Ricerca & Sviluppo: ha ancora senso parlarne? Sì, ma con criterio

Seedble

12 Luglio 2022 - 08:58

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Open vs Closed Innovation: i principi chiave dello switch di paradigma e alcuni case study di successo in azienda da cui possiamo imparare.

Ricerca & Sviluppo: ha ancora senso parlarne? Sì, ma con criterio

Il paradigma dell’innovazione aperta nasce con l’intento di rendere le imprese più competitive, flessibili e innovative. È un modello di innovazione che prevede l’apertura dell’impresa all’esterno per poter attingere strumenti e competenze tecniche principalmente da startup, università, centri di ricerca e altre realtà.

I principi di questo paradigma sono ormai conosciuti da molti e, se dovessimo qui brevemente ripercorrerne gli aspetti chiave, potremmo senz’altro indicare:

  • Confini organizzativi: aprire i confini dell’azienda per accogliere esperienze, competenze e idee esterne all’organizzazione.
  • Persone: stimolare le persone, ingaggiarle, condividere con loro gli obiettivi strategici di innovazione e fare in modo che si facciano sponsor del cambiamento di mentalità.
  • Contaminazione: collaborare con startup, giovani talenti, università e creazione di un ecosistema di innovazione per stimolare la generazione di nuove idee e nuovi modelli di business.
  • Strumenti: utilizzare strumenti per favorire la condivisione e la contaminazione di idee, favorendo l’interazione tra le persone.

    Quando gli elementi citati non vengono applicati, si rischia il fallimento dei progetti di innovazione, come spesso accade.
    Possiamo inoltre evidenziare le differenze tra una vecchia concezione di innovazione, quella che sfruttava dipartimenti di Ricerca e Sviluppo (R&D) chiusi in sé stessi e con una visione limitata ai modelli di business core dell’azienda, e confrontarli con il nuovo approccio aperto.

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L’apertura dei mercati internazionali, secondo il padre del paradigma di Open Innovation Henry Chesbrough, ha reso inefficaci e altamente costosi i precedenti modelli di Closed Innovation incentrati sul confinamento della conoscenza nei dipartimenti interni di R&D. Ciò significa che innovazione non deve essere più un sinonimo di R&D.

Il paradigma dell’innovazione aperta consente alle organizzazioni di attingere a competenze, risorse, tecnologie e idee dall’esterno accelerando il processo di prototipazione e commercializzazione di nuovi prodotti e servizi per il mercato.
Se, in passato, avevamo visto prosperare e guadagnarsi condizioni di monopolio i grandi colossi con alta capacità di investimento in R&D, nel mondo attuale assistiamo sempre più frequentemente all’ingresso sul mercato di servizi e prodotti che ne cambiano le regole in pochissimo tempo.

Quali e quante tipologie di Open Innovation esistono?

Come anticipato, le nuove idee possono nascere da conoscenze e competenze interne all’azienda ma anche, e soprattutto, da quelle esterne. Proprio seguendo la “direzione” con cui queste idee attraversano i confini aziendali è possibile distinguere due approccio all’Open Innovation, Inbound e Outbound:

  • Inbound Open Innovation
    Si tratta del caso in cui le risorse di innovazione esterne all’azienda vengono internalizzate, ovvero è l’azienda stessa che attinge a collaborazioni esterne per ampliare le proprie competenze.
    Diventa fondamentale quindi saper selezionare le giuste realtà esterne con cui stringere collaborazioni, in modo che dalla contaminazione possa esplodere l’innovazione.
  • Outbound Open Innovation
    Questo approccio, in direzione opposta, mira a esternalizzare le innovazioni generate all’interno dei propri confini aziendali. Il flusso è quindi invertito, ciò che viene ideato e sviluppato in azienda viene messo a disposizione di partner e altre realtà che abbiano interesse a collaborare.

Farsi ispirare e sperimentare

Quali sono le sfide, le idee e i casi da cui trarre ispirazione per capire come gestire e orchestrare l’innovazione aperta in azienda?

Possiamo citare alcuni casi che rappresentano degli esempi di come applicare i principi dell’Open Innovation.

  • LEGO: il famosissimo brand di mattoncini ha utilizzato logiche di crowdsourcing per coinvolgere tanti appassionati a proporre idee e co-creare nuovi prodotti, trasformando ognuno di loro in un LEGO Designer. Il portale LEGO IDEAS è tuttora online e permette di interagire con il brand e partecipare a contest o semplicemente candidarsi spontaneamente con un’idea. Tutto ciò ha permesso al brand di lanciare nuovi prodotti con utenti già interessati all’acquisto.
  • Mozilla: utilizzando logiche simili al precedente caso, ma applicandolo al mondo del software open source, Mozilla conta ora una community di developer pronti a proporre soluzioni, testare plugin e righe di codice, anche solo per il senso di appartenenza e la passione per il brand. Grazie a questo Mozilla ha rilasciato i suoi prodotti e servizi con la sicurezza di avere un pubblico di utenti pronti a sostenerli.
  • P&G: già dai primi anni duemila Procter & Gamble ha lanciato il suo programma di challenge interne ed esterne coinvolgendo ad oggi circa 2.000 partner in tutto il mondo. Si è inoltre spinta in avanti grazie a Joint Venture e acquisizioni mirate di startup e aziende che hanno contribuito alla creazione di nuovi business e migliorato il posizionamento di mercato di P&G.

Ma esistono anche casi negativi che ci fanno comprendere quanto può essere decisivo approcciare in modo errato all’innovazione.

Ad esempio Xerox, brand che produce stampanti industriali e per le aziende, ha subito varie crisi in relazione alle sue decisioni di non aprirsi a nuove tecnologie e nuovi modelli di business, mantenendo gli enormi investimenti in dipartimenti di ricerca e sviluppo chiusi all’interno dei confini aziendali. Problema ancor più grave se si pensa che spinoff come Adobe e 3COM, società nate da ex-dipendenti di Xerox usciti dall’azienda proprio perché non stimolati ad aprire mentalità e confini, valgono ora miliardi di dollari.
Blockbuster, Nokia, Kodak e Polaroid sono casi simili dove addirittura le aziende sono cadute in fallimento.

Cosa ci portiamo a casa da questi esempi?

Questi e molti altri esempi si possono recuperare nella letteratura degli ultimi vent’anni dove soprattutto le storie di fallimento colpiscono per la nostra vicinanza con quei brand che erano riusciti a emergere proprio grazie a delle innovazioni che, per molto o breve tempo, avevano cambiato le nostre abitudini.
D’altra parte sono proprio questi brand che non hanno riconosciuto i segnali del mercato e non hanno sfruttato il potenziale dell’Open Innovation.

Nei tre casi di successo abbiamo visto come le logiche di crowdsourcing e community abbiano permesso di interagire con i potenziali utilizzatori dei servizi proposti, sostenute da strumenti come challenge e contest per gestirne l’interazione e il coinvolgimento.
Anche l’aumento di relazioni commerciali come partnership, joint venture e acquisizioni (M&A) ha portato benefici a tante corporate che hanno deciso in questo modo di stringere forti relazioni con startup e tech company che erano in grado di portare innovazione al loro modello di business.

Ciò che più è interessante da comprendere, a mio avviso, è che la voglia di sperimentare nuove soluzioni, relazioni, approcci, strumenti non deve mai mancare nella quotidianità delle aziende che non vogliono perdere delle opportunità di evoluzione. Il percorso o processo di innovazione, però, non è tracciato e non è uguale per tutti; sta a noi saper modellare l’approccio che più si sposa con le esigenze della realtà in cui lavoriamo.

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