Assegno di inclusione, la trappola delle dimissioni. Ecco cosa si rischia

Simone Micocci

14/04/2024

16/04/2024 - 12:11

condividi

Assegno di inclusione, le dimissioni dal posto di lavoro possono portare a conseguenze molto gravi. Se non comunicate correttamente all’Inps si rischia persino il carcere.

Assegno di inclusione, la trappola delle dimissioni. Ecco cosa si rischia

Così com’era per il Reddito di cittadinanza, anche nel caso dell’Assegno di inclusione bisogna prestare molta attenzione alle dimissioni dal lavoro, sia quando rassegnate nei 12 mesi prima della domanda che durante il periodo di percezione della misura.

Infatti, come stabilito dal comma 3, articolo 2, del decreto n. 48 del 2023, la possibilità di richiedere l’Assegno di inclusione è preclusa a tutti quei nuclei familiari con uno o più componenti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie rassegnate negli ultimi 12 mesi.

Una preclusione persino più severa rispetto a quella che era prevista dal Reddito di cittadinanza, per il quale le dimissioni comportavano solamente l’esclusione della persona dal parametro di scala di equivalenza, consentendo agli altri componenti del nucleo di beneficiare comunque del sostegno.

Per questo motivo è bene non cadere nella “trappola” delle dimissioni visto che le sanzioni previste per i trasgressori possono essere molto severe.

A tal proposito è importante fare chiarezza su quali sono le regole previste, nonché su quali sono le eccezioni che consentono di beneficiare dell’Assegno di inclusione indipendentemente dalle dimissioni di uno o più componenti del nucleo.

Dimissioni e Assegno di inclusione, le eccezioni

Il consiglio che diamo a tutti i beneficiari del’Assegno di inclusione - così come alla generalità dei lavoratori - è di ricorrere alle dimissioni volontarie solo per extrema ratio.

Anche perché - ricordiamo - queste non solo impediscono di accedere all’Assegno di inclusione, ma precludono anche la possibilità di richiedere l’indennità di disoccupazione Naspi.

La legge considera le dimissioni tutte allo stesso modo, eccetto quelle per giusta causa che invece non hanno conseguenze negative per il lavoratore, come pure la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

Dimissioni per cambio lavoro

Va detto che la norma punisce solamente coloro che restano disoccupati a seguito di dimissioni (eccetto quelle per giusta causa o la risoluzione consensuale). Il che significa che non sono punibili le dimissioni rassegnate per cambio lavoro.

Lo stesso vale quando un lavoratore viene “costretto” a dimettersi da un’azienda per essere assunto sostanzialmente dalla stessa ma con un’altra intestazione.

È importante, quindi, non acquisire lo stato di disoccupato a seguito di dimissioni, così da evitare la sanzione.

Dimissioni nel periodo di prova

C’è un altro caso in cui le dimissioni non sono comunque “punibili”, mantenendo così il diritto all’Assegno di inclusione per l’intero nucleo familiare.

Come ricordato dal ministero del Lavoro, che fu interpellato sul tema quando era ancora in vigore il Reddito di cittadinanza, il periodo di prova è disciplinato dall’articolo 2096 del Codice Civile. Questa norma autorizza ad apporre la clausola accessoria del patto di prova nella fase iniziale di esecuzione di un rapporto di lavoro; uno strumento che consente ad ambo le parti - quindi al datore di lavoro e al lavoratore stesso - di valutare se esistono i presupposti per un prolungato rapporto di lavoro.

Per questo motivo, il periodo di prova costituisce una fase speciale del rapporto di lavoro e, come tale, presenta delle caratteristiche particolari. Ad esempio, durante il periodo di prova non è necessario alcun preavviso per recedere dal contratto, sia per il licenziamento da parte del datore di lavoro che per le dimissioni del lavoratore.

Alla luce di questa specialità, nonché della precarietà che caratterizza il lavoro nel periodo di prova, il ministero del Lavoro ha spiegato che la preclusione all’accesso alle misure di sostegno come era l’Rdc - e adesso l’Adi - non si applica per le dimissioni rassegnate nel periodo di prova.

Dimissioni dal lavoro e Adi, cosa fare?

Visto quanto appena detto, qualsiasi dimissione (eccetto quelle per giusta causa) va comunicata all’Inps. Ci sono due modi differenti per farlo a seconda del periodo a cui queste risalgono:

  • se le dimissioni sono antecedenti alla domanda - tenendo conto di un arco temporale di 12 mesi - bisogna comunicarlo nel modulo della domanda, che automaticamente verrà respinta. Quindi, il consiglio che vi diamo è di evitare proprio di farne domanda;
  • se le dimissioni sono successive alla domanda va presentato - entro 30 giorni dall’evento - il modulo Adi Com-Esteso, ricorrendo ai servizi offerti da Caf e patronati.

Attenzione a non trasgredire: la legge, infatti, prevede che l’omessa comunicazione di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio è punita con la reclusione da 1 a 3 anni, oltre alla decadenza del sostegno e alla restituzione degli importi percepiti indebitamente.

Iscriviti a Money.it