Perché serve il salario minimo in Italia

Giorgia Bonamoneta

11/07/2022

11/07/2022 - 20:10

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L’Italia è uno dei pochi Paesi dell’Ue a non avere il salario minimo. A cosa serve e perché potrebbe essere una risposta alla crisi economica e sociale?

Perché serve il salario minimo in Italia

È tempo che anche l’Italia raggiunga il salario minimo. Ne sono convinti i dipendenti e anche gran parte dei politici, perché il salario minimo serve, in particolare, per la ripresa del Paese dopo un periodo di crisi lungo oltre un decennio e serve per rinnovare la fiducia dei dipendenti con il concetto di lavoro stesso. Dopotutto sono fin troppi i dipendenti che in Italia percepiscono un reddito mensile inferiore a 1000 euro (circa 780 euro).

Tra stipendi inferiori al minimo previsto dai contratti nazionali, lavoro in nero e disoccupazione l’Italia ha bisogno di una riforma del lavoro che ne muti il senso stesso. Dopo due anni di pandemia sono molte le persone che hanno iniziato a pensare che non si può “vivere per lavorare”, infatti dopo la pandemia circa 58% dei lavoratori ha rivalutato l’equilibrio tra lavoro e vita privata.

Sono noti i fenomeni di dimissioni in massa, così come l’impossibilità di trovare dipendenti stagionali in attività del settore turistico e della ristorazione. La colpa non è del Reddito di cittadinanza, l’Inps ha smentito lo scorso anno tale ipotesi di alcuni politici; la colpa è dell’instabilità del lavoro, delle basse prospettive di crescita in settori precari e dell’inadeguato livello degli stipendi al lavoro richiesto.

Il salario minimo è una risposta. Con il salario minimo idealmente si cerca di rispondere a quel 23,8% dei lavoratori che guadagnano meno di 9 euro lordi all’ora. Quando si parla di “guadagni inferiore al salario minimo”, si sta parlando anche di povertà. Non è un caso se nel nostro Paese il numero di persone nella fascia di povertà assoluta è in aumento rispetto al passato. Senza risparmi e senza adeguati stipendi, è sempre più complicato sopravvivere all’inflazione che ormai corre in direzione 7%.

Il salario minimo in Italia per combattere la povertà

Il salario minimo non è l’ingrediente segreto per risolvere la crisi economica italiana, ma è evidente che garantire una maggiore sicurezza economica al lavoratore comporterebbe una serie di conseguenze a catena positive per tutto il Paese. Secondo l’ultimo report di “In-work poverty in the Ue” in Italia all’11,7% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali. Secondo i dati dell’Inps sono 3,3 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 9 euro lordi all’ora, ovvero il 23,8% di tutti lavoratori italiani. Guadagnare meno di 9 euro vuol dire superare appena i 1500 € lordi al mese e, sempre secondo l’Inps, 905.000 persone nel 2021 guadagnavano meno di 1000 € al mese, di cui il 28% meno di 5000 € annui.

Con uno stipendio medio di 9 euro l’ora è difficile immaginare come si possa affrontare, senza risparmi e garanzie, il periodo di crisi economica e l’inflazione (che corre verso il 7%) attuale.

Perché serve il salario minimo?

Il salario minimo manca ormai in pochi Paesi Ue, tra cui Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia, Svezia e ovviamente in Italia. Il salario minimo in Italia servirebbe a migliorare la condizione economica degli italiani? L’82% degli Italia è convinto di sì. Le conseguenze positive al salario minimo, almeno su carta e basandosi sulle esperienze di altri Paesi che hanno introdotto il salario minimo sono:

  • aumento di produttività
  • aumento del Pil
  • maggior potere d’acquisto
  • aumento di risparmiatori

Volendo allargare il discorso a uno scenario più ampio si può provare a immaginare che con lo stipendio minimo garantito potrebbe aumentare le nascite e i matrimoni. Sentiamo spesso politici raccontare la favola dell’Italia che invecchia e si impoverisce. Ma qual è la soluzione? Non i cortei a favore della fertilità, ma risposte concrete. Il salario minimo è un primo passo, soprattutto se in prospettiva futura sono i giovani, le donne e le persone disabili, le categorie al momento più fragili, a poterne beneficiare.

Di seguito alcuni esempi di salario minimo previsto dai contratti nazionali, anche se il più delle volte non vengono rispettati:

  • settore turistico, stipendio medio orario 7,48 euro
  • settore tessile e abbigliamento, stipendio medio orario 7,09 euro
  • settore dei servizi socio-assistenziali, stipendio medio orario 6,68 euro
  • settore pulizie e servizi integrati , stipendio medio orario 6,52 euro (il contratto nazione non viene rinnovato da oltre sette anni)
  • settore vigilanza e di servizi fiduciari, stipendio medio orario 4,6 € l’ora (non rinnovato dal 2015)

Basta fare pochi calcoli per capire che lavorare con simili stipendi non solo fa perdere la voglia di impegnarsi (calo di produttività), ma non garantisce neanche l’indipendenza economica. Aumentano invece i numeri degli insoddisfatti, tanto che l’Italia è uno dei Paesi dove i lavoratori sono più tristi al mondo e solo il 4% dei dipendenti è soddisfatto del proprio lavoro.

Per questo serve il salario minimo, per immaginare un futuro un po’ più sicuro. E se al salario minimo aggiungiamo un maggior controllo nel rispetto dei contratti di lavoro, la diminuzione del lavoro in nero e dello stagionale precario, allora sì che l’Italia avrà gli ingredienti di base per la ricetta contro la crisi economica.

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