprendenti.

Il Pecorino: il bianco montano che conquista

Nonostante il nome curioso, che evoca il formaggio più che il vino, il Pecorino è un vitigno nobile e affascinante, originario delle Marche e diffuso anche in Abruzzo. Dopo anni di marginalità, oggi vive una seconda giovinezza grazie alla sua capacità di adattarsi bene anche ad altitudini elevate. Il suo profilo aromatico è ricco: offre sentori di frutta esotica, salvia, biancospino e una nota minerale inconfondibile.

Al palato è deciso, sapido, con una piacevole scia ammandorlata nel finale. Il nome pare derivi dal fatto che le pecore, durante la transumanza, ne fossero particolarmente golose, attratte dagli acini zuccherini. Ma dietro questa leggenda c’è un vino moderno, capace di grande eleganza e già protagonista della ristorazione italiana.

Eppure, nonostante la crescente attenzione, il Pecorino resta per molti consumatori ancora un outsider: un’occasione preziosa per chi desidera esplorare nuovi orizzonti enologici.

La Carricante: la purezza dell’Etna

Dalle pendici del vulcano più attivo d’Europa nasce uno dei bianchi più sorprendenti dell’enologia mediterranea: la Carricante. Coltivata prevalentemente sul versante orientale dell’Etna, tra i 600 e i 1000 metri di altitudine, questa varietà autoctona siciliana è un perfetto esempio di equilibrio tra forza e finezza.

Il suolo vulcanico le conferisce mineralità e tensione, mentre l’altitudine preserva acidità e freschezza. I suoi aromi ricordano il cedro, la pietra bagnata, le erbe selvatiche, con un profilo olfattivo austero ma raffinato. In bocca è sapida, precisa, con un finale vibrante che la rende perfetta per abbinamenti anche audaci, come con crostacei, carni bianche o formaggi stagionati.

La Carricante è il cuore dell’Etna Bianco DOC e, sebbene sia celebrata tra gli addetti ai lavori, resta poco conosciuta nel grande mercato dei bianchi italiani. Un vitigno che merita molta più attenzione per la sua unicità e la straordinaria capacità di raccontare il territorio.

Un patrimonio da valorizzare

Questi cinque vitigni rappresentano solo una piccola parte del mosaico enologico italiano, un enorme patrimonio ampelografico fatto di biodiversità, memoria e sperimentazione. La loro sottovalutazione non dipende dalla qualità, ma spesso da scarsa promozione, limiti nella distribuzione e una comunicazione che ha privilegiato altri nomi più noti e facili da ricordare.

Eppure, proprio per questo, offrono al consumatore curioso la possibilità di scoprire nuove emozioni, territori meno battuti e vini che parlano una lingua autentica, lontana dalle omologazioni del gusto globale.

Valorizzare i bianchi italiani meno conosciuti significa tutelare un patrimonio culturale e agricolo che non ha eguali al mondo. Significa premiare la fatica dei piccoli produttori, la ricerca degli enologi e la vocazione dei territori. E significa, soprattutto, riscoprire il piacere della scoperta: un calice alla volta.

Prosit!

Antonella Coppotelli

Responsabile Area Marketing & PR Money.it

Per maggiori informazioni su Note di Vino scrivere un'email a redazione@money.it

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