Lavoro nero, Zini (Assindatcolf): “Rischio flop regolarizzazioni, manca incentivo”

Lorenzo Capezzuoli Ranchi

16/06/2020

Si rischia un’emersione del lavoro nero molto limitata. A tracciare il bilancio del Dl Rilancio è Andrea Zini, vicepresidente dell’Associazione sindacale nazionale dei datori di lavoro domestico.

Lavoro nero, Zini (Assindatcolf):  “Rischio flop regolarizzazioni, manca incentivo”

Andrea Zini, vicepresidente di Assindatcolf, Associazione sindacale nazionale dei datori di lavoro domestico, nel corso di un’intervista a Money.it ha spiegato i rischi che si celano dietro la proposta del Governo di emersione del lavoro nero.

Secondo Assindatcolf infatti sono circa un milione e duecentomila i lavoratori in nero sul territorio nazionale: «Abbiamo scoperto - racconta Zini - che di questi, cinquecentomila sono italiani. Dei 700.000 lavoratori stranieri extracomunitari e non, solamente duecento mila sono irregolari e quindi senza permesso di soggiorno. Gli altri - mezzo milione di persone - sono regolarmente in Italia, per lo meno dal punto di vista della presenza».

È necessaria, prima di tutto, una distinzione: «La regolarizzazione di un lavoro irregolare con un cittadino regolare - italiano, comunitario o non comunitario - viene fatto direttamente all’Inps, mentre la procedura di regolarizzazione del lavoratore in nero senza permesso di soggiorno viene svolta presso lo sportello immigrazione, al ministero degli Interni: per questi lavoratori, la famiglia farà una richiesta di regolarizzazione nel periodo fra il 1° giugno ed il 15 luglio, presentando una domanda telematica allo sportello immigrazione con una serie di documenti allegati».

A questo punto, prosegue Zini, «il ministero controllerà che non ci siano problemi collegati né sul lavoratore (casellario giudiziario e problemi di sicurezza nazionale, ndr) né che ci siano problemi da parte del datore di lavoro. Quello che deve fare invece la famiglia per supportare il lavoratore è prima di tutto dichiarare la disponibilità per un contratto di lavoro di tipo domestico (colf, badante, babysitter, non importa); l’importante è che superi almeno le 20 ore di impegno, per dare un’idea della quantità di tempo. Sempre la famiglia deve dimostrare di avere una capacità reddituale per sostenere questo rapporto di lavoro». Quest’ultimo punto è stato inserito proprio per evitare regolarizzazioni di massa e fittizie: «Mediamente - spiega il sindacalista - per il lavoro domestico viene richiesto un reddito fiscale di almeno 20.000 euro se il lavoratore è singolo, oppure superiore ai 27.000 euro se la famiglia è composta da più di un componente.

Successivamente alla presentazione della domanda poi «c’è da fare un versamento da 500 euro per la pratica, più eventualmente, nel caso si regolarizzi un rapporto di lavoro che non è cominciato oggi, ma che è cominciato in precedenza, ci sarà in questo caso da versare altre quote mensili per regolarizzare i periodi pregressi, che però ancora non sono stati determinati».

Non è però tutto chiaro secondo Zini infatti «di domande ne sono state presentate pochissime, perché ci sono molti nodi da sciogliere dal punto di vista burocratico, legati alla capacità reddituale del datore di lavoro, la documentazione valida o meno… Mi aspetto - prosegue il vicepresidente Assindatcolf - che le domande aumenteranno nella seconda metà del mese di giugno e persino allo scadere del termine del 15 di luglio». Tanti ancora quindi i dubbi da risolvere ancora, «tanto che, da diverse parti, si chiede la possibilità di prorogare i tempi per la regolarizzazione».

Quante domande si aspetta potranno arrivare dal settore dei lavoratori domestici? per il vicepresidente Assindatcolf:

potranno essere duecentomila le domande. Non tutti potranno regolarizzarsi però perché non potranno provare la presenza sul territorio italiano o non hanno un datore di lavoro domestico o dell’agricoltura disponibile alla soluzione.

Il nodo della presenza su suolo italiano

Il lavoratore irregolare infatti, per poter accedere alla sanatoria dovrà dimostrare, come già detto, di essere stato presente sul territorio nazionale in un periodo precedente allo scorso 8 maggio. Come? Basta essere incorsi in un rilevamento di polizia o avere ottenuto un visto alla frontiera italiana al momento dell’arrivo del lavoratore attualmente irregolare. Per alcuni lavoratori però già riuscire a procurarsi questo documento potrebbe essere un problema: alcune persone infatti, provenienti «sostanzialmente dall’est, arrivano nel nostro Paese attraversando le frontiere dell’area Schengen magari in Polonia o Germania e quindi, quando arrivano in Italia non c’è nessuna formalità di visto o ingresso, essendo già legittimamente sul territorio europeo»

Come altro si può dimostrare la propria presenza sul suolo nazionale? Lo stesso Zini spiega che: « Vi sono altre possibilità: una è quella di dichiarare al questore della città dove si risiede la propria presenza in una determinata abitazione. Oppure se c’è stato un accesso al pronto soccorso per motivi di salute, ma anche multe, bollette, utenze telefoniche con gestore telefonico nazionale e abbonamenti al trasporto pubblico possono essere sufficienti a dimostrare la presenza.»

Sanatoria opportuna, ma c’è una piccola critica

Il giudizio sulla norma, da parte di Assindatcolf, è più che positivo: «Riteniamo sia una sanatoria opportuna - afferma Zini - perché in questo caso c’è l’emersione del lavoratore ignoto allo Stato, per lo meno dal punto di vista formale, e con una regolarizzazione del rapporto di lavoro».

C’è però anche una piccola critica che il sindacato muove al Governo: «Il lavoro nero costa meno del lavoro in chiaro. Per far emergere questo milione e duecentomila lavoratori, occorreva la deducibilità del costo del lavoro in sede fiscale, come si fa nell’agricoltura e in tutte le altre imprese».
Secondo Assindatcolf «la famiglia paga al momento i lavoratori domestici con un reddito già tassato, che proviene o da un rapporto di lavoro dipendente o autonomo già tassato. Se queste famiglie potessero dedurre 15-18.000 euro all’anno di costo, il recupero fiscale su questi importi già tassati porterebbe a un minor costo del lavoro domestico in chiaro rispetto al lavoro nero. È la base semplice, un po’ cara per lo Stato, ma necessaria se si vuole arrivare a risolvere questa situazione», perché, conclude Zini, «se non ci sarà questa situazione di vantaggio per le famiglie, non potremo mai pensare di portare a regime un equilibrio in questo settore».

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