La vera sfida tra Salvini e Giorgetti è in Europa

Vincenzo Caccioppoli

10 Novembre 2021 - 08:53

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Salvini non vuole annullare le sue radici dentro un PPE in profonda crisi e a Giorgetti non resta che prenderne atto.

La vera sfida tra Salvini e Giorgetti è in Europa

Che tra Salvini e Giorgetti esistessero visioni differenti su moltissimi aspetti era cosa risaputa. Coma è altrettanto chiaro che non può esistere una vera competizione tra i due - Giorgetti appare non avere il carisma, la capacità e forse nemmeno la voglia di guidare un partito come la Lega. Non dimentichiamo che nasce come politico sotto Umberti Bossi, che certo non si può dire fosse un leader tranquillo.

Perché Giorgetti non sarà mai leader della Lega

Giorgetti è uno dei più fedeli leghisti che io conosca. Non lascerà mai il partito come non farà mai la guerra al segretario. Non è tagliato per il ruolo di leader. A lui non piace apparire e anche con i giornalisti non sa come trattare, come si è visto di recente. Ma se la sinistra pensa di poter contare su di lui per contrastare Matteo fa un altro dei suoi soliti errori di strategia”. Le parole di un deputato fedele a Salvini, ma molto vicino al numero due, sono lo specchio di quello che è il vero carattere del numero due della Lega. Giancarlo Giorgetti, da Cazzago Brabbia in provincia di Varese, è uomo tradizionalista, molto fedele, cattolicissimo. Lui è un uomo alla Gianni Letta, abituato a stare dietro le quinte e a tessere quelle relazioni e quei rapporti con le istituzioni in patria e all’estero per il suo leader e per il partito. Giorgetti ha relazioni importanti negli Usa e nelle principali cancellerie europee. È ben visto in Confindustria e ovviamente ha un ottimo rapporto con Mario Draghi, fin da quando lui era alla guida della Banca d’Italia. Ma, cosa che forse pochi riconoscono in questo momento, è anche e soprattutto un colonnello molto fedele al suo generale. E proprio il fatto di trovarsi di fronte a un animale politico, istintivo e impulsivo, ma sicuramente mai banale come Matteo Salvini, anche se non facile (un po’ come quello che è stato il suo Pigmalione politico, il senatur Umberto Bossi), esalta queste sue prerogative e queste sue abilità.

Ecco perché il suo futuro non sarà mai alla guida del partito, che sembra più un desiderio di chi vorrebbe sbarazzarsi al più presto del leader leghista. Uno dei punti di contrasto maggiore tra i due sembra essere diventato ora quello delle alleanze in Europa.

Il nodo PPE tra Salvini e Giorgetti

La Lega non entrerà mai nel PPE perché è subalterno alla sinistra e noi siamo alternativi alla sinistra”: queste sono state le secche parole di Salvini a chi gli chiedeva dell’auspicio fatto trapelare in una delle “ingenue” interviste proprio da Giorgetti. Secondo il numero due della Lega l’ingresso nel grande partito popolare europeo sarebbe una sorta di consacrazione a livello internazionale per il partito. L’alleanza scomoda con la Le Pen, ma soprattutto con i tedeschi di AfD, riuniti nello stesso gruppo, rappresenta, infatti, agli occhi di Giorgetti un errore strategico da correggere in fretta se si vuole aspirare a governare il paese. Ma se si analizza da vicino quello che è diventato il PPE in questi ultimi anni non si può alla fine nemmeno dare troppo torto a Salvini quando espone le difficoltà del più grande partito europeo. La crisi del PPE è la rappresentazione plastica e diretta delle difficoltà crescenti che i partiti che lo compongono stanno affrontando nei loro rispettivi paesi di appartenenza - il PP in Spagna come Forza Italia, così come i repubblicani francesi per arrivare ai socialdemocratici in Germania, fino ai conservatori del Psd in Portogallo.

Questo si riflette in un PPE debole senza una forte guida (che sarà accentuata ancora di più con l’uscita di scena della Merkel), che inevitabilmente è subalterno ai socialisti e ai verdi che guidano il parlamento europeo. La Lega è un partito che poggia le sue basi sul territorio, sulle tradizioni del suo popolo, e mal si adatterebbe in un ruolo subalterno nella grande famiglia popolare europea, che questo radicamento lo ha ormai irrimediabilmente perso.

Sarebbe come sconfessare la sua stessa essenza. Matteo Salvini ha già prodotto una profonda evoluzione portando un partito sostanzialmente locale a diventare il primo partito italiano, provocando già un deciso contraccolpo con la sua base storica. Chiedergli un ulteriore passo in avanti sarebbe forse eccessivo per sé e per la sua tradizionale base elettorale. Ma a Giorgetti questo probabilmente non interessa molto, proprio perché non ha nessuna aspirazione da condottiero e di leadership, il suo discorso supera qualsiasi barriera ideologica o di parte e ragiona solo su numeri e convenienze oggettive. Mentre un leader deve soppesare bene i passi che compie sulla base anche dell’umore e del consenso che certe scelte possono determinare.

Ma nello stesso tempo Salvini non è certo uno sprovveduto politicamente parlando, ed ha già capito da solo che restare con il gruppo di Identità e Democrazia sarebbe controproducente per un partito e un leader che aspirano a ruoli di governo.

Il suo tentativo perciò è quello di cercare di costruire un nuovo aggregatore di partiti alternativi alla sinistra che possa riunire tutti i partiti di centrodestra che non rientrano nel PPE. Ma il problema per lui non è tanto Giorgetti o chi non la pensa come lui nella Lega (molto pochi a dir la verità), ma piuttosto, come in Italia, l’ostacolo sembra rappresentato dalla Meloni che - con il suo ECR di cui è presidente - un gruppo compatto di partiti europei conservatori lo ha già e ben difficilmente accetterà di buon grado la formazione di un nuovo gruppo insieme alla Lega e magari alla Le Pen.

Il sentiero quindi è stretto e irto di ostacoli, ma la cosa certa è che la linea del partito e le sue mosse future sia in politica interna che estera le scandirà ancora e sempre Matteo Salvini. A Giorgetti non resteranno che le sue interviste per far sentire la sua voce di dissenso, che come dice un senatore di vecchio corso della Lega, sono più che altro rivolte a chi al governo e dintorni non vede di buon occhio la politica dai toni di forti del segretario.

Giorgetti rappresenta solo la faccia più educata, compita e istituzionalizzata della stessa medaglia. Per Salvini la figura di Giorgetti, così come fu Letta per Berlusconi, è una garanzia verso quel mondo istituzionale che potrebbe mettersi di traverso. Senza Giorgetti probabilmente la strada per Salvini verso le legittime aspirazioni di governo si farebbe più complicata. Salvini questo lo sa bene ed è per questo che non si preoccupa più di tanto delle spesso inopinate affermazioni del suo numero due. Tanto alla fine, come ha chiarito prima del consiglio federale, “ascolto tutti ma poi decido io”.

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