La Bank of England ha evitato (per ora) margin calls sui fondi pensione. E la Bce?

Mauro Bottarelli

28 Settembre 2022 - 19:59

Londra lancia nuovi acquisti di titoli a lungo termine: i buchi generati dal calo dei prezzi sulle strategie di copertura da tassi e inflazione minacciano rischi di controparte. BTP prossima vittima?

La Bank of England ha evitato (per ora) margin calls sui fondi pensione. E la Bce?

In un mondo ormai abituato al QE strutturale, gli stop-and-go delle Banche centrali rispetto ai programmi di acquisto non fanno più notizia. Il caso britannico, però, rischia invece di fare scuola. La Bank of England ha infatti deciso di intervenire direttamente con acquisti di titoli a lungo termine per placare gli aumenti fuori controllo dei rendimenti sui GILTS, di fatto mandando in stand-by il processo di normalizzazione monetaria reso necessario da un’inflazione in doppia cifra e da una sterlina ai minimi storici assoluti.

Nel suo comunicato, la Old Lady parla chiaramente di significative disfunzioni nel mercato obbligazionario, tali da generare un rischio materiale per la stabilità finanziaria. Insomma, un qualcosa che non permetteva ritardi nell’intervento. E se questo grafico

Andamento del rendimento dei titolo decennale britannico Andamento del rendimento dei titolo decennale britannico Fonte: Bloomberg

ci mostra come la decisione abbia generato un immediato calo di 40 punti base sul rendimento benchmark, stabilizzando anche il cross della sterlina, paradossalmente la variabile più preoccupante non è quella legata alla durata di quello che storicamente appare un effetto placebo, se non coordinato con altre Banche centrali, bensì il retroscena pubblicato dal Financial Times rispetto alla reale motivazione che sottendeva un intervento di natura così emergenziale.

Eccolo:

«Strappo» del Financial Times dedicato all'intervento della BoE «Strappo» del Financial Times dedicato all’intervento della BoE Fonte: Financial Times

la rotta da kamikaze assunta negli ultimi giorni dai prezzi dei bond sovrani britannici, un asset noto per la sua stabilità che oggi ha vissuto un balzo intraday del 14%, ha infatti generato a tempo di record richieste di coperture per i fondi pensione, i quali hanno visto erose le proprie posizioni difensive da inflazione e tassi di interesse in aumento e stavano per fronteggiare un effetto a valanga di margin calls. Praticamente, la Lehman di Mr. Smith. Ingestibile.

Soprattutto a fronte di una dinamica dei prezzi in doppia cifra, cui il nuovo governo ha opposto come ricetta un thatcheriano taglio delle tasse che il mercato ha salutato spedendo la sterlina negli inferi. Il problema, ora, è quello del cortocircuito. Con la Bank of England in modalità QE, dove andranno a finire le dinamiche dei prezzi? Perché al netto del dadaismo monetario delle nuove teorie stile helicopter money, proseguire con i rialzi del costo del denaro e contemporaneamente espandere lo stato patrimoniale acquistando bond equivale a togliere l’acqua con il secchio da una piscina, mentre la si riempie con la canna.

Time wil tell. Il problema è che questa volta lo tsunami finanziario ha sfiorato soggetti di mercato direttamente legati all’economia reale, piani di accantonamento che basavano la loro solidità proprio sul profilo risk-free del debito sovrano di Sua Maestà e sulla prudenza della Bank of England nel maneggiare eccessivi slanci di espansione. Insomma, la Trussnomics comincia con il piede sbagliato. Ma quanto appena accaduto Oltremanica apre scenari di riflessione anche sul continente, soprattutto alla luce degli ultimi due giorni di febbre post-elettorale dello spread sul nostro BTP.

E’ bastato infatti che tornasse a circolare l’ipotesi di aggiornamento del PNRR per far fibrillare il rendimento del nostro tiolo benchmark e spingere gli analisti a fissare in 250 punti base la nuova linea Maginot di sostenibilità. Ma al netto delle tensioni più o meno reali attorno alla formazione del nuovo esecutivo, occorre chiedersi per quanto tempo il mero reinvestimento titoli della Bce potrà operare da schermo sul nostro premio di rischio, stante una Bce che non vorrà/potrà seguire l’esempio della Bank of England. Sia per i livelli dell’inflazione, sia per le determinazioni di tutti i membri del board, sia per l’intransigenza della Bundesbank.

Se quindi dovesse andare fuori controllo la dinamica-madre di ogni rating di affidabilità dei nostri conti pubblici, cosa accadrà? Italia e Germania sono le uniche due nazioni che non hanno ancora ratificato a livello parlamentare le riforma del MES. Ma se Berlino sta unicamente attendendo il via libera formale della Corte costituzionale di Karlsruhe, Roma ha congelato la pratica per mesi unicamente per opportunità di tenuta del governo dei Migliori. Di fronte all’acronimo più temuto, infatti, il timore era che Lega e M5S potessero far saltare anticipatamente il banco.

Ora, però, tutto è cambiato. Il banco è saltato, il Paese è tornato al voto e da qui a un mese avrà un nuovo governo. Il quale, giocoforza, dovrà affrontare la pratica. Non fosse altro perché Bruxelles è stata chiara: per accedere eventualmente al TPI, lo scudo anti-spread basato su acquisti mirati e pro-quota, il Paese richiedente deve aver ratificato il nuovo MES. Un messaggio fin troppo chiaro, essendo solo due le nazioni in ritardo e non risultando credibile una Germania che chieda assistenza alla Bce.

Ancora per tre mesi, poi, vivremo nell’anno del trentennale del 1992 con le sue speculazioni. Anche all’epoca, la sterlina finì nel mirino. Poi toccò alla lira. Oggi il mondo è totalmente cambiato ma resta un fatto: la Gran Bretagna si è mossa, lanciando il suo azzardo, mentre Roma non può contare su una Bankitalia che si sveni. Deve far riferimento alla Bce. A quale prezzo? Mario Draghi sta per gustarsi la demoniaca vendetta di aver imposto a un governo Meloni la pratica MES da vendere all’opinione pubblica come mossa salvifica, dopo anni e anni di demonizzazione?

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