Traffico dei migranti, quanto ci guadagna la Libia? Ecco perché non ci possiamo fidare

Alessandro Cipolla

10 Agosto 2017 - 16:23

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Mentre la discussione sul tema dei migranti continua a essere accesa, ecco quanto guadagna la Libia grazie al traffico di vite umane. Mandare soldi è la soluzione migliore?

Traffico dei migranti, quanto ci guadagna la Libia? Ecco perché non ci possiamo fidare

Quanto incide il fenomeno dell’immigrazione nell’economia della Libia? Mentre continua a essere acceso il dibattito nel nostro paese con lo scontro tra i ministri Minniti e Del Rio, c’è un aspetto che spesso viene messo in secondo piano.

Sia da parte di Bruxelles che dei politici nostrani, viene ribadito come un mantra che per debellare il fenomeno dell’immigrazione clandestina attraverso il Mediterraneo vanno aiutati i paesi africani.

Non si capisce bene però come dovrebbe avvenire questo aiuto, se si tratta di un piano di sviluppo a lungo termine oppure soltanto fare in modo che gli immigrati vengano in qualche modo bloccati e fatti tornare indietro.

Essendo il principale luogo da cui partono i viaggi della speranza, la Libia è naturalmente al centro di questo discorso. Bisogna però vedere se allo stato attuale della situazione politica, ci siano le condizioni per instaurare un piano congiunto.

Il guadagno della Libia

Conosciuta anche come Operazione Sophia, Eunavfor Med è un’azione militare voluta dall’Europa che dal 2015 stanzia navi nel Mediterraneo nella lotta alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico degli immigrati.

Secondo quanto sostenuto da Eunavfor Med, il business dei migranti ogni anno frutterebbe alla Libia una cifra così elevata tanto da formare il 40% del PIL nazionale. Quasi la metà della ricchezza quindi del paese africano sarebbe determinata dall’arrivo e dalla partenza dei disperati.

Questo perché oltre ai soldi materiali che ogni immigrato paga alle varie organizzazioni criminali e ai vari apparati, formando una sorta di indotto, si deve aggiungere anche le alte somme elargite dall’Europa, con l’Italia in testa, per la gestione dell’emergenza.

Dal 2008 anno in cui l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi firmò un trattato di amicizia con Gheddafi, dove erano compresi anche 20 miliardi di euro in rate come risarcimento all’ex colonia, la Libia riceve in maniera ininterrotta soldi sia dal nostro paese che da Bruxelles.

La speranza per l’Europa in questo senso potrebbe essere che il paese nordafricano possa svolgere lo stesso ruolo della Turchia, che aumentando i controlli alle frontiere ha di fatto messo fine alla cosiddetta rotta balcanica dei migranti.

Il fatto però è che in Turchia c’è una guida come quella di Erdogan capace di far rispettare gli accordi presi. In Libia invece al momento ci sono due governi, in lotta tra loro tra le altre cose, oltre che un centinaio di tribù che controllano la parte meridionale del paese.

Chi governa a Tripoli è Fayez Sarray, personalità ben vista dall’Occidente. Con lui il nostro governa dialoga sia in termine di addestramento della Guardia costiera libica che in quelli di aiuti economici per la gestione della situazione.

Peccato però che l’uomo militarmente forte in Libia è l’altro regnante, Khalifa Haftar, che gode dell’appoggio di vasti apparati dell’esercito e che governa nella parte orientale del paese dove la capitale è Tobruk.

C’è da dire comunque che la nostra ENI, che da decenni ha elevati interessi economici nel paese, versa una parte dei propri profitti a una società nazionale libica che poi elargisce i soldi sia a Tripoli che a Tobruk. Par condicio.

In questa situazione, non si capisce come soltanto inviando denaro e addestrando la Guardia costiera locale si possa porre fine al caos che regna in Libia. Una soluzione questa che assomiglia molto a una decisione pilatesca per arginare l’emergenza migranti.

Il business dei disperati

Quello che si vuol far finta di non capire è la complessità di questa tratta di vite umane, che non riguarda soltanto la Libia ma anche diversi altri paesi africani. C’è il rischio che Tripoli e Tobruk sia ben felici di incassare i soldi dall’Europa senza avere intenzione di contrastare le bande di criminali che, va sempre ricordato, guadagnano cifre da capogiro con questo business.

Con la chiusura della rotta balcanica l’Europa si è lavata le mani del destino dei profughi asiatici ricoprendo di soldi la Turchia. Della fine che poi facciano chi scappa da guerra e miseria poco importa.

Nel Mediterraneo la situazione è più complessa. I migranti provengono dalle nazioni del Corno d’Africa o da quelle del Golfo della Guinea. Paesi come Eritrea, Sudan, Nigeria o Sierra Leone tanto per intenderci.

Chi vuole intraprendere questi viaggi della fortuna arriva fino in Niger tramite autobus di linea. Da città come Agadez o Dirkou poi si deve pagare per attraversare il deserto, passando spesso sotto il naso dei militari francesi che pattugliano il confine tra Niger e Libia.

Un viaggio questo che costa ogni anno un numero elevato di vite umane, che non riescono a superare la durezza del deserto. Arrivati in Libia poi la situazione non migliora. Per chi può pagare ecco che si presenta l’opportunità di imbarcarsi per l’Italia.

Chi non ha i soldi è costretto a lavorare in Libia per una paga da fame. Peggio però va a chi viene rinchiuso in alcuni centri d’accoglienza, costruiti tramite fondi nostrani ed europei, che più di un rapporto delle Nazioni Unite ha definito dei veri e propri lager.

Qui i migranti spesso vengono obbligati a chiamare i propri parenti per farsi mandare soldi, pagando così la propria liberazione per poter tornare a casa. Altri invece vengono venduti proprio come schiavi. Inutile poi sottolineare le inaudite violenze e torture che avvengono in questi luoghi.

Intorno all’immigrazione quindi non c’è soltanto il business del viaggio in mare attraverso il Mediterraneo, ma ruotano anche diversi altri interessi. Emblematica è l’intervista a un sindaco di una città del Niger che si lamentava che da loro non transitassero più migranti come una volta, con grave danno per l’economia cittadina.

Il dire frasi quindi come “aiutiamoli a casa loro”, in verità in questo momento ha lo stesso effetto del classico “vorrei la pace nel mondo” pronunciato dalle aspiranti reginette di bellezza, visto che siamo nel periodo estivo dei concorsi.

Senza analizzare a fondo tutte le problematiche, l’Italia e l’Europa rischiano soltanto di sperperare un fiume di denaro, spacciando per soluzioni iniziative che, se mai dovessero rivelarsi efficaci, avrebbero come risultato soltanto quello di nascondere il problema dei migranti sotto il proverbiale tappeto.

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# Libia

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