Dimissioni di Truss: “È vittoria del mercato sul sovranismo e lezione per l’Italia di Meloni. La sterlina risalirà, ma va rivista la Brexit”

Giacomo Andreoli

20/10/2022

Secondo Carlo Altomonte, professore di politica economica europea dell’università Bocconi, la premier inglese Liz Truss si è dovuta scontrare con l’impossibilità di applicare il sovranismo economico.

Dimissioni di Truss: “È vittoria del mercato sul sovranismo e lezione per l’Italia di Meloni. La sterlina risalirà, ma va rivista la Brexit”

Questa vicenda di Truss è la pietra tombale su qualsiasi politica fiscale a debito in un momento così delicato per l’economia internazionale. Una lezione per l’Italia e il nuovo governo, probabilmente di centrodestra”. Così Carlo Altomonte, professore di politica economica europea dell’università Bocconi, commenta a Money.it le dimissioni della premier inglese Liz Truss.

La numero uno di Downing Street ha lasciato dopo essere finita nell’occhio del ciclone per aver annunciato un piano shock di politica fiscale che avrebbe ridotto le tasse (soprattutto ai più ricchi) e aumentato gli aiuti a famiglie e imprese, facendo crollare la sterlina e spaventando i mercati.

Il piano è stato prontamente ritirato, con le dimissioni del ministro dell’Economia, un nuovo intervento (che invece le tasse le aumenta) e un secondo Cancelliere dello Scacchiere. Tutto ciò però non è bastato a frenare le pressioni all’interno e all’estero del partito conservatore inglese affinché Truss lasciasse.

Perché la sterlina ora può risalire

Secondo Altomonte, Liz Truss sarebbe stata identificata come una delle cause del crollo della sterlina, perché ha legato il suo nome a una politica fiscale che non è stata ritenuta sostenibile dal mercato. Pertanto ora “la sterlina dovrebbe solo che beneficiare dalle sue dimissioni, anche se si andasse a elezioni immediate e lo dimostra il primo trend al rialzo dopo il cambio del ministro dell’Economia”.

Quello che è successo sarebbe “un’inversione di rotta in cui il mercato rimette in pista e fa prevalere le sue opinioni su certe scelte politiche: gli investitori vogliono vedere un minimo di certezza sul fatto che non si vadano a danneggiare i conti pubblici del Regno Unito”.

Il punto, insomma, è che a prescindere da ogni orientamento di politica economica, la tempistica sarebbe stata sbagliata, perché “hanno annunciato uno shock fiscale a debito in un momento in cui il mercato voleva sentirsi dire tutt’altro”. Per Altomonte “puoi guadagnare dalla differenza tra inflazione e debito esistente, come ha fatto il governo Draghi in Italia, non fare debito in più per abbassare le tasse, con gli investitori consapevoli che prima o poi, così, dovrai rialzarle”.

Il problema per i titoli di Stato e gli asset europei

Il tema, però, non sarebbe solo la stabilità di un Paese importante in Europa, seppur fuori dall’Unione, come il Regno Unito, ma anche il gradimento del mercato rispetto agli asset europei (come i titoli di Stato) e la riflessione su quali politiche fiscali sono funzionali all’attuale situazione economica (tra inflazione alle stelle, caro energia e mosse aggressive della Bce).

Il mercato - dice Altomonte - vede un’inflazione non sotto controllo e tassi di interesse che possono salire, con titoli di Stato ed asset europei che diventano rischiosi da acquistare per possibili perdite. Contrariamente a quella americana, l’inflazione europea è meno soggetta a domanda interna e meno controllabile dalle politiche monetarie della nostra Banca centrale, soprattutto se non si trova un accordo sul price cap. Non c’è appetito sugli asset europei in questo momento e tantomeno ci può essere se si annuncia una politica economica che può mettere in difficoltà le finanze di un Paese”.

Perché le dimissioni di Truss sono una lezione per Meloni

Il professore della Bocconi, quindi, commenta la copertina dell’Economist che titolava “Britaly”, paragonando le difficoltà del governo e dell’economia inglese all’Italia. Della serie: “siamo ridotti come Roma”. “Una caduta di stile - tuona - il nostro peggior governo balneare da noi durava quattro mesi, il loro è durato 45 giorni, quindi non ci devono prendere in giro”.

La loro vicenda, al contrario, sarebbe un segnale per l’Italia, su cosa non fare in questo momento. “Se già una nazione sovrana sulla carta perché fuori dall’Ue - argomenta - si è salvata solo perché la Banca d’Inghilterra ha potuto sostenerla stampando moneta e comprando debito, evitando che i tassi salissero in modo tale da mettere in crisi di liquidità i fondi pensione, a maggior ragione può andare in crisi con politiche alla Truss una nazione come l’Italia che dal punto di vista monetario non è sovrana”.

Insomma, il messaggio per il centrodestra che si appresta a governare è evidente. “Un conto - ricorda Altomonte - è ciò che vuoi fare in campagna elettorale, promettendo aiuti e tagli di tasse a debito puro, altro conto quello che in questa situazione economica si può riuscire a fare. La strada è spingere la crescita con gli investimenti e le riforme del Pnrr, da cui recuperare risorse per debito buono, cioè quello che permette di non sacrificare la stabilità finanziaria del Paese ai legittimi obiettivi di politica economica”.

Il sovranismo e la Brexit non hanno funzionato?

Il ragionamento del professore sfocia poi nella critica contestualizzata alla stessa idea di sovranismo economico. “La lezione non è meno Europa - spiega - ma semmai di più. La vera sovranità è capacità di gestire l’interconnessione e lo dimostra il fatto che la Brexit così come è stata pensata da Theresa May e Boris Johnson non ha funzionato. Tutti i Paesi nel mondo globale sono interdipendenti e sono sovrano se riesco a gestire questa interdipendenza nel migliore dei modi possibili per me”.

Quindi ricorda che, nonostante la Brexit, l’Unione europea rimane il partner commerciale numero uno del Regno Unito e si dice convinto che ora bisogna tornare parzialmente indietro. Quello che propone è di negoziare un qualche rientro nel mercato unico, tramite un accordo di libero scambio o un trattato di cooperazione, eliminando il più possibile blocchi e oneri: insomma tutte le cosiddette “barriere non tariffarie”, eliminando carichi amministrativi e burocratici, che per il professore creano problemi sia per il Regno Unito che per l’Ue.

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