Cosa ci insegna il fallimento dei referendum sulla giustizia e perché non è solo indifferenza verso la politica

Stefano Rizzuti

13/06/2022

13/06/2022 - 17:34

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I referendum sulla giustizia non hanno raggiunto il quorum, con un dato dell’affluenza bassissimo. Qual è il motivo? E siamo sicuri che l’astensionismo sia dovuto solo alla disaffezione alla politica?

Cosa ci insegna il fallimento dei referendum sulla giustizia e perché non è solo indifferenza verso la politica

Il fallimento dei referendum sulla giustizia era annunciato. Il mancato raggiungimento del quorum non stupisce nessuno, così come non sorprende un dato sull’affluenza - inferiore al 20% - che, se confermato, sarebbe il più basso nella storia della Repubblica per un referendum abrogativo.

Colpa degli elettori che sono sempre più distanti dalla politica e dalla volontà di esprimere il proprio voto, dirà qualcuno. Colpa dei partiti che hanno mostrato ben poco entusiasmo verso questo voto referendario con degli inviti, almeno impliciti, a non andare alle urne, dirà qualcun altro.

Ma forse c’è anche dell’altro. Non che la disaffezione per la politica e l’alto astensionismo non siano un fenomeno del nostro tempo. Ma qualche motivazione che riguarda più da vicino questo referendum sembra esserci.

La bassa affluenza: quorum lontanissimo, meglio alle comunali

Dopo due anni di pandemia in cui le tornate elettorali sono sempre state spalmate su due giorni, domenica e lunedì, questa volta si è tornati all’election day unico. Che comprendeva non solo i referendum sulla giustizia, ma anche le elezioni amministrative in 971 comuni.

È vero, anche per le elezioni comunali l’affluenza è risultata essere in calo. Ma parliamo di un calo di circa 4-5 punti percentuali rispetto alla precedente tornata elettorale, con un dato medio italiano leggermente inferiore al 60%. Ben diverso dal neanche 20% dei referendum.

Un referendum non chiesto dai cittadini

Il 12 giugno 2022 si è votato solamente sui cinque quesiti sulla giustizia e non sugli altri due referendum richiesti dai cittadini: quello sulla cannabis e quello sull’eutanasia. Entrambi sono stati dichiarati inammissibili dalla Consulta.

Sono rimasti cinque quesiti sulla giustizia. Ma - e questo è uno dei punti cruciali - questi referendum non sono stati richiesti attraverso la raccolta delle firme e quindi dai cittadini. Ma la loro richiesta è stata politica, tanto da farne diventare - almeno inizialmente - una battaglia di Matteo Salvini.

A voler indire i cinque quesiti sono stati la Lega e il Partito Radicale, ma la richiesta alla Consulta è stata avanzata solamente grazie all’approvazione di nove consigli regionali, tutti di centrodestra e quindi di una specifica parte politica.

I tecnicismi dei referendum sulla giustizia

Sicuramente il tema del referendum è stato poco affrontato sia a livello politico che mediatico in queste ultime settimane. Ma c’è anche un’altra spiegazione al fallimento dei cinque quesiti sulla giustizia: l’eccessivo tecnicismo delle domande presentate agli elettori.

Le tematiche su cui gli elettori erano chiamati a votare riguardano questioni in gran parte tecniche e, almeno per tre quesiti, molto legati a una categoria professionale, quella dei magistrati, non percepita come molto vicina ai cittadini.

Guardando i quesiti sulle schede si nota subito come la lunghezza e la complessità delle domande non incentivasse di certo i cittadini ad andare le urne. Al di là della legge Severino, conosciuta dai più perché riguardante l’incandidabilità dei politici, tutti gli altri temi sembrano davvero molto distanti dalla gente comune.

E sembrano questioni su cui a decidere è giusto che sia il Parlamento e non i cittadini, trattandosi di questioni molto tecniche e che, probabilmente, non interessano davvero gli elettori. Viene difficile pensare che la preoccupazione dell’italiano medio - soprattutto in un periodo di crisi prima sanitaria e poi economico-sociale come questo - possa essere il numero di firme che deve raccogliere un magistrato per candidarsi al Csm o se un avvocato possa o meno dare un giudizio sulla carriera di un magistrato.

Non solo, perché parte dei quesiti verrà comunque recepita parzialmente dalla riforma della giustizia che nelle prossime ore approderà al Senato. Vien da sé, quindi, che il fallimento dei referendum non sembra tanto legato a una disaffezione dei cittadini alla vita politica e all’esercizio del voto, quanto a una serie di questioni tecniche che riguardano le materie di questa tornata referendaria.

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