Nato, Draghi dice no: l’Italia punta su un altro nome, chi è e come potrebbe cambiare l’Alleanza Atlantica

Giacomo Andreoli

20 Aprile 2023 - 13:10

L’ex presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, avrebbe rifiutato la poltrona di numero uno della Nato. Per questo ora l’Italia premerebbe per sostituire Stoltenberg con Cavo Dragone.

Nato, Draghi dice no: l’Italia punta su un altro nome, chi è e come potrebbe cambiare l’Alleanza Atlantica

L’Italia vuole guidare la Nato e, se non potrà farlo con Mario Draghi, come sembra dopo i retroscena giornalistici sul suo presunto “no”, punta su un altro nome quando a settembre scadrà il mandato dell’attuale leader Jens Stoltenberg.

Si tratta di Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato Maggiore della Difesa e candidato alla guida del Comitato militare dell’Alleanza. Una figura militare e tecnica, che potrebbe piacere ai partner occidentali, nonostante non abbia il profilo politico dell’attuale numero uno della Nato e dei suoi predecessori.

Finora infatti al vertice dell’Alleanza militari sono sempre andati ex ministri, primi ministri, ambasciatori o segretari di Stato, tranne il primo numero uno della Nato nel 1952, il generale Hastings Lionel Ismay. Cosa potrebbe cambiare con Cavo Dragone numero uno dell’Alleanza al posto di Stoltenberg (che è tra i più oltranzisti assieme agli Stati Uniti nella fornitura di armi all’Ucraina per difendersi dalla Russia)?

Chi è Cavo Dragone

Cavo Dragone è nato ad Arquata Scrivia, in Liguria, il 28 febbraio 1957. Entrato in Accademia navale nell’ottobre del 1976, è stato in missione in Libano ed ha ottenuto diversi riconoscimenti militari. Ad esempio è stato capo del Comando interforze per le operazioni delle Forze Speciali e capo di stato maggiore della Marina Militare.

Cavo Dragone al posto di Draghi, la sua posizione sulla guerra in Ucraina

Roma ha già deciso di candidare Cavo Dragone alla carica di presidente del Nato Military Committee. Sulla guerra in Ucraina il generale ha spiegato che il nostro Paese “resterà al fianco dell’Ucraina fino a quando ce ne sarà bisogno, auspicando ovviamente che a un certo punto si possa arrivare a un tavolo negoziale”.

La posizione di Dragone sulla guerra, dunque, sembra di ferma condanna alla Russia, ma meno oltranzista di quella dell’attuale leader Stoltenberg. Insomma con questa guida la Nato potrebbe in parte ammorbidire, almeno a parole, le sue posizioni contro Mosca nel tentativo di raggiungere la pace. Potrebbe essere seguita la linea di Giorgia Meloni (spesso non seguita dai suoi ministri): fermezza nei fatti, sostegno militare all’Ucraina, ma attenzione nelle parole.

Una guida Dragone della Nato potrebbe quindi avvicinare l’Alleanza Atlantica verso le posizioni di alcuni leader europei, come quella di Emmanuel Macron, che in parte ha criticato gli Stati Uniti. Per questo motivo, però, potrebbe essere interesse degli Usa evitare una figura del genere e al momento Washington è il membro più forte economicamente, politicamente e militarmente dell’Alleanza, avendo il potere di influenzare fortemente la scelta del nuovo leader.

Come cambierebbe la Nato con la nuova leadership?

Dragone finora ha usato parole molto nette in difesa della Nato all’Atlantic Council a Washington. “L’obiettivo strategico di Putin - ha spiegato - era dimostrare, per la seconda volta in pochi mesi dopo l’Afghanistan, che la Nato non funziona. Ha fallito. L’Alleanza è più forte e affidabile di prima e, proprio a causa della sua mossa, ora abbiamo due nuovi membri, uno ai confini con la Russia”.

Tuttavia lo stesso generale italiano non se l’è sentita di scartare a priori senza approfondimenti il piano di pace della Cina, su cui invece Stoltenberg finora è stato molto severo. Secondo Dragone, invece, “potrebbe contenere qualcosa di utile”, anche se non va dimenticato che c’è un Paese, la Russia, “che ha varcato con i carri armati il confine di un altro, e questo è inaccettabile”.

L’idea almeno su come non andrà a finire questa guerra è chiara. “Putin - secondo Dragone - ha mancato l’obiettivo di instaurare un regime tipo Lukashenko a Kiev, e Zelensky difficilmente riconquisterà tutti i territori”. Insomma: il presidente ucraino difficilmente potrà riconquistare tutti i territori e allora, realpolitik alla mano, la pace potrebbe arrivare solo con la cessione di alcuni di questi a Mosca, nonostante l’ingiustizia evidente dietro una tale operazione.

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