Pensioni, bomba pronta a esplodere: assegno “ridotto” già da quest’anno (e andrà sempre peggio)

Simone Micocci

24/02/2023

24/02/2023 - 11:38

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Pensioni, i contributi versati stanno perdendo sempre più valore: scenario oscuro per i prossimi anni se si tiene conto di Pil e inflazione.

Pensioni, bomba pronta a esplodere: assegno “ridotto” già da quest’anno (e andrà sempre peggio)

Per chi andrà in pensione quest’anno, come pure il prossimo, non ci sono buone notizie: sull’importo dell’assegno inciderà negativamente la perdita di valore dei contributi versati dal lavoratore nel corso della sua carriera, una situazione che negli anni a venire potrebbe ulteriormente peggiorare.

A farlo presente è il Sole 24 Ore, che in un approfondimento firmato da Marco lo Conte fa luce su come l’inflazione, sommata al sistema scelto per la rivalutazione del montante contributivo, riduce le pensioni future degli italiani. Il tutto è dovuto dalle regole di calcolo delle pensioni introdotte dalla riforma Dini/Treu, con la quale si è passati da un calcolo retributivo a uno di tipo contributivo, dove - come si intuisce dal nome - hanno un peso maggiore i contributi versati dal lavoratore.

Contributi che però devono essere rivalutati di ogni anno, per evitare che possa esserci una svalutazione. Il problema è che il meccanismo di rivalutazione previsto dal sistema contributivo può funzionare in periodi in cui l’inflazione è assente o quasi; diversamente gli effetti sulle pensioni future sono negativi a tal punto da comportare una notevole riduzione del tasso di sostituzione, ossia il rapporto tra l’importo dell’ultima retribuzione e la pensione liquidata dall’Inps.

L’approfondimento in oggetto potrebbe essere un po’ complicato per chi non ha particolare dimestichezza con questi temi; proveremo a semplificarlo il più possibile così che tutti possano capire perché stiamo andando verso anni in cui le pensioni liquidate dall’Inps potrebbero essere sempre più basse, e lontane dallo stipendio percepito, a causa di una maggiore svalutazione dei contributi versati.

Come funziona il sistema contributivo

Come prima cosa è bene partire dal funzionamento del sistema contributivo, entrato in vigore dal 1° gennaio 1996 (ma che per coloro che entro questa data hanno maturato almeno 18 anni di contributi viene rinviato al 1° gennaio 2012).

Nel dettaglio, questo sistema prevede che tutti gli anni di contributi versati durante la carriera, rivalutati ogni anno, si accumulano nel cosiddetto montante contributivo. La somma dei contributi rivalutata si trasforma in pensione tramite l’applicazione di un determinato coefficiente (detto appunto di trasformazione), tanto più vantaggioso quanto più si ritarda l’accesso alla pensione.

Concentriamoci sulla rivalutazione: nel dettaglio, la legge Dini/Treu stabilisce che questa avvenga in base al tasso prodotto dalla media del tasso medio del Pil nominale degli ultimi 5 anni, dai quali viene escluso tanto l’anno del pensionamento quanto il precedente.

Il problema. quindi, è che in Italia il valore delle pensioni dipende dalla capacità del Paese di generare un Pil positivo, correlazione che tuttavia “non compensa le criticità endogene con l’efficienza di altri elementi” (come ad esempio l’inflazione).

In particolare, come vedremo nella tabella seguente, frutto di un’elaborazione dei dati Nadef 2022 elaborata dal Sole 24 Ore in collaborazione con la società di consulenza indipendente Consultique, se si considera la crescita del Pil negli anni al netto dell’inflazione, ne risulta una rivalutazione dei contributi che seppur positiva ha iniziato a ridursi sempre più dal 2008 (con i primi picchi negativi) con una tendenza al peggioramento nell’ultimo periodo.

Decorrenza pensioneMontante alInflazione FOITasso di capitalizzazioneDifferenze
1996 - 2,5% - -
1997 - 1,7% - -
1998 1996 1,4% 5,59% 3,09%
1999 1997 2,2% 5,36% 3,66%
2000 1998 2,7% 5,65% 4,25%
2001 1999 2,3% 5,18% 2,98%
2022 2000 2,7% 4,78% 2,08%
2003 2001 2,2% 4,37% 2,07%
2004 2002 1,7% 4,16% 1,46%
2005 2003 2,0% 3,93% 1,73%
2006 2004 1,6% 4,05% 2,35%
2007 2005 2,6% 3,54% 1,54%
2008 2006 2,1% 3,39% 1,79%
2009 2007 0,9% 3,46% 0,86%
2010 2008 2,0% 3,32% 1,22%
2011 2009 3,2% 1,79% 0,89%
2012 2010 2,4% 1,62% -0,38%
2013 2011 0,6% 1,13% -2,07%
2014 2012 -0,1% 0,16% -2,24%
2015 2013 0,0% 0% -0,6%
2016 2014 0,4% 0,51% 0,61%
2017 2015 0,8% 0,47% 0,47%
2018 2016 1,0% 0,52% 0,1%
2019 2017 0,4% 1,35% 0,55%
2020 2018 -0,2% 1,83% 0,83%
2021 2019 3,8% 1,92% 1,52%
2022* 2020 11,3% 0% 0,2%
2023 2021 - 0,98% -2,82%
2024 2022 - 1,77% -9,53%

*Ricordiamo che al 2022 si considerano i dati al 2020 in quanto come anticipato né per l’anno in cui si va in pensione né per quello precedente vengono presi in considerazione per il calcolo della pensione.

Concentriamoci quindi su coloro che andranno in pensione nel 2024: complice l’inflazione, per questi ci sarà una rivalutazione dei contributi senza precedenti, un meno 9,5% netto che ovviamente avrà gravi conseguenze sulle pensioni. E nei prossimi anni, seppur questo valore dovrebbe pian piano scendere, la tendenza negativa è destinata a proseguire.

Quali conseguenze sulle pensioni?

L’andamento di Pil e inflazione negli ultimi anni avrà un impatto negativo sulle pensioni. Anche perché bisogna tener conto dell’effetto “tempo”: se si considera una differenza percentuale dell’1% alla voce tasso di rivalutazione dei contributi versati, in 10 anni l’impatto negativo sul montante è del 4,94%. Una differenza del 2%, invece, avrebbe un effetto persino maggiore rispetto al doppio, pari al 10,19%.

Guardiamo invece l’impatto a 40 anni: 16,82% la “frenata” sui contributi in caso di differenza percentuale dell’1%, del 38% - quindi più di un terzo del totale - con un 2%.

Il problema è che nonostante il legislatore avesse previsto una rivalutazione tendenzialmente bassa con il passare degli anni, non ha tenuto conto di una possibile impennata del costo della vita, come invece c’è stata negli ultimi anni creando così “un disallineamento rilevante con l’indicizzazione delle pensioni in via di erogazione, seppur limitate con il crescere delle prestazioni stesse”.

Quindi, c’è una differenza sempre più marcata tra chi è già in pensione e chi guarda preoccupato ai prossimi anni, in quanto una serie di fattori - dalla crisi economica alle problematiche del mercato del lavoro - rischiano di contribuire a rendere la pensione sempre più bassa (a parità di contributi versati).

Ma concentriamoci sull’impatto reale, ossia quel tasso di sostituzione che rappresenta il rapporto tra l’ultimo stipendio percepito e la pensione liquidata.

Nel dettaglio, nella simulazione operata dal Sole 24 ore, viene preso come esempio un pensionamento a 67 anni (età della pensione di vecchiaia) e una crescita dei redditi pari all’inflazione target della Bce, ossia del 2%. È stata poi ipotizzata una rivalutazione della media quinquennale del Pil pari a 0%, all’1% o al 2%, da cui ne risulta che:

  • con l’ipotesi di un Pil dello 0%, e un reddito pensionistico di 28.519 euro, il tasso di sostituzione sarebbe del 53%. Come dire che se l’ultimo stipendio è stato di 2.500 euro (lordi), la pensione sarà solo pari a 1.325 euro;
  • con l’ipotesi di un Pil dell’1%, e un reddito pensionistico di 33.317 euro, il tasso di sostituzione sarebbe del 62%. Quindi, rispetto all’ultimo stipendio di 2.500 euro lordi la pensione sarebbe pari a 1.550 euro;
  • infine, con l’ipotesi più ottimistica, di un Pil al 2%, e reddito pensionistico di 39.357 euro, il tasso di sostituzione sarebbe del 73%, con una pensione di 1.825 euro se l’ultimo stipendio percepito è di 2.500 euro.

È ovvio, quindi, che l’andamento delle pensioni dipende tutto dalla crescita economica; laddove l’andamento del Pil dovesse attestarsi vicino allo 0% per le pensioni future la differenza che c’è tra stipendio e pensione sarebbe sempre più tangibile, con conseguenze per tutta l’economia visto che la presenza di sempre più pensioni basse vorrebbe dire che lo Stato dovrebbe intervenire anche in maniera assistenziale, sostenendo quei pensionati che a causa del basso importo percepito non riusciranno ad arrivare alla fine del mese.

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