Quando l’avvocato può rinunciare al mandato?

Antonella Ciaccia

12/07/2022

14/07/2022 - 10:40

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L’avvocato può rinunciare a difendere il cliente durante il processo? Quali effetti sorgono dalla rinuncia al mandato e quali cautele si devono adottare per la continuità della difesa.

Quando l’avvocato può rinunciare al mandato?

L’assegnazione dell’incarico all’avvocato dovrebbe essere caratterizzata da costante fiducia reciproca, condivisione di strategia e perseguimento di obiettivi comuni. Qualora tali componenti dovessero venire meno, è data facoltà a entrambe le parti di recedere dal contratto d’opera professionale. Da un lato, l’assistito può revocare il mandato, dall’altro lato, invece, il professionista può rinunciarvi.

Considerata la peculiarità del rapporto contrattuale che si instaura tra il professionista e il cliente e la rilevanza dell’elemento fiduciario, entrambe le parti possono sciogliere unilateralmente il rapporto qualora venga meno la fiducia o qualora non ritengano opportuno proseguire nel mandato conferito.

Approfondiamo in questo articolo gli aspetti che riguardano la rinuncia al mandato dell’avvocato, i tempi e le conseguenze che ne derivano e come viene garantita assistenza fino a quando non viene nominato un nuovo difensore.

La rinuncia al mandato e la normativa di riferimento

Sul profilo deontologico della questione, il Nuovo Codice Deontologico Forense si occupa della rinuncia al mandato all’art.32. In capo all’avvocato è riconosciuta la piena libertà di recedere dal rapporto professionale, senza necessità di giusta causa.

Art. 32 - Rinuncia al mandato

  • L’avvocato ha la facoltà di recedere dal mandato, con le cautele necessarie per evitare pregiudizi alla parte assistita.
  • In caso di rinuncia al mandato l’avvocato deve dare alla parte assistita un congruo preavviso e deve informarla di quanto necessario per non pregiudicarne la difesa.
  • In ipotesi di irreperibilità della parte assistita, l’avvocato deve comunicare alla stessa la rinuncia al mandato con lettera raccomandata all’indirizzo anagrafico o all’ultimo domicilio conosciuto o a mezzo P.E.C.; con l’adempimento di tale formalità, fermi restando gli obblighi di legge, l’avvocato è esonerato da ogni altra attività, indipendentemente dall’effettiva ricezione della rinuncia.
  • L’avvocato, dopo la rinuncia al mandato, nel rispetto degli obblighi di legge, non è responsabile per la mancata successiva assistenza, qualora non sia nominato in tempi ragionevoli altro difensore.
  • L’avvocato deve comunque informare la parte assistita delle comunicazioni e notificazioni che dovessero pervenirgli.
  • La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

É previsto dunque che il professionista adotti tutte le cautele necessarie per evitare pregiudizi alla parte assistita, il che significa che la rinuncia dovrà pervenire con congruo preavviso, così da permettere la sostituzione del difensore (CNF decisione n. 64/2019).

Però dopo la rinuncia al mandato, nel rispetto degli obblighi di legge, egli non è responsabile per la mancata successiva assistenza, qualora non sia nominato in tempi ragionevoli altro difensore.

Come si rinuncia al mandato?

L’atto di rinuncia deve realizzarsi con la comunicazione all’assistito da parte del professionista. Con una lettera consegnata o spedita all’ex assistito, l’avvocato dovrà fornire tutte le indicazioni sullo stato della causa affinché questi possa consegnarle a un nuovo difensore.

La lettera quindi dovrà indicare ad esempio il numero di ruolo della causa, il nome del giudice, la data della successiva udienza e le relative incombenze che dovranno essere svolte, eventuali termini concessi dal giudice per deposito di note o documenti e così via.

Ancora, il terzo comma dell’art. 32 del Codice deontologico forense prevede che, in caso di irreperibilità della parte assistita, l’avvocato sia tenuto a comunicare la rinuncia mediante lettera raccomandata, da inoltrare all’indirizzo anagrafico o all’ultimo domicilio conosciuto dell’assistito, o a mezzo posta elettronica certificata.

Adempiute tali formalità, il professionista è esonerato da qualsiasi altra attività o responsabilità. La sanzione disciplinare prevista in caso di violazione delle disposizioni appena descritte è la censura.

Rinuncia al mandato nella causa civile

L’avvocato che rinunci al mandato oppure sia stato revocato è tenuto dunque a garantire assistenza fin quando non venga nominato un nuovo difensore. Si aprono poi due scenari, a seconda che ci si trovi in una causa civile oppure in un processo penale. La Corte di Cassazione ha delineato due orientamenti che qui approfondiamo.

Se ci si trova a lasciare una causa civile, l’avvocato deve comunque continuare a partecipare alle udienze fino a quando il suo cliente non lo sostituirà. Il codice di procedura civile all’art. art. 85, a riguardo, stabilisce precisamente che la procura può essere sempre revocata e il difensore può sempre rinunciarvi, ma la revoca e la rinuncia non hanno effetto nei confronti dell’altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore.

Fino a tale momento il precedente avvocato conserva le sue funzioni e deve continuare a svolgerle: solo a partire dalla costituzione in giudizio del nuovo difensore che il precedente verrà privato del c.d. “ius postulandi”, ossia del potere di compiere e ricevere atti. Ciò corrisponde, peraltro, anche a un preciso obbligo deontologico.

Rinuncia al mandato nel processo penale

Nell’ambito del solo processo penale, l’avvocato deve attendere che sia trascorso il termine per la difesa espressamente previsto dal codice di procedura penale che all’art.108 stabilisce quanto segue:

1. Nei casi di rinuncia, di revoca, di incompatibilità, e nel caso di abbandono, il nuovo difensore dell’imputato o quello designato d’ufficio che ne fa richiesta ha diritto a un termine congruo, non inferiore a sette giorni, per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento.
2. Il termine di cui al comma 1 può essere inferiore se vi è consenso dell’imputato o del difensore o se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell’imputato o la prescrizione del reato. In tale caso il termine non può comunque essere inferiore a ventiquattro ore. Il giudice provvede con ordinanza.

Pertanto, nei casi di rinuncia, revoca, incompatibilità o abbandono, il nuovo difensore ovvero quello designato d’ufficio ha diritto a un “termine congruo, non inferiore a sette giorni”, al fine di prendere cognizione del processo e visionarne gli atti.

La Cassazione precisa che il difensore di fiducia, cui sia stato revocato il mandato, dovrà comunque presenziare all’udienza poiché la revoca del difensore non ha effetto fintanto che la parte non sia assistita da nuovo difensore e non sia decorso il termine a difesa indicato dal codice di procedura penale.

Dobbiamo pagare l’avvocato che rinuncia al mandato?

Certamente si. Il cliente deve comunque pagare l’avvocato che rinuncia al mandato in proporzione al lavoro da questi svolto. Il professionista non potrà esigere l’importo totale pattuito ma solo una parte.

Qualora tra il professionista e l’assistito sorga un conflitto in merito alla quantificazione della parcella, sarà il giudice a determinare l’importo più giusto e corretto in relazione all’attività esplicata.

Come è garantita la continuità nella difesa secondo la Cassazione

Se l’avvocato rinuncia al mandato come si può garantire la continuità nella difesa?

Della fattispecie in analisi si è occupata la Corte di Cassazione a Sezione Unite nella sentenza n. 2755/2019 affermando la regola per cui anche dopo la rinuncia al mandato, l’avvocato sarebbe tenuto comunque ad informare la parte assistita finché non sia avvenuta ufficialmente la sostituzione del difensore. Ciò al fine di non pregiudicare il diritto alla difesa del proprio cliente.

L’obbligo, in capo al professionista, attiene quindi ad eventuali notifiche.

La Cassazione ricorda che: “... l’avvocato che rinunci al mandato, fino a che non sia avvenuta la sostituzione del difensore deve comunque informare la parte assistita delle comunicazioni e notificazioni che dovessero pervenirgli relativamente al precedente incarico, al fine di evitare pregiudizi alla difesa (art. 32 ncdf, già art. 47 codice previgente). Tali principi sono validi anche per la revoca del mandato, quanto meno sotto il profilo della violazione dei doveri di correttezza e di diligenza ...” (così CNF, sentenza n. 7 del 26 marzo 2019 e, nello stesso senso Cass. SS.UU. sentenza n. 2755 del 30.01.2019)

In effetti, l’avvocato che rinuncia al mandato, nel rispetto degli obblighi di legge, non è responsabile per la mancata successiva assistenza e nulla può pretendere in tal senso l’ex cliente, anche nel caso in cui quest’ultimo non abbia provveduto alla nomina di un altro legale in termini ragionevoli.

Il professionista è unicamente tenuto a informare l’ex assistito circa le comunicazioni e le notificazioni che dovessero (ancora) pervenirgli, ma il rapporto che legava cliente e avvocato viene definitivamente meno con la rinuncia al mandato correttamente eseguita.

Sebbene quello appena esposto rimanga l’orientamento deontologico della giurisprudenza, si segnala una più recente sentenza della Corte di cassazione 23 giugno 2020, n. 12249 nella quale si legge un orientamento contrario.

Secondo quanto sostenuto dalla VI Sezione con la sentenza n. 12249/2020, il disposto dell’art. 85 c.p.c. andrebbe interpretato nel senso che, fino alla sua sostituzione, il difensore conserva le sue funzioni con riguardo alle vicende del processo, sia per quanto attiene alla legittimazione a ricevere atti nell’interesse del mandante, sia per quanto riguarda la legittimazione a compiere atti nel suo interesse.

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