Cronaca di una legislatura populista: dalle elezioni del 2018 alla crisi del Governo Draghi

Claudia Mustillo

21/07/2022

Dopo le elezioni del 2018 sono stati proprio i populisti, Lega e 5 Stelle, a muovere le fila di questa legislatura nel bene e nel male.

Cronaca di una legislatura populista: dalle elezioni del 2018 alla crisi del Governo Draghi

Le dimissioni di Mario Draghi sono oramai ufficiali. D’altra parte come lo stesso presidente del Consiglio ha spiegato al Cdm la scorsa settimana: "la maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo”.

Il Governo Draghi, nato all’inizio del 2021 quando il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, ha deciso di togliere la fiducia al governo Conte bis, aprendo così una crisi politica. Dopo un mandato esplorativo al presidente della Camera, Roberto Fico, il capo dello Stato affida l’incarico di formare il governo a Mario Draghi che darà vita a un governo con il sostegno di tutte le forze in Parlamento ad eccezione di Fratelli d’Italia rimasto all’opposizione. Nasce così quello che lo stesso presidente del Consiglio ha definito «il governo del paese», il cui unico presupposto era la maggioranza di unità nazionale.

Le elezioni del 2018 e il trionfo del populismo

Le politiche del 2018 hanno celebrato il trionfo del populismo politico italiano. I due vincitori della tornata elettorale sono stati Lega e Movimento 5 Stelle. Quest’ultimo ha confermato la sua identità di partito nazionale e ha risollevato le sue sorti politiche dopo una flessione nei consensi alle Europee del 2014, invertendo la tendenza negativa e superando addirittura il 30%. Una situazione davvero eccezionale: dopo il debutto nel 2013 i 5 Stelle riescono ad aumentare i voti piuttosto che, come solitamente accade, diminuirli.

L’altro vincitore è il partito della Lega che dopo la sua «nazionalizzazione» ottiene il 17% grazie alla salda guida del leader Matteo Salvini. Si tratta del risultato migliore nella storia del partito (il record precedente era fermo al 10% ottenuto nel 1996 e replicato alle Europee del 2009). Con le elezioni del 2018 per la prima volta la Lega è il primo partito del centrodestra e, nonostante si il terzo partito in termini di voti assoluti, la Lega è il secondo gruppo parlamentare alla Camera e al Senato.

Il primo governo Conte, scelto dai populisti

Il governo Conte chiarisce da subito la sua natura, prendendo vita dalle due forze vincitrici. Quelle stesse forze che, dice Conte,
“sono state accusate di essere populiste e antisistema. Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo“. Un governo che «vuole offrire risposte ai bisogni dei cittadini» e che affonda le sue radici proprio nella pancia del populismo.

Il governo Conte nasce dall’accordo, firmato da 5 Stelle e Lega, chiamato Contratto per il Governo del Cambiamento. Al centro dell’accordo le politiche bandiera dei due partiti, tra cui:

  • aumento dei centri di rimpatrio e riduzione degli sbarchi di migranti;
  • introduzione della no tax aerea per le famiglie con basso reddito e della flat tax per privati e imprese;
  • il reddito di cittadinanza;
  • il taglio dei vitalizi ai parlamentari e la riduzione del numero dei parlamentari.

Il decreto Dignità che introduce «misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese» è il primo atto del nuovo esecutivo, la legge di Bilancio permette di creare i presupposti per i primi due provvedimenti fortemente voluti dalle forze che sostengono il governo giallo-verde: il Reddito di Cittadinanza e Quota 100.

Il Conte-bis

Nell’agosto del 2019 si apre una nuova crisi politica e Matteo Salvini spinge grazie alla forza dei sondaggi: «Andiamo subito in Parlamento per prendere atto che non c’è più una maggioranza, come evidente dal voto sulla Tav, e restituiamo velocemente la parola agli elettori».

Dalle ceneri della nuova crisi politica nasce il Conte-bis, questa volta non più un governo giallo-verde ma un esecutivo che raccoglie le forze «progressiste» dal momento che si sono uniti anche Pd e Liberi e Uguali e che termina quando, nel gennaio del 2021, Italia Viva toglie la fiducia.

Il secondo governo Conte è stato caratterizzato dall’avvento della pandemia da Covid-19 che ha portato all’emanazione di una serie di Dpcm per far fronte all’emergenza pandemica ed economica. Il successo maggiore di Conte, come presidente del Consiglio, rimane la trattativa sul Recovery Fund quando ha «strappato» all’Unione europea un accordo di oltre 200 miliardi.

La crisi del governo Draghi e la trappola dei populisti

Arriviamo così al governo Draghi, che come già detto, nasce con l’intento di «unire le forze politiche del paese». Draghi non ha intenzione di elemosinare di volta in volta la maggioranza necessaria per risollevare le sorti del Paese, ma vuole un esecutivo compatto che possa prendere i giusti provvedimenti nei giusti tempi.

Suona strano, ma non troppo, che siano proprio le due forze vincitrici delle politiche del 2018 a tirare le fila di questa nuova crisi di governo. Se i 5 Stelle guidati dal nuovo leader Conte con i 9 punti imprescindibili - reddito di cittadinanza, salario minimo, decreto dignità, aiuti a famiglie e imprese, transizione ecologica, superbonus 110%, cashback fiscale, intervento riscossione e clausola legge di delegazione - e il non voto al dl Aiuti e alla fiducia al governo hanno fatto venir meno le larghe intese; la Lega si era già allontanata ormai dal «patto di fiducia» collante dell’esecutivo dichiarando che avrebbe votato solamente alcuni provvedimenti - quelli voluti dai suoi elettori - e adesso utilizza i 5 Stelle e cavalca la crisi politica e di governo gridando ancora una volta «tutti alle urne». Questa volta, però, con il supporto di un vecchio populismo, quello di Forza Italia.

Dopo le dimissioni il governo Draghi rimarrà in carica per il disbrigo degli affari correnti e probabilmente a settembre si andrà alle urne.

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