Banche in crisi in Italia: l’elenco dei fallimenti dal 1892 ad oggi

Flavia Provenzani

7 Aprile 2023 - 16:15

Un elenco completo di tutte le banche italiane fallite, in crisi, commissariate, che hanno fatto perdere milioni (di euro) e miliardi (di lire) allo Stato e agli ignari risparmiatori.

Banche in crisi in Italia: l’elenco dei fallimenti dal 1892 ad oggi

Quali banche sono fallite in Italia (fino ad oggi)? Quali sono le storie dietro al crack e al fallimento degli istituti italiani che hanno fatto vacillare dell’economia italiana e perdere milioni di euro (o miliardi di lire) a investitori e risparmiatori privati?

Con il fallimento dell’americana SVB, dell’elvetica Credit Suisse e l’effetto apprezzabile oggi sull’intero comparto bancario mondiale, è utile fermarsi e studiare la storia, una cara consigliera capace di insegnare e ammonire, con l’obiettivo ultimo di evitare i soliti errori.

A partire dal 1892 sono state molte le banche italiane in crisi che sono fallite o che si sono ritrovate costrette a richiedere un aiuto di Stato. Quali sono? Ecco l’elenco delle banche fallite in Italia.

Banche fallite in Italia: l’elenco

La storia delle banche fallite in Italia - e relativo elenco - è più ricca di quanto si possa immaginare e dimostra come i fallimenti bancari si siano rivelati ricorrenti nell’ultimo secolo, a dimostrazione del fatto che non sempre i diretti responsabili sono da ricercare nello scenario politico.

Il motivo principale per qui una banca fallisce, in Italia come nel resto del mondo, e che in qualche modo accomuna tutte le banche italiane fallite riportate nell’elenco che segue, è sempre lo stesso: l’istituto bancario presta soldi a privati o aziende non meritevoli, incapaci poi di restituire quanto dovuto, quei soldi non tornano indietro, la liquidità della banca viene intaccata e si innesca un effetto a catena che si conclude con il fallimento della banca o un deciso intervento da parte dello Stato per evitare il peggio.

Tuttavia, esistono delle eccezioni, che trovano il motivo del fallimento della banca in una vera e propria truffa: ne è un esempio eclatante quanto accaduto con lo scandalo della Banca Romana tra il 1892 e il 1894 e, un secolo dopo, con il crack del Banco Ambrosiano.

1) Banca Romana (1892-1894)

Il fallimento della Banca Romana e il relativo scandalo hanno segnato per sempre la storia del comparto bancario italiano e la sua moderna conformazione. Siamo di fronte al primo scandalo politico-finanziario, e all’epoca anche il più grave, dall’Unità d’Italia.

Il grave coinvolgimento di personaggi di spicco della politica, la corruzione, lo scoppio della bolla immobiliare romana nata con la nomina di Roma a nuova capitale del Regno, oltre ad essere dei fatti indelebili nelle pagine della storia hanno anche avuto il ruolo di rendere palese la necessità di istituire una banca centrale nazionale. Nel corso delle indagini e della risoluzione della crisi di Banca Romana, infatti, nacque la Banca d’Italia.

2) Banco Ambrosiano (1982)

Non solo crediti deteriorati e crisi finanziaria, ma anche terrorismo, mafia e conti offshore in paradisi fiscali: sono questi gli ingredienti principali del fallimento di Banco Ambrosiano, anno 1982.

Il suo presidente Roberto Calvi, noto con il soprannome di Il banchiere di Dio, è entrato di diritto nella storia del costume italiano grazie alla grave crisi di liquidità creata nelle casse del Banco Ambrosiano, al suo coinvolgimento con lo IOR - l’Istituto per le Opere di Religione (IOR) era maggiore azionista dell’Ambrosiano -, all’adesione alla loggia massonica P2, alle decine di conti offshore e ai suoi rapporti con Cosa Nostra e la Banca della Magliana. Venne trovato morto impiccato - in circostanze sospette - sotto il Ponte dei Frati Neri, a Londra.

Quattro giorni dopo la misteriosa morte del banchiere, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, su proposta della Banca d’Italia, dispose lo scioglimento degli organi amministrativi dell’istituto; il 6 agosto 1982 la banca viene messa in liquidazione.

Il debito creato attraverso l’operazione di Calvi sui conti offshore (debito delle società offshore controllate dallo IOR verso il Banco Ambrosiano) ammontava a 1,2 miliardi di dollari. Attraverso quello che definì un «contributo volontario», la Banca Vaticana pagò l’ammontare di 250 milioni di dollari. Nasce così il Nuovo Banco Ambrosiano, attraverso una cordata di diverse banche pubbliche e private, che rifondano l’istituto e iniettano nuovo capitale per 600 miliardi di lire.

Alcune banche pubbliche (BNL, IMI, Istituto San Paolo di Torino) e private (Banca Cattolica del Veneto, Banca Popolare di Milano, Banca San Paolo di Brescia, Credito Emiliano e Credito Romagnolo) compartecipano alla rifondazione della banca con un’iniezione di nuovo capitale per 600 miliardi di lire. Nasce così Nuovo Banco Ambrosiano.

3) Cassa di Risparmio di Prato (1987)

Il caso di Cassa di Risparmio di Prato è passato alla storia: si tratta della prima banca italiana salvata dal fallimento grazie ad un bail-out reso possibile attraverso il Fondo Interbancario di tutela dei depositi, appena costituito. Venne comprata subito dopo da Banca Monte dei Paschi di Siena. I motivi della crisi della banca, specializzata in finanziamenti nel campo del tessile, sono da ricercare nell’erogazione di numerosi prestiti a personaggi legati al mondo della politica che, tuttavia, non fornivano le garanzie necessarie.

4) Cassa di Risparmio di Venezia (1992)

La prima cassa di risparmio fondata in Italia l’11 gennaio 1822, andò in default 170 anni dopo come conseguenza di una serie di previsioni errate sui cambi, che causa non solo la forte svalutazione della lira ma anche uno sviluppo eccessivo dei crediti in valuta senza che avessero una copertura del rischio di cambio. Il buco venne facilmente colmato dalle casse di diverse altre banche venete, ma quanto accaduto scatenò la crisi di altre casse di risparmio. Cassa di Risparmio di Venezia venne poi acquisita dal gruppo Intesa, un processo di assorbimento che ha trovato conclusione definitiva solo nel 2014.

5) Varie Casse di Risparmio meridionali (1995)

Diverse Casse di Risparmio nel Sud Italia - e che operavano in Campagnia, Calabria, Sicilia e Puglia, nello specifico -, andarono in crisi a causa della concessione di prestiti a clienti senza garanzie, mancata diversificazione della concentrazione del credito e, come spesso accade, per rapporti loschi con personaggi politici. La risoluzione della crisi avviene attraverso l’aggregazione in banche più solide, in primis Cariplo (Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde) che, nel 1998, con il Banco Ambrosiano darà vita a Banca Intesa.

6) Banco di Napoli (1995)

Il Banco di Napoli si è trovato ad affrontare la stessa identica situazione descritta precedentemente. Il management assecondava qualunque richiesta di prestito proveniente da amici e conoscenti senza avere alcuna cura circa il profilo di solvibilità, garanzie, o banalmente la capacità a ripagare quanto dovuto. Il fallimento era inevitabile. Per mezzo della Cassa del Mezzogiorno, lo Stato fu costretto a intervenire attraverso il Decreto Sindona, con una spesa di 12.000 miliardi delle allora lire, per un esborso che ad oggi dovrebbe aggirarsi attorno i 12 miliardi di euro.
La crisi del Banco di Napoli rappresentò un altro passo verso la crisi di tutto il sistema bancario meridionale e, conseguentemente, la sua scomparsa.

7) Bipop-Carire (2001-2002)

Nata dalla fusione tra Popolare di Brescia e Cassa di Reggio Emilia, i risparmiatori e investitori di Bipop-Carire cadono vittime di operazioni illegittime e sistematicamente nascoste, tra cui spicca un’esposizione di 50 milioni di euro nei confronti di 50 società a rischio, Le accuse vanno dall’aggiotaggio al falso all’appropriazione indebita, fino all’associazione per delinquere, accuse mosse l’ultima volta vent’anni prima al Banco Ambrosiano.

Due anni prima della crisi la banca vantava una crescita solida. Dopo la fusione dei due istituti nel 1999, Bipop-Carire acquista banche e società con la guida di Bruno Sonzogni e Maurizio Cozzolini. Nel 2000 il primo acquista la tedesca Entrium, faro nel neonato settore delle banche online, per 2,5 miliardi di euro. Poco dopo, le azioni Bipop-Carire, al loro culmine, valgono 12,6 euro ciascuna, per una capitalizzazione di mercato di 20 miliardi di euro, lo stesso valore dell’epoca di Fiat.

Arrivano le difficoltà: il settore bancario su internet rallenta, arriva un esposto dell’Adusbef, l’Associazione per la difesa degli utenti di servizi bancari e finanziari per gravi irregolarità, e la situazione peggiora di giorno in giorno. Ad ottobre 2001 si dà il via all’inchiesta giudiziaria. Improvvisamente nei conti fanno capolino sofferenze e buchi di bilancio. Arriva il delisting da Piazza Affari. Sono migliaia i risparmiatori a perdere tutto. La crisi ha fine nel 2002, con l’acquisizione da parte del gruppo bancario Capitalia.

8) Banca 121 - Monte dei Paschi di Siena (2002)

Nel 2002 MPS e la sua controllata pugliese Banca 121 collocano My Way, poi 4You, un prodotto bancario che si rivelerà tossico, una vera e propria truffa finanziaria, come da Sentenza della Corte di Cassazione. Lo scandalo è talmente grande da costringere il vertice della banca dimettersi. Molti risparmiatori, ma non tutti i 180.000 che sottoscrissero tali prodotti, vennero risarciti.

Il contratto bancario, annullato poi dalla sentenza n.791/2001 del Tribunale di Caltanissetta, portava con sé un collegamento negoziale tra più contratti complessi: un finanziamento rimborsabile in 15-30 anni, l’acquisto-custodia e gestione di obbligazioni (European Investiment Bank o altro) e quote del fondo comune azionario (Spazio Finanza Concentrato o Ducato), la costituzione in garanzia dei titoli subordinati e l’apertura di un conto corrente finalizzato al regolamento delle partite di dare e avere derivanti dalle altre richiamate operazioni. Ai risparmiatori fu detto di stare sottoscrivendo piani previdenziali con la promessa di restituzione del capitale in qualsiasi momento. Nella pratica, il risparmiatore si ritrovava ad auto-prestarsi di soldi dalla banca per investire in prodotti altamente speculativi.

9) Crack Parmalat, Cirio, titoli di Stato argentini (2003)

Nessuna crisi o fallimento di banche, è vero. Ma furono decine di migliaia i risparmiatori a fidarsi delle proprie banche, investire in stumenti finanziari legati a Parmalat, Cirio e titoli di Stato argentini, per poi perdere tutto.
Diverse banche sono state colpevoli di spingere i suddetti investimenti - guadagnandoci le relative commissioni - senza spiegare tutti i rischi legati all’acquisto.

10) Bancopoli (2005)

Nell’estate del 2005 scoppia il caso soprannominato dalla stampa italiana «Bancopoli». Anche qui, un caso di costume che per mesi occupò le prime pagine dei giornali. Dall’accaduto acquisterà notorietà la locuzione «furbetti del quartierno», pronunciata da un intercettato Stefano Ricucci in riferimento alle banche estere che stavano tentando di scalare BNL e Antonveneta. La sua accezione però prese il verso opposto: i furbetti del quartierino diventarono Ricucci, Gianpiero Fiorani e tutti i protagonisti coinvolti in diverse inchieste giudiziarie nate dal caso Bancopoli.

Un anno prima, la banca olandese ABN Amro inoltrò una richiesta di autorizzazione alla Banca d’Italia per salire dal 12,6% al 20% nel capitale di Banca Antoniana Popolare Veneta, attraverso un’operazione che l’avrebbe fatta diventare azionista di maggioranza. Allo stesso modo, la spagnola Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (BBVA), che al tempo deteneva il 15% del capitale di Banca Nazionale del Lavoro (BNL), fece richiesta per scalare.

A inizio 2005 arriva l’ok alla Banca Popolare di Lodi (BPL) da parte della Banca d’Italia per poter scalare fino al 15% del capitale di Antonveneta. Il 29 marzo BBVA lancia un’OPA per raggiungere la maggioranza in BNL; il giorno dopo ABN Amro lancia un’altra OPA su Antonveneta. Il 29 aprile BPL lancia un’Offerta Pubblica di Scambio (OPSC) su Antonveneta, mentre il 19 luglio Unipol lancia un’OPA su BNL. Si verifica quindi una situazione in cui due banche italiane andavano a contrastrare le offerte di due banche straniere, i cui tentativi fallirono.

Lo scandalo arriva il 25 luglio: la procura di Milano sequestra i titoli Antonveneta detenuti da Banca Popolare Italiana (renaming di BPL), come conseguenza delle indagini iniziate tre mesi prima.

Si venne a scoprire, infatti, che l’amicizia tra l’ad di BPL Gianpiero Fiorani e il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio aveva favorito un occhio di riguardo per la banca italiana e rallentato le richieste inoltratate da ABN Amro e che nel 2004 era stata inaugurata una scalata occulta nel capitale di Antonveneta.

Speghiamo meglio i fatti: nel 2005 Fiorani raggiunge una quota di possesso del 52% di Antonveneta, attraverso sia la partecipazione diretta di BPL, sia attraverso altre società, il tutto tramite liquidità proveniente da aumenti illeciti delle commissioni bancarie applicate ai clienti e dalla sottrazione di capitale dai conti correnti e investimenti di clienti appena defunti. A maggio dello stesso anno, Fiorani viene nominato ad, e il giorno dopo la procura di Milano apre un fascicolo con aggiotaggio come ipotesi di reato. L’accusa è quindi quella di aver manipolato il prezzo delle azioni di Antonveneta per ostacolare l’OPA di ABN Amro. Arriva poi l’iscrizione al registro degli indagati per ipotesi di reato di insider trading, aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza e la sospensione del consiglio di amministrazione della Antonveneta.

Ma lo scandalo ha dimensioni ben maggiori: Francesco Frasca, responsabile della vigilanza presso Bankitalia, viene iscritto sul registro degli indagati a Roma l’ipotesi di reato di abuso d’ufficio data la presenza di diverse irregolarità sui controlli applicati alla BPL di Fiorani durante l’operazione di acquisizione delle azioni di Antonveneta.

Il 25 luglio vengono sequestrate le azioni Antonveneta in mano a BPI e aziende collegate. Fiorani si dimetterà dalla carica di ad di BPI solo il 16 settembre, quando viene accusato di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale, oltre che di aggiotaggio, insider trading e ostacolo all’attività di vigilanza della Consob, falso in bilancio e falso prospetto.

Diversi protagonisti del mondo dell’imprenditoria e della finanza si riveleranno coinvolti. È il caso, ad esempio, dell’allora ad della compagnia di assicurazioni Unipol, Giovanni Consorte. In autunno arrivano le dimissioni del ministro dell’Economia e delle Finanze Domenico Siniscalco, in protesta contro la posizione del Governo Berlusconi II, poco interventista nel caso Bancopoli.

Arriva un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Fiorani che, in sede di inerrogatorio, ammetterà di accumulato un tesoro di 70 milioni di euro sulle spalle dei clienti della banca da lui guidata. Faranno seguito le dimissioni del Governatore di Banca d’Italia.

A inizio 2006 ABN Amro acquista il 25,9% del capitale in mano di BPI, portando il suo controllo sulla Antonveneta al 55,8%. Pochi giorni dopo la Banca d’Italia blocca l’OPA di Unipol su BNL, a cui fa seguito l’acquisto da parte di BNP Paribas del 48% di BNL da Unipol.

11) Banca Italease (2006)

All’epoca era la banca italiana più grande con specializzazione nel leasing immoboliare. Vittima dei «furbetti del quartierino» e di una malagestione, viene incorporata 9 anni dopo la Banco Popolare.

12) Monte dei Paschi di Siena (2008)

Tra le più note crisi bancarie italiane negli ultimi anni, la sua «risoluzione» ha richiesto l’acquisto di 20 miliardi di euro in azioni MPS da parte dello Stato italiano, che ne è diventato socio di maggioranza. Ma non è finita qui: a livello giudiziario la questione legata alla crisi del Monte dei Paschi non è ancora da ritenersi conclusa, come anche la ricerca e la condanna dei suoi responsabili.

A far scoppiare la crisi la scalata di MPS sul capitale dell’Antonveneta, appesantito da grandi quantità di creditit deteriorati. In occasione dell’operazione non furono seguiti tutti i procedimenti necessari per agire in maniera regolare. E sì, lo Stato è ancora socio di maggioranza di MPS (al 64,23% del capitale sociale).

13) Banca Carige (2012)

Frutto ancora una volta di una malagestione perpetuata da un’unica persona, anche la crisi di Banca Carige ha conquistato le prime pagine dei giornali per mesi. Il 2012 è l’anno in cui viene pubblicato il primo bilancio in negativo, prima delle indagini di Banca d’Italia da cui emerserò diversi illeciti.

Nel 2014 fallisce lo stress test della BCE, mentre due anni dopo entra nel capitale la famiglia Malacalza.
Posta in amministrazione straordinaria nel 2019, tale decisione è stata annullata nell’ottobre 2022 dal tribunale Ue, come anchela successiva decisione del marzo 2019 che ne prorogava la durata fino al 30 settembre 2019. Sono stati persi circa 1.000 posti di lavoro.

Il titolo viene sospeso in borsa il 2 gennaio 2019, dopo 24 anni di presenza ininterrotta. Riammessa nel luglio 2021, nella prima seduta perde quasi il 60%. In preparazione
Banca Carige le sue attività con la fusione per incorporazione in BPER Banca il 28 novembre 2022, due mesi dopo un nuovo delisting.

La crisi è costata allo Stato italiano oltre 630 milioni di euro.

14) Banca Tercas (2012)

Dal 2012 al 30 settembre 2014, Banca Tercas viene messa sotto commissionamento dalla Banca d’Italia. Al termine della crisi della banca, il 1º ottobre 2014 viene acquistata dalla Banca Popolare di Bari, che sottoscrive l’intero aumento di capitale di Banca Tercas per 230 milioni di euro.

L’anno successivo la Commissione UE stabilisce che il precedente salvataggio era da ritenersi un aiuto di Stato, con conseguente necessità da parte di Banca Tercas di restituire l’aiuto al FITD, che procede con l’istituzione di un meccanismo di intervento volontario al fine di consentire alle banche aderenti un nuovo trasferimento di capitale per quasi 272 milioni di euro.

Nel 2016 Banca Tercas e la sua controllata Banca Caripe vengono fuse per incorporazione nella Banca Popolare di Bari, mentre il provvedimento della Commissione viene annullato il 19 marzo 2019 dal Tribunale dell’Unione europea.

15) Banca Etruria & Co. (2015)

La crisi delle piccole banche territoriali vede come protagoniste Banca Etruria, Carichieti e Cassa di Risparmio di Ferrara. La quantità di crediti deteriorati si era fatta insopportabile. Viene istituito il noto Fondo Atlante, ai fini di iniettare liquidità a supporto.
Il tutto si concluse nei mesi e negli anni successivi con l’acquisizione da parte di banche più grandi.

16) Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza (2017)

Ancora una volta sono i crediti deteriorati - i cosiddetti NPL - a scatenare la crisi bancaria che ha coinvolto Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza già a partire dal 2015. La prima ipotesi di fusione tra le due realtà venne scartata. Il passaggio successivo e inevitabile fu il commissariamento, fino all’acquisto da parte di Intesa Sanpaolo alla cifra simbolica di 50 centesimi di euro.

17) Banca Popolare di Bari (2019)

Nell’estate 2019 viene pubblicato un bilancio in rosso assai preoccupante, accompagnato da un cambio vertici. Solo pochi mesi dopo Banca d’Italia commissiona la banca, la quotazione in borsa e le obbligazioni subordinate vengono sospese. Poco prima di Natale il governo Conte approva un decreto a sostegno della popolare di Bari - il fondo di tutela dei depositi interbancari fornisce un contributo-ponte dal valore di 310 milioni di euro.

La crisi bancaria ha coinvolto oltre 70.000 azionisti, che hanno perso 1,4 miliardi di euro, senza contare gli obbligazionisti.
Nell’estate 2020 l’assemblea Straordinaria della Banca Popolare di Bari approva la transizione in S.p.A. e l’aumento del capitale, mettendo un punto alla crisi.

Banche italiane in crisi oggi

L’elenco delle banche italiane attualmente soggette a procedure di amministrazione straordinaria, come da aggiornamento proveniente da Banca d’Italia il 12 dicembre 2022, comprende solo l’istituto romagnolo Banca Popolare Valconca.

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