Prop Trading, come funzionava prima del boom attuale

David Pascucci

29 Aprile 2023 - 15:41

Il prop trading è una vera e propria moda, ma come era prima del boom attuale? Vediamo insieme come sono nate le società di prop trading

Prop Trading, come funzionava prima del boom attuale

Sono oramai famosissime le società di prop trading, non solo in Italia ma in tutto il mondo, eppure questo fenomeno ha visto un vero e proprio boom solamente negli ultimi anni, da quando tutto è diventato più telematico, compresa la gestione di denaro di società che si occupano di trading proprietario. Ma come era l’industria del prop trading prima che nascesse questa moda? Quali erano le società più importanti e di cosa si occupavano nello specifico? Parlando con degli ex prop-traders, o meglio, tarders che hanno operato in delle vere e proprie trading houses, possiamo notare delle differenze abissali con quello che viene oggi considerato “Prop Trading”.

Ad oggi vengono costruite delle vere e proprie challenge, le quali vedono dei vincitori che riceveranno un capitale in gestione come “premio”, un capitale che dovrà poi essere gestito dal trader per generare profitti che generalmente verranno “splittati” (divisi) tra la società di prop trading e il trader stesso. In linea di principio funziona come le vecchie prop trading house, ma le differenze sono assolutamente abissali e le vedremo tra poco in questo articolo dove potremmo notare tutte le differenze, i pro e i contro dell’attuale trading proprietario con il vecchio concetto di prop trading house.

Le vecchie prop trading house, un po’ di storia

Siamo a ridosso dello scoppio della bolla immobiliare che ha portato alla grande crisi dei mutui subprime e in quegli anni i traders più forti delle piazze finanziarie globali, prime su tutte Londra e New York, si trovavano all’interno delle banche, in stanze separate rispetto al classico trading floor, una sorta di spazio dove le menti più brillanti potevano dare libero sfogo alle loro potenzialità da risk manager. Questi individui erano quelli che venivano definiti i “prop traders” di una banca, ossia traders che disponevano di un capitale scelto dalla banca e con il quale potevano fare investimenti e trading come meglio credevano, senza molti vincoli, tanta era l’affidabilità del loro operato. In pratica, erano delle vere e proprie superstar del settore e le banche se li contendevano a suon di stipendi e bonus simili solamente a quelli di uno sportivo di altissimo livello, con il vantaggio di avere però una grandissima privacy in confronto.

Arriva il 2008, il terremoto che ha scosso il mondo a livello finanziario e le banche si sono ritrovate a tagliare posti di lavoro e a stringere la loro operatività, conseguenza del processo di deleveraging che ha colpito tutto il sistema finanziario. Era rimasto il denaro utile a far correre le normali attività della banca, non di certo c’era denaro libero a disposizione dei prop traders.

Vi è così una vera e propria fuga di cervelli dalle banche ed ecco che molti di loro iniziano a cercare il loro posto all’interno degli hedge funds, dei family offices e all’interno di alcune società che gestiscono i loro stessi capitali con un’infrastruttura hardware simile a quella di una banca di investimento, appunto, le prop trading houses.

Il caso vuole che alcuni traders, mettendosi d’accordo, hanno deciso di aprire delle strutture dove potessero mettere a disposizione dei desk operativi simili a quelli dei traders istituzionali e formare nuovi traders per ottenere ancora più profitto. L’hardware era messo a disposizione dalla prop trading house, così come le connessioni ultra-.veloci, i vari servizi di informazione istantanea, così come il capitale di partenza, mancavano solamente altri traders da addestrare.

Cosa offriva una prop trading house

Punto di riferimento per le prop trading houses era sicuramente Londra, centro finanziario d’eccellenza per il continente europeo, ma non erano comunque da escludere altre città europee per il prop trading, come ad esempio Amsterdam. Sostanzialmente nelle prop trading house avevamo delle stanze con dei desk dove i trader potevano operare come meglio credevano, sui mercati che desideravano, ovviamente con la supervisione attiva dei gestori della società.

Ogni desk era munito di un terminale Bloomberg o Reuters, terminali dai costi annuali non di certo accessibili a tutti. La connessione è quella che viene definita Colt, ossia una connessione ultra-veloce e molto stabile anche in casi eccezionali, collegata direttamente al mercato finanziario di riferimento. I servizi di informazione in tempo reale, quelli che una volta venivano chiamati “squawk box” (da non confondere con le squawk boxes bancarie) erano attivi su tutti i desk e fornivano informazioni in tempo reale, rigorosamente a voce, sui dati macro in uscita, ottimo strumento per i traders che non potevano permettersi di togliere lo sguardo dai book di negoziazione.

Solitamente, il trader ospite della società, pagava una fee mensile per l’affitto della postazione con prezzi che solitamente partivano dalle 2500£ a salire.

Formazione e inserimento

Dopo un attento studio del curriculum, test di natura matematico-statistici e di logica, compreso un test di inglese, il trader poteva avere accesso ad un corso di formazione fatto dai proprietari della società, ex prop traders bancari. Il processo prevedeva, dopo l’invio del curriculum, il pagamento per il corso e l’inserimento all’interno di un desk di trading.

Dopo un periodo in “demo”, si poteva passare al capitale reale che consisteva in svariate decine di migliaia di sterline e i mercati di riferimento erano solitamente quelli dei futures, mercato prediletto dalla maggior parte di queste società.

Circa un 40% dei traders che venivano formati, diventava profittevole così da avere dei desk operativi pieni e che garantivano la copertura dei costi della struttura e la ripartizione del capitale della società per ogni trader. I trader avevano comunque dei limiti nella gestione del capitale, tra cui le perdite massime consentite oltre le quali il desk chiudeva la sua operatività per la giornata.

All’inizio, dopo il periodo dimostrativo, il trader doveva inizialmente gestire il capitale della società con un riconoscimento del guadagno per il trader pari al 10% del guadagno complessivo. Se il trader dimostrava di avere talento, o meglio, dimostrava una certa “consistency” (costanza) allora lo split saliva, prima al 20%, poi al 50% fino ad arrivare al 70% per quelli più bravi. I guadagni potevano essere veramente importanti e molti traders potevano letteralmente spostare i bid-ask dei book di negoziazione con un click, visto il numero di contratti che solitamente veniva negoziato.

Le differenze con il prop trading di oggi

Sicuramente la prima differenza è nella selezione del candidato trader. Nelle vecchie società si accedeva per mezzo dell’esame di un curriculum, test e poi si poteva accedere alla formazione. Oggi basta pagare, ed eccoci all’ìnterno di una challenge dove i risultati (di breve termine) contano.

La seconda sta nell’hardware a disposizione del trader. Difficilmente un trader che accede alle prop trading di oggi ha a disposizione un terminale Bloomberg o Reuters per fare trading, anzi, è tutto in mano propria, dalla connessione internet all’hardware, complice l’avanzamento tecnologico e la possibilità di avere comunque una connessione buona anche a prezzi accessibili ma neanche lontanamente paragonabile all’affidabilità di una Colt che ha accesso direttamente ai mercati.

La terza differenza è che le prop trading fisiche avevano dei traders di un livello tecnico avanzato, con un ottimo curriculum e un’ottima carriera alle spalle, a capo della società, cosa che non avviene oggi.

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