Tasse sulle criptovalute: dove sono più basse, dove più alte, quali sono i paradisi fiscali

Dario Colombo

08/09/2022

Le Bahamas guidano la nuova classifica di Coincub. Italia tredicesima e terza in Europa, dietro la Germania. Belgio peggior nemico delle crypto

Tasse sulle criptovalute: dove sono più basse, dove più alte, quali sono i paradisi fiscali

Coincub, realtà irlandese che si occupa di analizzare tutte le criptovalute mondiali, ha redatto la nuova classifica in base alla tassazione degli investimenti in crypto e ci sono delle sorprese molto interessanti Una ci riguarda molto da vicino.

Si perché secondo gli esperti irlandesi, che adottano una visione ampia dell’adozione delle crypto in tutto il mondo, classificando i paesi su un’intera gamma di dati e informazioni, dal numero di blockchain, nodi e volumi di scambio alle politiche governative, normative, frodi e tasse, l’Italia è tredicesima in classifica, terza in Europa, dietro a un cosiddetto paradiso fiscale come il Liechtenstein e la Germania.

Dalla classifica generale Coincub ne ha tratto una particolare indirizzata a individuare i primi cinque paesi con la migliore tassazione crypto per i residenti, e qui l’Italia si posiziona ancora meglio; seconda, dietro a Germania e davanti a Svizzera, Singapore e Slovenia.

La metodologia utilizzata per la classifica

Intanto spieghiamo (prendendo direttamente dai documenti condivisi da Coincub) come viene redatta la classifica.
A Dublino non semplificano: considerano la tassazione materia complessa e attribuiscono o sottraggono punti a ciascun paese per avere una visione d’insieme della sua situazione fiscale. 

Punteggi negativi elevati riflettono paesi con tassazione elevata e punteggi positivi elevati riflettono paesi meno tassati, come Bahamas.
Nella classifica fiscale vengono assegnati 5 punti per aspetti del reddito in criptovalute esenti da tasse fino a una soglia di 10mila dollari, come sui guadagni o sulle plusvalenze. Oltre viene sottratto un punto.

Viene applicato questo sistema di punteggio all’imposta sul reddito e all’imposta sulle plusvalenze per le persone fisiche e per le aziende che si occupano di crypto. 
Per la classifica finale i paradisi fiscali, che offrono sgravi molto più generosi rispetto alle economie tradizionali non vengono confrontati direttamente.
Alcuni paesi separano gli investitori casuali in crypto dagli investitori regolari, ma le differenze non sono chiare e comprenderle, ammette Coincub, richiede consulenza fiscale.

Ci sono sempre più paesi che applicano aliquote fiscali flat sui guadagni per le persone fisiche. Buona parte raggruppa i guadagni fiscali delle crypto nella dichiarazione dei redditi come guadagni in conto capitale.
Nella classifica non viene data attenzione alla potenziale compensazione delle tasse attraverso perdite e spese di investimento o alla complessità delle ritenute d’acconto.

Crypto, la convenienza di giocare in casa

Al netto dei paradisi fiscali, che per definizione attraggono investitori esteri, Coincub ha preso in considerazione quei paesi che hanno deciso di adottare (per vari motivi, fra cui contenere l’elusione) una politica di aliquote fiscali basse per gli investimenti in crypto dei residenti.

E al primo posto di questa speciale classifica c’è la Germania, che risulta avere una tassa generosa sui guadagni da crypto se questa (come il bitcoin) viene conservata per oltre un anno. Dopo viene l’Italia, c cui Coincub attribuisce un sistema fiscale “complesso e in continua evoluzione”. 

In Svizzera, terza, la tassazione varia da cantone a cantone, ma le plusvalenze complessive per gli individui che investono in crypto sono esenti da tasse. Seguono Singapore, che non ha imposte sulle plusvalenze sui guadagni in crypto e la Slovenia, che non applica alcuna imposta sulle plusvalenze alle persone fisiche quando vendono bitcoin.

Dove le crypto sono malviste

Parimenti a Dublino si sono impegnati a fare la classifica inversa: i paesi che più penalizzano i residenti che investono in cripto valute.
Il peggior nemico delle crypto dal punto di vista fiscale è il Belgio.
Qui le plusvalenze su transazioni speculative di criptovalute sono soggette a tassazione, al realizzo, del 33%. Le transazioni di guadagni in criptovalute considerate come reddito professionale sono soggette ad aliquote fiscali progressive fino al 50%.

Dopo viene l’Islanda, dove si applicano aliquote fiscali progressive: a guadagni in criptovalute fino a 7.000 dollari viene applicato poco meno del 40% di tasse, per cifre superiori si va al 46%.
Terza è Israele, dove non ci sono esenzioni e la vendita di una crypto è generalmente soggetta a un’imposta sulle plusvalenze fino al 33%. 
Se l’investimento in criptovalute è considerato attività commerciale, l’imposta sul reddito è applicabile fino a circa il 50%.

Chiudono la classifica le Filippine, dove oltre i 4.500 dollari i redditi finanziari vengono tassati incrementalmente fino al 35%, e il Giappone, che sopra i 1.500 dollari applica una tassa dal 5 al 45%.

Ma le crypto dal punto di vista fiscale non se la passano bene nemmeno in altri paesi. Del resto, osservano da Coincub, quando si tratta di utilizzare le criptovalute come investimento o mezzo di reddito, qualsiasi situazione fiscale tende a seguire le caratteristiche naturali di un paese. 

Così allora negli USA le plusvalenze su criptovalute detenute meno di un anno sono tassate alla stessa aliquota della fascia di imposta sul reddito che viene applicata al contribuente, mentre per le criptovalute detenute per oltre un anno, l’imposta sulle plusvalenze diminuisce, ma può comunque arrivare fino al 20%.

L’India tassa del 30% tutti i profitti o le entrate derivanti dalle crypto, l’Austria applica ai guadagni in crypto un’aliquota fiscale del 27,5% che viene tenuta completamente separata dalla tassazione del reddito, in Norvegia i guadagni in criptovalute sono tassati al 22%, con prelievi che progressivamente vengono applicati se i guadagni crescono. In Danimarca i guadagni delle criptovalute sono soggetti a un’imposta sul reddito di circa il 37%, ma chi per ha un reddito elevato può salire fino al 52%.

I paradisi fiscali esistono ancora?

La domanda è retorica: certo che esistono, anche per le crypto. Osservano da Dublino (dove se ne intendono di fiscalità agevolata) che i paradisi fiscali tendono ad essere di piccole dimensioni fisiche ma con grandi vantaggi fiscali e incentivanti per gli investitori e le imprese che vi si trovano ma generano entrate dall’estero.

Così alle Bahamas le leggi favorevoli alle tasse per gli investitori stranieri generalmente si estendono anche alle tasse sulle criptovalute: i cittadini e gli stranieri residenti non pagano tasse sul reddito personale o sulle plusvalenze. Motivo? Il governo delle Bahamas guadagna abbastanza dall’imposta sul valore aggiunto e dalle tasse di bollo sulla proprietà, può fare a meno del resto.

Segue Bermuda, dove si accettano pagamenti per tasse, commissioni e servizi governativi in USD Coin (USDC) e al momento non si impongono tasse su transazioni o plusvalenze di asset digitali.

Terza è la Bielorussia, che alcuni anni fa ha deciso di esentare dalle tasse le persone e le aziende che si occupano di criptovaluta fino al 2023. Seguono Emirati Arabi Uniti, Repubblica Centrafricana (che ha adottato bitcoin come moneta a corso legale come El Salvador), Liechtenstein, che ha un’imposta forfettaria del 12,5% per i redditi all’estero e un’esenzione fiscale per le imprese con sede nel principato, Malta (definita da Coincup la “blockchain island”), Malesia, Gibilterra, Taiwan, El Salvador e Panama.

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