Community e Generazione Z: l’evoluzione del concetto di socialità
Jacopo Paoletti
22 ottobre 2021
La vita reale è sempre più traslata sulle piattaforme digitali, una rivoluzione che è stata accelerata e guidata soprattutto dalla Generazione Z.
«L’Uomo è per natura un animale destinato a vivere in comunità». Mai affermazione fu più azzeccata. Certo Aristotele non poteva immaginare che insiemi di persone si sarebbero riunite virtualmente, eppure oltre due millenni dopo, non solo ciò è avvenuto ma si è trasformato in una prassi. Probabilmente tutto è cominciato su Internet, prima con IRC e Usenet e poi con l’avvento dei grandi gruppi di Facebook, seguiti dalla nascita di enormi community su tutti i social network come Instagram o TikTok.
Ma perché le persone sentono l’esigenza di appartenere a una community? Bauman aveva ragione quando teorizzava le società liquide, che si stanno via via concretizzando, dando origine a un individualismo sfrenato, figlio di una mancanza di punti di riferimento. L’unica soluzione per l’individuo senza certezze - sostiene Bauman - diventa l’apparire a tutti costi.
E quale posto migliore dove apparire se non nel mondo social? Nei nuovi luoghi virtuali, gli utenti delle community si sentono protagonisti, parlano la stessa lingua e raccolgono tutti i principali argomenti di loro interesse. Più la community cresce, più chi ne fa parte acquisisce autostima e notorietà.
Proprio su questo è stato condotto uno studio nei primi mesi del 2021 da Facebook e dalla New York University: obiettivo? Comprendere l’influenza che questi gruppi hanno sulla vita degli utenti, intervistando 50 amministratori di grandi gruppi Facebook in 17 Paesi e 26 esperti per la creazione di comunità online provenienti da tutto il mondo.
Il risultato più significativo è che la maggior parte delle persone trova il suo spazio sociale nel mondo digitale e non in quello reale, come affermato dal 77% dei partecipanti allo studio.
D’altronde la tecnologia digitale consente ai gruppi online di crescere rapidamente e raggiungere una dimensione di portata globale. L’enorme bacino che ha ancora Facebook aiuta coloro che guidano i gruppi a offrirli a un pubblico internazionale. Dunque, indipendentemente dalla nicchia dell’argomento, i costi per raggiungere nuovi membri sono nulli se confrontati a quelli del mondo offline.
I numeri evidenziano che la platea di pubblico più attiva nella creazione di community è senz’altro quella della cosiddetta Gen Z che però apprezza maggiormente altri social rispetto a Facebook. Oltre a operare su piattaforme come Instagram e YouTube, che continuano a mantenere il loro predominio, gli Zoomer si stanno spostando su nuove piattaforme come TikTok, che ha raggiunto nel settembre 2021 circa un miliardo di utenti attivi al mese.
Grazie alle tendenze della community sono nati veri e propri fenomeni culturali i cui protagonisti sono principalmente i creator, ma anche i brand, che hanno compreso il potenziale di TikTok. L’83% degli utenti dell’app di ByteDance, secondo Clear Strategy, gode di un atteggiamento positivo e una mentalità aperta che li fa propendere verso una risposta ai branded content. La media di risposta sulle altre piattaforme social è del 59%.
Un altro social che sta sempre più prendendo piede tra gli Zoomers è senz’altro Twitch, piattaforma che registra più del 73% di utenti con età inferiore ai 34 anni e oltre il 60% con età compresa tra 13 e 24 anni.
Twitch ha un enorme potenziale grazie alla sua capacità di favorire la nascita di community, dove le relazioni non sono un’eccezione, ma sono il collante che unisce streamers e spettatori: le conversazioni che avvengono durante il gaming streaming sono un elemento fondamentale della piattaforma, così come la possibilità per i fan di supportare i creators che seguono.
Attraverso l’osservazione dei vari social network si intuisce come la Gen Z sia notevolmente più a suo agio all’interno di community virtuali rispetto alla generazione precedente.
Interessante capire anche quali meccanismi si attivano nella formazione e lo sviluppo delle community. Studi dimostrano come il concetto di FOMO (fear of missing out), cioè la paura di rimanere tagliato fuori da ciò che sta succedendo, stia sempre più prendendo piede tra i più giovani. Secondo alcune rilevazioni, il 56% degli utenti dei social media sperimenta la FOMO.
Il problema della FOMO è che spesso si sviluppa per l’eccessivo utilizzo dei social dando origine a un fenomeno circolare dal quale non è semplice uscire. Per guarire serve ripristinare un rapporto equilibrato con gli strumenti social e lavorare sulle proprie insicurezze. Sono proprio queste ultime che portano i ragazzi a rifugiarsi nelle community.
D’altronde con almeno il 24% di adolescenti online quasi costantemente, è naturale che possano nascere problemi che riguardano, in particolare, i giovanissimi. Gli Zoomer sono la prima generazione a essere cresciuta con l’accesso a Internet e alla tecnologia digitale. Rappresentano, inoltre, un’importante fetta di mercato online. È stato stimato, infatti, un potere di spesa fino a 143 miliardi di dollari, vale a dire il 40% dei clienti globali nel 2020. Ma intercettare le community della Gen Z è tutt’altro che semplice. Questo perché gli Zoomer vogliono essere raggiunti in ogni piattaforma digitale in modo diverso, attraverso contenuti rapidi, visivamente efficaci e interattivi. Parliamo di una generazione stanca delle aziende che guardano unicamente al profitto.
«Per approcciarsi ai ragazzi della Gen Z - afferma il mio socio Alessandro La Rosa, Founder & CEO di CreationDose - è prima di tutto necessario esaminare e capire il loro linguaggio, gli interessi e gli atteggiamenti. Solo in questo modo è possibile costruire un rapporto autentico, basato sui valori in cui credono. Per fare comunicazione non è più sufficiente creare dei bei contenuti: bisogna entrare in empatia con chi usa i social media e offrire loro qualcosa in cui immedesimarsi».
Molti Zoomer, infatti, non scelgono un’azienda solo perché ha un prodotto o un servizio che soddisfa i loro desideri. Per conquistarli è necessario parlare direttamente a loro, non a un gruppo immaginario di clienti nel suo insieme. Importante è farlo in maniera autentica e non soltanto nei confronti del singolo individuo, ma di tutta la comunità.
Il 69% della Gen Z, inoltre, crede che i marchi dovrebbero aiutarli a raggiungere i propri obiettivi e più della metà ha smesso di utilizzare un marchio a causa delle sue cattive pratiche etiche.
Le aziende che non riusciranno a conquistare la Generazione Z non solo perderanno un’enorme sezione del mercato, ma potrebbero addirittura rimanerne escluse. Infatti, se prima erano i brand a orientare le scelte dei compratori, le community formate da zoomers sembrano aver invertito il processo, influenzando notevolmente il mercato con le loro tendenze.
Non distinguendo amici incontrati online da quelli del mondo fisico, non creando muri fra la vita virtuale e quella offline ed essendo membri di community considerate come gruppi di amici: se è vero che l’Uomo è destinato a vivere in comunità e che queste viaggiano in digitale, gli Zoomer sono i veri protagonisti di questo tempo.
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