Avete mai sentito parlare della stroncatura calabrese? Una pasta un tempo illegale, oggi servita anche nei ristoranti stellati.
Oggi raccontiamo la storia della stroncatura calabrese (o struncatura come nella forma dialettale) una pasta nata povera e persino illegale, che negli ultimi anni ha vissuto un momento di grande popolarità, fino a conquistare il cuore degli chef più rinomati.
È stata scelta anche per rappresentare parte del ricco patrimonio culinario calabrese al padiglione Rai di Expo 2015.
A prima vista, può sembrare semplicemente una tipologia di pasta integrale, ma chiunque l’abbia assaggiata almeno una volta sa che il suo gusto particolare al palato e la texture ruvida che la contraddistingue sono davvero inconfondibili.
Ogni buon calabrese ha la sua ricetta personale per cucinarla, solitamente tramandata e custodita in famiglia da generazioni. Oggi, naturalmente, non è più illegale consumarla, ma scopriamo come è arrivata dai piatti dei braccianti più poveri a diventare simbolo gastronomico della regione.
Stroncatura calabrese: che cos’è? La sua storia
Per conoscere le origini della stroncatura bisogna tornare indietro nel tempo, alla Calabria dei latifondi, quando la popolazione viveva principalmente di agricoltura e allevamento, sotto il dominio dei proprietari terrieri.
Non di rado, i contadini vivevano in condizioni durissime e anche portare un piatto di pasta in tavola era un lusso per pochi. Spesso, si accontentavano degli scarti alimentari dei signorotti come, ad esempio, le bucce di patate.
Durante la molitura del grano si usava raccogliere gli scarti dal pavimento, farine e crusche, grano intero, segale e semola miste allo sporco, da cui si realizzava una pasta molto dura, una sorta di fettuccina scura e acidula, destinata ad alimentare i cavalli.
Si pensa che sia una pratica importata dai commercianti provenienti dalla Costiera Amalfitana. Spesso, però, anziché essere utilizzata come mangime, finiva di nascosto sulle tavole dei braccianti, costretti ad accontentarsi anche di un alimento per animali.
Essendo prodotta con metodi non igienici, venne vietato il consumo da parte degli esseri umani. Ma, nonostante i divieti, si creò presto un grande traffico illegale tra le persone, che cominciarono a distribuirla sotto banco nelle botteghe, quasi come merce di contrabbando.
Per mascherare il suo sapore un po’ forte, si utilizzavano ingredienti contadini come l’olio, le olive, il pomodoro, le acciughe e naturalmente il peperoncino calabrese, che si sposavano perfettamente con questa tipologia di pasta, dandole un gusto che ancora oggi è irresistibile.
Nasce così la storia della stroncatura calabrese. Oggi, si produce usando grano duro, solo le parti del chicco che hanno meno zucchero e più fibre (che le conferiscono il suo colore tipicamente scuro) semola e acqua, meno lo sporco. Si modella in uno stampo in bronzo tradizionale chiamato dado, che le conferisce una superficie robusta e porosa, perfetta per aggrapparsi al condimento.
I calabresi non hanno mai smesso di mangiarla e amarla, ma solo di recente, ora che il recupero dei cibi locali e della tradizione è diventato un trend consolidato e le pratiche illegali sono un antico ricordo, questa pietanza è entrata nelle grazie della gastronomia italiana. Ciò ha persino scatenato una battaglia tra paesi, soprattutto Palmi e Gioia Tauro, che si contendono la sua paternità, anche se collocarne esattamente le origini è un’impresa piuttosto ardua.
Dove consumare un buon piatto di stroncatura originale
Per consumare un buon piatto di stroncatura calabrese, preparato con la ricetta originale, bisogna recarsi nella zona della piana di Gioia Tauro o comunque nella provincia di Reggio Calabria, dove è più radicata nella tradizione.
Non è impossibile trovarla anche nei menu dei ristoranti (compresi quelli stellati) in giro per l’Italia e per il mondo, ma se volete assaggiarla dove si fa ancora alla vecchia maniera, vi consigliamo un paio di indirizzi.
In versione gourmet la troverete, ad esempio, al Quafiz, ristorante da una stella Michelin situato a Santa Cristina D’Aspromonte, dove la stroncatura fa parte del progetto di recupero delle pietanze tradizionali portato avanti dallo chef Nino Rossi e si trova spesso nel menu, insieme ad altri prodotti tipici calabresi come la sardella e la nduja.
Se preferite i sapori decisi tipici delle trattorie, invece, nella piana di Gioia Tauro tutti i ristoratori hanno la propria ricetta di famiglia e non avrete problemi a trovare il posto giusto dove ordinarne un piatto. Una volta lì, chiedete anche un consiglio su dove acquistare quella originale (sì, esistono anche le imitazioni) perché vorrete certamente rifarla a casa. E già che ci siete, assicuratevi di procurarvi anche olive e peperoncino locali.
Sul Lungomare di Gioia Tauro c’è un ristorante, l’ex Antica Ciambra, talmente famoso per questo piatto che ha cambiato il suo nome proprio in “Stroncatura”, dove la propongono in tantissime varianti, persino in versione pizza.
A Palmi, da De Gustibus, si parte dalla più tradizionale fino a rivisitazioni con ingredienti di stagione. Oppure, recandovi nel paesino di Polistena, potreste andare a trovare Giampiero e la sua famiglia, al Ristorante Enoteca Donna Nela, dove la stroncatura si fa con la ricetta di casa e in questo periodo si può ordinare anche da asporto.
Al netto delle varie interpretazioni, questa è la ricetta della stroncatura classica: le acciughe soffritte nell’olio extravergine con il peperoncino e l’aglio, un tocco di passata di pomodoro, olive nere, una bella saltata in padella, mollica di pane sbriciolata e rosolata (la cosiddetta ammollicata) e un po’ di formaggio sopra. Sembra semplice, ma solo una mano esperta può bilanciare gli ingredienti alla perfezione, garantendo quell’esplosione di gusto che conquista al primo boccone.
Ora sapete tutto sulla stroncatura calabrese, manca solo prenotare una vacanza in questa bellissima regione per correre ad assaggiarla. Non ve ne pentirete, sapevate che alcune spiagge in Calabria sono tra le più belle d’Italia? Provare per credere.
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