Pronta la riforma del Patto di stabilità europeo: tutti i vantaggi e i rischi per l’Italia

Giacomo Andreoli

2 Novembre 2022 - 14:37

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L’esecutivo europeo guidato da Ursula von der Leyen ha preparato la bozza di riforma del Patto di Stabilità, sospeso fino a fine 2023: ecco cosa prevede e i possibili effetti per l’Italia di Meloni.

Pronta la riforma del Patto di stabilità europeo: tutti i vantaggi e i rischi per l’Italia

Finalmente c’è una proposta. La Commissione europea ha pronto il piano di riforma del Patto di Stabilità e Crescita. Quello del deficit al 3% e del rapporto debito/Pil al 60%, per intenderci, padre di tutte le politiche di cosiddetta “austerity” nell’Unione europea. Al momento il trattato è sospeso fino alla fine del prossimo anno, vista la terribile sequenza economica prima del Covid-19 e poi del caro-energia e dell’inflazione. Nel frattempo i commissari hanno lavorato, interloquendo con i paesi membri, a una riforma.

Il punto di partenza è chiaro: quelle regole sono inattuali e, soprattutto in un contesto economico in cui è impossibile tenere troppo sotto controllo il debito, visto l’aumento record del costo di materie prime, gas e luce, tornare a un’applicazione ferrea (in linea anche con il vecchio Fiscal Compact) è impossibile. Per rivedere il Patto, però, la Commissione deve mettere assieme posizioni diversissime.

Da una parte i paesi del Sud Europa vogliono continuare con una strategia economica di tipo neokeynesiano (sul modello del Recovery Fund), dall’altra i falchi del Nord Europa (a volte sostenuti dalla Germania) spingono ancora per il rigore finanziario. La proposta di riforma, così, rischia di essere non pienamente in linea con le richieste dell’Italia, con evidenti vantaggi, ma anche effetti potenzialmente pericolosi per il debito pubblico. Vediamo perché.

Riforma del Patto di Stabilità, i vantaggi per l’Italia

Al piano hanno lavorato in primis i commissari economici Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis. L’idea di fondo è rendere i vincoli di bilancio meno stringenti, per permettere politiche fiscali espansive, ma contemporaneamente mettere forse ancor di più sotto vigilanza i paesi maggiormente indebitati (tra cui l’Italia).

La prima regola che verrebbe eliminata è la previsione di ridurre l’eccesso di un ventesimo all’anno per i Paesi con debito oltre il 60% del Pil: qualcosa che, ad oggi, all’Italia costerebbe 50 miliardi. Assieme a questo verrebbe meno l’obbligo di migliorare i saldi di bilancio dello 0,5% per chi non è in pareggio tra entrate e uscite. Due netti vantaggi per il nostro Paese.

Riforma del Patto di Stabilità, i rischi per l’Italia

Ad essere rischioso per il nostro Paese è invece il rafforzamento dei criteri di vigilanza e delle misure sanzionatorie ad esso legate, in base al giudizio della Commissione. Gli Stati con debito troppo alto, se l’esecutivo Ue lo ritenesse necessario, potrebbero concordare un piano di rientro ad hoc spalmato su più anni, senza il vincolo di riduzione di un tot ogni 12 mesi, ma con un intervento complessivo forse ogni quattro anni.

L’idea è prevedere un meccanismo di controllo costante dei conti sul modello del Pnrr, con l’indicazione di percorsi di aggiustamento fiscale di volta in volta valutando la situazione. Qualcosa di simile a quello che già avviene, ma in maniera più puntuale, con i quattro anni che possono diventare sette se il Paese chiede una dilazione per obiettivi indicati con nuovi investimenti. Se poi qualcosa va storto il Consiglio europeo avrebbe il potere di adottare decisioni a maggioranza, facendo scattare anche la procedura d’infrazione.

Rispetto alla formulazione originaria del Trattato verrebbe inserito un nuovo parametro: quello del 90% del rapporto debito-Pil. Sarà il debito “ad alto rischio”, su cui intervenire e su cui far pesare la possibile vigilanza europea. L’Italia ci rientrerebbe perfettamente, con il rischio di dover negoziare ogni politica fiscale e ogni investimento, tra leggi di Bilancio e tranche del Pnrr.

Quando verrà approvata la riforma?

La proposta di riforma sarà approvata mercoledì prossimo dalla Commissione. Fino a quel giorno l’attuale bozza potrebbe essere rivista in alcuni punti. Poi starà agli Stati membri discuterne. Per approvarla serve l’ok del Consiglio e del Parlamento europeo. Ci vorranno probabilmente dei mesi prima di arrivare a un’eventuale riforma effettiva, condivisa e ufficiale.

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