La pensione è sempre - o quasi - più bassa dello stipendio: ma qual è il motivo? Facciamo chiarezza.
Pensione e stipendio sono direttamente collegati; è in base a quanto percepito dal lavoratore nel corso della sua carriera lavorativa, infatti, che si calcola l’importo della pensione futura.
Tuttavia dovete sapere che nella maggior parte dei casi l’importo della pensione è più basso rispetto all’ultimo stipendio percepito; a seconda delle condizioni il tasso di sostituzione - ossia il rapporto in percentuale tra il primo assegno di pensione e il reddito da lavoro percepito prima di andare in pensione - può essere più o meno alto, come vedremo meglio in questo articolo dedicato.
Quindi, una volta che andrete in pensione la rendita mensile alla quale eravate abituati non sarà più la stessa; dovete sapere, infatti, che solitamente l’importo della pensione è più basso rispetto a quello dell’ultimo stipendio percepito.
Ecco perché in previsione di una pensione più bassa dello stipendio vi consigliamo di cominciare a risparmiare fin da oggi, così da accumulare abbastanza risparmi per vivere una vita agiata anche quando smetterete di lavorare. Un’alternativa, alla quale sempre più italiani ricorrono, è quella di aderire ad un fondo pensione (ad esempio destinandovi il TFR), così da garantirvi una rendita aggiuntiva.
Ma per quale motivo la pensione è più bassa dello stipendio? E di quanto? Risponderemo a queste domande nel prosieguo dell’articolo, partendo dalle istruzioni su come lo stipendio si trasforma in pensione.
Come si calcola la pensione?
La prima cosa che dovete sapere per farvi un’idea di quanto la vostra pensione sarà più bassa dell’ultimo stipendio riguarda il metodo di calcolo che verrà utilizzato per la vostra situazione contributiva.
Ad oggi, infatti, ci sono due diversi sistemi di calcolo per la pensione: il primo è quello retributivo che riguarda quei lavoratori ormai prossimi alla pensione.
Questo sistema, infatti, è utilizzato per i contributi maturati entro il 31 dicembre del 1995; inoltre, qualora i contributi maturati entro questa data siano almeno pari a 18 anni, il calcolo retributivo si applica anche per i contributi versati successivamente (fino al 31 dicembre 2011).
Per i contributi successivi al 1° gennaio del 1996, invece, si applica il metodo contributivo.
Qualora invece un lavoratore abbia un’anzianità contributiva sia precedente (ma inferiore a 18 anni) che successiva al 31 dicembre 1995, la pensione sarà calcolata con il sistema misto.
Con tutti questi strumenti la pensione calcolata ha un importo più basso rispetto all’ultima retribuzione percepita, tuttavia è con il metodo contributivo che la differenza tra le due è più ampia.
Questo perché nel caso del sistema retributivo la trasformazione da stipendio e pensione è più o meno diretta poiché per calcolare l’importo dell’assegno previdenziale si tiene conto della media delle migliori retribuzioni.
La regola generale vuole che delle migliori retribuzioni ne venga riconosciuto un 2% per ogni anno di lavoro, su un limite massimo di 40 anni di contributi. Quindi, in tal caso il lavoratore avrà una pensione pari all’80% della media delle migliori retribuzioni percepite durante la propria carriera.
Non sempre però l’aliquota di rendimento con la quale la retribuzione si trasforma in pensione è pari al 2%; in caso di reddito superiore ai 46.630€, infatti, l’aliquota si riduce evitando così che coloro che hanno percepito stipendi molto alti siano particolarmente avvantaggiati.
Con il calcolo contributivo, invece, si tiene conto esclusivamente del montante contributivo (33% della base imponibile annua moltiplicata per gli anni di lavoro) maturato dal lavoratore e non dell’importo delle retribuzioni.
Il montante contributivo, infatti, si trasforma in pensione tramite un coefficiente di trasformazione aggiornato ogni due anni dall’INPS.
In questo caso, quindi, è molto difficile che l’importo della pensione si avvicini a quello dell’ultimo stipendio; per avere un assegno adeguato, infatti, è necessario che il lavoratore abbia avuto una carriera lavorativa continua (senza vuoti contributivi) e con una retribuzione medio alta per tutto il periodo in questione (gli aumenti percepiti negli ultimi anni di lavoro, infatti, influiscono in maniera minima sulla pensione).
Di quanto la pensione è più bassa dello stipendio?
Come anticipato, il sistema contributivo è più penalizzante per il lavoratore rispetto a quello retributivo.
Lo conferma anche uno studio realizzato da Il Sole 24 Ore, secondo il quale con il metodo retributivo un lavoratore di 66 anni prossimo alla pensione, con un reddito annuo lordo di circa 30 mila euro, percepisce una pensione pari al 79% dell’attuale stipendio.
La trasformazione da retribuzione a pensione è meno vantaggiosa, per i motivi suddetti, per coloro che percepiscono stipendi elevati; ad esempio, se un lavoratore di 66 anni ha un reddito di 75 mila euro si vedrà riconosciuta una pensione pari al 69% dell’ultima retribuzione. La percentuale scende al 54% per i redditi lordi superiori ai 150 mila euro.
Le percentuali per coloro che hanno la pensione calcolata interamente - o quasi - con il metodo contributivo, invece, si riducono notevolmente: per un lavoratore di 45 anni con reddito di 30 mila euro, infatti, la pensione equivale al 54% del reddito, mentre per i redditi superiori a 75 mila e 150 mila euro si scende rispettivamente al 37% e al 26%.
E per chi va in pensione con Quota 100?
Ancora peggio va a coloro che accedono alla pensione con Quota 100, visto che in questo caso il tasso di sostituzione è ancora più basso dal momento che smettendo di lavorare in anticipo il lavoratore andrà a maturare meno contributi, con un coefficiente di trasformazione più penalizzante.
Prendiamo come esempio un lavoratore nato nel 1969 che ha iniziato a lavorare nel 1999 (e quindi rientra interamente nel metodo contributivo per il calcolo della pensione). Ipotizzando una carriera continuativa senza buchi contributivi - con un reddito di 40.000€ - possiamo elaborare diversi scenari pensionistici, nonché un tasso di sostituzione a seconda degli anni in cui accede alla pensione:
- 71 anni: tasso di sostituzione 92,7%, quindi andrà a prendere una pensione annua lorda di 37.080€, per un importo mensile di 2.852€;
- 68 anni: tasso di sostituzione dell’80,5%, per una pensione annua lorda di 32.200€ (2.476€ al mese);
- 66 anni: tasso di sostituzione del 72,9%, con una pensione annua lorda di 29.160€ (2.243€ al mese).
Cosa succede quindi a coloro che accedono alla pensione con Quota 100? In questo caso per ogni anno di anticipo c’è una riduzione del tasso di sostituzione di circa il 6%, con il risultato che all’età di 62 anni il tasso di sostituzione è pari a circa il 45%, per una pensione annua lorda pari a 18.000€ e con un assegno mensile di 1.384€ al mese.
© RIPRODUZIONE RISERVATA