Quali sono i vestiti che inquinano di più l’ambiente

Giorgia Bonamoneta

06/09/2021

La fast fashion ha portato un maggior consumo idrico e un maggior impatto ambientale in CO2. Il basso costo di un abito ha un elevato costo ambientale, ma quale inquina di più?

Quali sono i vestiti che inquinano di più l’ambiente

Forse non è una notizia che farà piacere a molti, ma l’industria tessile, l’industria della moda è una delle industrie più inquinanti. La colpa risiede sicuramente nella produzione a basso costo e con materiali sempre più scadenti, ma c’è una parte di responsabilità del consumatore.

Ci sono vestiti che inquinano più di altri, ma in linea generale è la fast fashion, ovvero il ricambio stagionale di abiti a basso costo prima della fine del loro ciclo vitale, che genera il maggior consumo di risorse idriche, che danneggia maggiormente i dipendenti di fabbriche delocalizzate in Paesi a basso costo e inquina di più.

Delineare il percorso di un abito e l’impatto ambientale che produce è sicuramente utile per aprire gli occhi, ma anche avere dei consigli su come cambiare le proprie abitudini e costringere così le aziende a impegnarsi per essere più green può essere molto utile.

I vestiti che inquinano: i danni della fast fashion

Non troppo tempo fa i vestiti si facevano fare su misura, duravano anni e spesso erano reversibili, se si rovinava il colore esterno si poteva rigirare l’abito, il cappotto e così via. Oggi la fast fashion ci ha abituato a un sistema diverso, molto più rapido e anche, se vogliamo essere del tutto sinceri, a rischio omologazione.

Vestiamo tutti uguali, cambiamo gusti a seconda delle mode stagionali e inseguiamo l’offerta e l’abito a minor prezzo. Niente però è conveniente senza conseguenze e la fast fashion ne è un esempio calzante.

L’impatto ambientale del settore di moda si calcola in base a:

  • raccolta e trattamento materiale
  • imballaggio
  • trasporto
  • vendita
  • lavaggi
  • smaltimento

Tutti questi passaggi generano un consumo di CO2 e idrico elevato per ogni singolo capo che si possiede, che si getta e si compra. Ma a tutto c’è un rimedio e ognuno di questi passaggi può essere ridotto o eliminato. Facciamo un esempio, che in seguito approfondiremo. Comprare un abito usato taglia il costo di CO2 su imballaggio, trasporto, vendita e smaltimento, perché possiamo a nostra volta rivenderlo e guadagnarci qualcosina.

Il capo di abbigliamento più inquinante: i jeans

Nell’armadio tutti hanno una buona quantità di jeans e i dati esposti in questo articolo vanno calcolati per ogni singolo capo di jeans, non nel loro insieme. Vediamo quanto hanno inquinato, e continuano a inquinare, i nostri jeans preferiti.

Secondo la ricerca di Dress the Change, come riportato di recente da Factanza, il mondo della moda si divide in due grandi comportamenti inquinanti: la raccolta del cotone e il trasporto di tutti gli elementi. Ovviamente ci sono molti altri aspetti da tenere in considerazione, anche se in forma più o meno ridotta, come il consumo idrico e lo sfruttamento dei dipendenti nelle fabbriche in quei Paesi dove il costo della manodopera è più basso.

Un solo jeans affronta un percorso lungo e dispendioso:

  • Un paio di jeans genera un consumo di 33,4 kg di CO2, pari a un viaggio in auto di oltre mille chilometri.
  • Viene sottoposto a 50 trattamenti chimici e per questo deve essere lavato. Per eliminare le sostanze chimiche si possono usare dai 5 ai 10 mila litri di acqua. E dopo dove finiscono i residui, come il cloro e il permanganato di potassio, dei lavaggi? Ovviamente nei fiumi, nei mari e nelle falde acquifere.

L’enorme problema dell’inquinamento idrico

Non si può neanche più bere una tazza di the inglese senza trovare una microplastica. Non è una battuta, ma un fatto veramente accaduto. Un grande inquinante delle acque del nostro pianeta Terra è l’industria tessile. L’Università di Toronto ha pubblicato sulla rivista Science i risultati di uno studio sul fondale del mar Tirreno. I dati sono allarmanti: per ogni metro quadrato sono presenti 1,9 milioni di microplastiche, ovvero la concentrazione più alta mai ritrovata al mondo.

Analizzate le microplastiche si è potuti risalire alla loro origini: ben il 70% erano microfibre tessili provenienti da stabilimenti non adeguati ai nuovi standard e dalle nostre abitazioni.

Cosa fare per diminuire l’impatto ambientale e rimanere alla moda?

La risposta ci arriva dalla moda stessa, che dopo le critiche alla fast fashion si è reinventata, a partire dal basso, ovvero da noi consumatori, in una versione più ecosostenibile. Parliamo di abiti di seconda mano, prodotti fatti e distribuiti a chilometro zero, il recupero di tessuti più grezzi e naturali, poco trattati e il ritorno al rammendo.

Le abitudini del consumatore possono influenzare il settore della moda. Se questo non cambia da solo, come alcune realtà anche grandi stanno facendo, non comprare può essere un buon incentivo.

Quindi abiti di seconda mano e poi? Un consiglio utile anche per risparmiare energia elettrica è lavare gli abiti a freddo o a temperature molto basse, mettendo al tempo stesso su “delicati” e lasciare ad asciugare in maniera naturale, senza l’utilizzo di asciugatrici.

Argomenti

# Moda

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