SOS Rendimenti

SOS Rendimenti

di Lorenzo Raffo

Bond oggi – Treasuries in crisi. Sarà questo il cigno nero del 2024?

Lorenzo Raffo

27 ottobre 2023

Bond oggi – Treasuries in crisi. Sarà questo il cigno nero del 2024?

Oltre il 5,2% di yield del decennale scatterebbe un vero allarme. Ancor più tale considerando che i tassi Fed dovrebbero scendere di 50 pb.

I future sugli Us Treasuries sono abbastanza incerti nel confermare quanto le leader dell’asset management d’oltreoceano prevedono da alcune settimane: per queste ultime i tassi di interesse Usa dovrebbero subire un ulteriore aumento a dicembre di 25 pb, salendo quindi al 5,75%. Il Fed rate monitor tool si espone invece per una bassa probabilità in tal senso, stimata in un 20% contro l’80% schierato per uno stato di stabilità. È pur vero che in due mesi la situazione potrebbe però cambiare e non di poco. Allo stesso tempo il rendimento del decennale Usa resta sui massimi al 4,9% dopo recenti veloci massimi oltre il 5%.

Tassi Fed nel 2024

E dopo? Sulle previsioni per il prossimo anno c’è più coincidenza di visioni. Sia gli istituzionali sia i future si allineano infatti su due tagli dei tassi, un primo in tarda primavera e un secondo in autunno, con un ritorno di fatto su una forchetta 4,75-5%, a seconda del massimo registrato a fine 2023. Tutto questo però è teoria! Il trend dell’anno in corso dimostra infatti un’imprevedibilità altissima dei pronostici. Al punto tale che si dava per certo un massimo di rendimento dei Treasuries al 5% alla metà dell’anno con però una successiva discesa. Ciò non sta avvenendo per un motivo molto semplice. Il deficit del bilancio federale Usa continua ad aumentare e presto o tardi si potrebbe così giungere a un punto di non ritorno. Inevitabilmente il mercato tenderà a tenere alti i rendimenti dei Treasuries ma la Fed si troverà costretta ad agire per ridurre il costo del debito pubblico. Considerando che il 2024 sarà anno di elezioni presidenziali (5 novembre) la confusione è destinata ad ampliarsi, con probabile salita della volatilità, soprattutto per le scadenze molto lunghe.

Treasuries, i livelli da seguire

Vediamo allora di identificare resistenze e supporti per il rendimento del decennale Usa (logicamente antitetico all’andamento delle quotazioni). Effettuando dei calcoli matematici, visto che i riferimenti grafici non possono essere attendibili in presenza di un superamento del 5%, stante il ricorso a periodi ormai molto lontani, in cui il quadro geopolitico ed economico era totalmente differente, un livello di arrivo in presenza di un aumento lo si può fissare nel 5,1% e in seguito nel 5,2%. I margini di pressione rialzista sono quindi modesti: se superati si determinerebbe un quadro molto delicato, quasi da Cigno nero. È inevitabile prendere in qualche modo in considerazione una simile ipotesi se si considera la somma di variabili caotiche quali appunto il debito pubblico (sempre in espansione negli anni di elezioni), le tensioni geopolitiche e le incertezze sull’esito delle stesse elezioni. Un rafforzamento invece per i Treasuries? In presenza di riduzioni dei rendimenti sotto il 4,7% e poi sotto il 4,5% (dati arrotondati).

Il mercato va agli estremi

In questo contesto gli scambi di Treasuries si concentrano sulla parte molto corta o molto lunga. Sul primo fronte è il caso, per esempio, dello 0,375% Ag24 Usd (Isin US91282CCT62), che quota sui 96,1 Usd e rende al momento il 5,5%. Sul secondo fronte parecchio seguito il T-Bond 2,25% Ag49 Usd (Isin US912810SJ88), trattato sui 59 Usd, con yield al 5,3%. È l’attuale curva a imporre questa netta divisione, che va a sfavore nella fase in corso del decennale. Occorre comunque evidenziare come gli indizi provenienti dalla curva portino a un rialzo della parte extralunga, che potrebbe anticipare una sua stabilizzazione se l’inflazione si riducesse ulteriormente e non prendesse il via una recessione. Fare previsioni in merito appare comunque al momento difficile, poiché gli scenari sono troppi ed eccessivamente complessi. Ne consegue che il rischio di un Cigno nero nel 2024 sale, portando a una baraonda di valutazioni tale da rendere sempre più difficile collocarsi sull’obbligazionario “made in Usa”.