Si dice presidente o presidentessa del Consiglio? Come chiamare correttamente Giorgia Meloni

Giorgia Bonamoneta

18 Dicembre 2023 - 23:59

Presidentessa o la presidente? Una domanda che va oltre la decisione dell’utilizzo dell’articolo maschile da parte di Giorgia Meloni. Ecco cosa dice la grammatica.

Si dice presidente o presidentessa del Consiglio? Come chiamare correttamente Giorgia Meloni

Giorgia Meloni è la prima presidente del Consiglio. La prima presidente “donna” e per molti è iniziata una fase di confusione tra “presidentessa” e “la presidente” che è un vero e proprio evergreen linguistico. Come si dice la parola “presidente” al femminile, cioè riferendosi a una donna? Banalmente, “presidente” è la persona che “presiede”, uomo o donna: il presidente se uomo, la presidente se donna. Ma allora cosa c’entra il volere di Giorgia Meloni di utilizzare l’articolo maschile? Nulla, a livello grammaticale, tanto a livello ideologico. Andiamo con ordine.

L’italiano è una lingua nella quale il neutro non esiste. Esisteva in latino e in greco, mentre l’italiano assegna un genere maschile e femminile, chiamato genere grammaticale, a ogni sostantivo. Il ruolo del neutro è stato archiviato in seguito all’utilizzo generalizzato del maschile sovraesteso, motivo per il quale si utilizza “tutti” in riferimento a una platea di uomini e donne - e altri non all’interno del binarismo di genere - o “uomini” per intendere tutta l’umanità. Negli ultimi anni diversi accademici e accademiche hanno tentato di portare nuova luce sui femminili dei sostantivi, soprattutto quelli di professioni che possono suonare male. Si tratta quindi di dare spazio a figure che non erano mai esiste prima della cementificazione della parola al maschile, le cui forme femminili nella grammatica sono comunque corrette.

Tra “presidente” e “presidentessa” vi è la differenza del suffisso, cioè -essa che si aggiunge per rendere al femminile sostantivi pensati al maschile. Eppure presidentessa, dottoressa, avvocatessa e poetessa in una battaglia per la parità di genere, che passa anche attraverso le parole, non sono più indicati. A questi si preferisce il suffisso zero, cioè l’assenza di un suffisso derivato e spesso impiegato in maniera dispregiativa, come spiega Treccani.

La presidente o la presidentessa: la forma corretta

La parità di genere passa anche attraverso le parole, perché ciò che non viene nominato rimane invisibile. In molti casi questo accenno all’importanza delle parole è stato definito come un capriccio o, peggio ancora, relegato a qualcosa di poco valore, perché ci sono cose più importanti. Ma soprattutto, la critica che va per la maggiore, è quella per cui le parole al femminile “suonano male”.

Le lingue mutano e assecondano le esigenze dei parlanti, perché sono i parlanti che fanno la lingua. Non c’è un’istituzione che decide per la lingua, che ne fa le regole ed emette multe per chi non la rispetta. Tra il 2008 e il 2014 alla presidenza dell’Accademia della Crusca ci fu una donna, Nicoletta Maraschino, la prima e unica donna presidente della Crusca. Maraschino decise di utilizzare il termine presidente per indicarsi e non “presidentessa”. L’utilizzo dell’articolo femminile e non del suffisso -essa è dato da un motivo specifico: il suffisso -essa serviva per indicare le mogli e spesso era dispregiativo. Per questo viene consigliato di utilizzare il suffisso zero, come per avvocata.

“Presidente” infatti è un sostantivo che deriva da un participio presente latino e come giudice, docente e preside: basta modificare l’articolo al maschile o al femminile per far comprendere di chi si sta parlando. In definitiva non esiste una forma più corretta, sono entrambe valide, ma “presidentessa” è una forma sconsigliata per i motivi sopra riportati, mentre oggi si preferisce il suffisso zero per aggiungere, anche attraverso la lingua, la rappresentazione e quindi la parità di genere.

Perché Giorgia Meloni ha scelto “il” presidente?

Giorgia Meloni è una donna, è una madre, è una cristiana ed è “il” presidente. La decisione non riguarda chiaramente solo la grammatica e la concordanza tra genere e articolo. Grammaticalmente la forma corretta è il femminile, poiché accorda a Giorgia Meloni (afab, cioè femmina assegnata alla nascita) l’articolo femminile.

La questione su “la” o “il” presidente ha però più a che fare con i ruoli di potere e la rappresentazione femminile. Un commento comune che si riceve in questi contesti è che declinare al femminile accentua di più le differenze, anzi è quasi sessista e crea più discriminazione che seguire la lingua italiana o le antiche usanze storiche.

È invece molto più semplice, nella sua complessità, ovvero: è una questione di potere. Non risulta “strano” o “cacofonico” utilizzare termini come operaia, contadina o maestra; d’altra parte risulta “assurdo” o una battaglia inutile utilizzare termini come avvocata, senatrice, ministra o la presidente. La realtà dei fatti è che scrivere il presidente Meloni non dice nulla del linguaggio, ma molto della persona che lo ha rivendicato, soprattutto se donna, soprattutto se prima donna presidente.

I sostantivi femminili nel tempo: un contributo linguistico

Declinare i nomi delle professioni al femminile non è un argomento degli ultimi anni o della deriva del politicamente corretto, come a molti piace raccontare. Già nel 1986-87 Alma Sabatini curò il testo “Il sessismo nella lingua italiana”, un testo per la presidenza del Consiglio dei Ministri e la commissione nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna. In particolare, come sottolinea Vera Gheno, sociolinguista specializzata in Comunicazione mediata dal computer e docente all’Università di Firenze, nel suo testo “Femminili singolari - Il femminismo è nelle parole”:

Lo scopo di queste raccomandazioni è di suggerire alternative compatibili con il sistema della lingua per evitare alcune forme sessiste della lingua italiana, almeno quello più suscettibile di cambiamento. Il fine minimo che ci si propone è di dare visibilità linguistica di donne e pari valore linguistico a termini riferiti al sesso femminile.

I e le linguiste hanno opinioni differenti, non solo nel tempo. Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca ha spiegato che la lingua è una democrazia in cui la maggioranza governa e i grammatici prendono atto delle innovazioni e cercano di farle andare d’accordo con la tradizione. In questo senso, egli accorda l’esistenza di femminili professionali al fatto stesso che le minoranze hanno diritto di esistere, anche se ribelli e se suonano male. La grammatica, spesso scomodata in nome della tradizione dei maschili professionali sovraestesi, non si fa problemi invece a riconoscere i sostantivi di genere fisso, quelli di genere promiscuo, quelli di genere comune - dove a variare è solo l’articolo per il maschile e il femminile - e i sostantivi di genere mobile come attore e attrice, come revisore e revisora, come sindaco e sindaca.

I femminili professionali non sono nuovi, non sono “neologismi”, sono, scrive ancora Vera Gheno, inediti, cioè forme previste dal sistema italiano ma rimaste dormienti perché non servivano. Oggi invece servono. Come vuole farsi chiamare Giorgia Meloni ha quindi poco valore, visto che la carica che ricopre non è un suo unico traguardo, ma un passo verso una maggiore presenza di donne in politica e di donne alle alte cariche dello Stato. “La presidente” resta, al di là della scelta ideologica della premier, l’unica forma corretta.

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