Lo scudo Bce? Sterilizzare nuovi acquisti come nel 2011. O fallisce o è credit crunch

Mauro Bottarelli

29 Giugno 2022 - 14:35

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Lagarde glissa sul nodo spread ma l’allarme si percepisce dalla scelta di attivare già dal 1 luglio la flessibilità sul reinvestimento degli assets pandemici. E il déjà vu del SMP genera mostri

Lo scudo Bce? Sterilizzare nuovi acquisti come nel 2011. O fallisce o è credit crunch

Chi si attendeva una sorta di editto in stile Whatever it takes, è oggettivamente rimasto deluso. Intervenendo in apertura del Forum Bce di Sintra, Christine Lagarde ha concentrato il 90% del suo discorso sulla lotta all’inflazione e il percorso di innalzamento dei tassi di interesse, ribadendo la scelta di un quarto di punto a luglio e la possibilità di un più deciso intervento di 50 punti base a settembre, in caso i dati sui prezzi peggiorassero.

Fin qui, nulla di nuovo. Come nessuna novità dell’ultima ora è emersa sulla decisione di chiudere domani il programmi di acquisti APP da 20 miliardi al mese: dopo 11 anni, si alza il costo del denaro e si chiude ufficialmente il Qe. O, almeno, formalmente. Perché se la numero uno dell’Eurotower ha bellamente glissato ogni domanda che chiedesse particolari riguardo tempi e modi dello scudo anti-spread per evitare la frammentazione dei rendimenti nell’eurozona, il timore per un Black Friday di Btp e Bonos è comunque emerso implicitamente. Christine Lagarde ha infatti annunciato che - somma casualità - il board della Bce ha deciso di rendere operativa la flessibilità sul reinvestimento titoli acquistato in seno al piano pandemico Pepp dal 1 luglio. Ovvero, dal primo giorno di debiti periferici senza rete. Quando si dice le coincidenze.

La prima linea di difesa, così - scomodando una terminologia bellica tristemente di moda . Christine Lagarde ha descritto la scelta. Ma qualcun altro, forse allergico al coordinamento nelle scelte di comunicazione, ha rotto il vaso di Pandora. Conversando con la stampa, Martins Kazaks, membro lituano del board dell’Eurotower, ha infatti preannunciato che una delle ipotesi allo studio per il famoso scudo anti-spread sarebbe la più che collaudata sterilizzazione dei nuovi acquisti, già baluardo in seno al SMP (Securities Markets Programme) operativo durante la prima crisi dei debiti sovrani del 2010-2011.

Tradotto, per evitare di palesare agli occhi del mercato una chiara incongruenza operativa fra aumento dei tassi e contemporaneo capping dei rendimenti per alcuni Stati membri, la Bce starebbe pensando di pareggiare i nuovi acquisti con l’istituzione di aste, in cui le banche commerciali dell’eurozona parcheggerebbero liquidità in cambio di tassi più favorevoli di quelli ufficiali. A confermare l’indiscrezione ci aveva pensato fin dal mattino la Reuters, ottenendo un eloquente netto no comment da parte della Bce.

Insomma, i tecnici cui l’Eurotower ha conferito il mandato esplorativo non si sono spremuti le meningi più di tanto. Perché, come anticipato, lo schema di sterilizzare degli acquisti obbligazionari ricalca in pieno quello delle operazioni settimanali di liquidity absorbing di un decennio fa, quando alle banche commerciali coinvolte veniva garantito un tasso di interesse superiore allo 0,25% di riferimento per parcheggiare la liquidità. La differenza? Rispetto al 2010-2011, oggi la Bce ha generato riserve in eccesso per circa 4,48 trilioni di euro attraverso un decennio di ciclici programmi di stimolo, garantendosi quindi sulla carta ampio margine di intervento. Tutto risolto, quindi? E se sì, perché rinviare ancora l’annuncio dei dettagli, un qualcosa che il mercato anela e che premierebbe subito con spread periferici in ritirata?

Semplice, perché non tutto è in realtà così scontato. Primo, questa mossa smentisce implicitamente quanto dichiarato da Christine Lagarde, la quale ha ribadito come nessun membro del board si sia opposto all’istituzione del nuovo scudo. L’aver abbandonato l’idea primigenia di concambio a saldi invariati fra bond dell’Europa core da vendere con carta periferica da acquistare dimostra infatti come la Bundesbank e la Banca centrale olandese si siano chiaramente messe di traverso a una scelta che, oltre a garantire con certezza un aumento dei loro rendimenti, avrebbe rischiato di intaccare lo status di bene rifugio del debito sovrano nord-europeo. Secondo, la Bce rischia di fare i conti con una realtà macro dell’eurozona che già prefigura recessione. E, proprio nei Paesi più indebitati e a rischio instabilità, un più che probabile aumento delle sofferenza bancarie, legate a bollette energetiche fuori controllo, licenziamenti/cassa integrazione e rate sui mutui rese più pesanti proprio dal rialzo dei tassi.

Insomma, se da un lato le banche commerciali potrebbero essere tentate dall’opzione di un parcheggio sicuro e ben remunerato della loro liquidità in eccesso alla Bce, i governi cui fanno capo come spiegherebbero ai cittadini un quasi certo credit crunch e un ridimensionamento degli attivi per famiglie e imprese, proprio nel momento di maggior necessitò di credito all’economia reale? E poi, quanto potrà durare uno schema simile, stante la sibillina dichiarazione della Lagarde stessa, a detta della quale lo scudo anti-spread entrerà in azione solo in caso di necessità conclamata? Aste di sterilizzazione non programmate ma indette ogni qualvolta lo spread italiano andrà fuori giri? Prima ancora che scenda in campo, il nuovo strumento appare decisamente raffazzonato e frutto dell’emergenza. Non a caso, la Bce ha deciso di schierare da subito la più credibile prima libera di difesa, il reinvestimento flessibile del Pepp. Tra poche ore, la prima prova del fuoco.

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