Con la pensione di reversibilità si può lavorare?

Simone Micocci

14 Novembre 2023 - 18:43

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Pensione di reversibilità, spetta anche a chi lavora? Le regole per figli e coniugi.

Con la pensione di reversibilità si può lavorare?

La pensione di reversibilità è quel trattamento pensionistico riconosciuto ai familiari superstiti in caso di decesso del pensionato. Generalmente ne ha diritto il coniuge (anche se separato o divorziato, ma solo a certe condizioni), come pure i figli minori o maggiorenni che soddisfano determinati requisiti.

A proposito del tema in oggetto, è bene specificare che nel caso dei figli maggiorenni la pensione di reversibilità spetta a condizione che questi non svolgano alcuna attività lavorativa: se vi state chiedendo quindi se i figli che prendono la pensione di reversibilità possono lavorare la risposta è negativa.

Non lo è invece nel caso del coniuge, in quanto la reversibilità spetta anche a chi lavora: tuttavia, a differenza di quanto succede per chi percepisce una pensione diretta di vecchiaia o anticipata, dove l’attività lavorativa è consentita senza limiti, nel caso della pensione ai superstiti si guarda al reddito percepito per quantificare l’importo del trattamento. Infatti, se il coniuge lavora e guadagna oltre il limite fissato dalla legge vengono effettuati dei tagli all’importo percepito.

I limiti entro cui è possibile cumulare i redditi da lavoro con la pensione di reversibilità variano di anno in anno poiché il parametro di riferimento è il trattamento minimo della pensione, il quale è soggetto a rivalutazione annuale.

A tal proposito, vediamo entro quando è possibile cumulare i redditi da lavoro con la pensione di reversibilità e quali sono le percentuali del taglio dell’assegno.

Pensione di reversibilità e figli maggiorenni: attività lavorativa vietata

Come anticipato, la pensione di reversibilità spetta tanto ai figli minori quanto maggiorenni, ma per quest’ultimi solamente se:

  • inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso, indipendentemente dall’età;
  • maggiorenni studenti, a carico del genitore al momento del decesso, che non prestino attività lavorativa, che frequentano scuole o corsi di formazione professionale equiparabili ai corsi scolastici, nei limiti del 21° anno di età;
  • maggiorenni studenti, a carico del genitore al momento del decesso, che non prestino attività lavorativa, che frequentano l’università, nei limiti della durata legale del corso di studi e non oltre il 26° anno di età.

Al figlio maggiorenne che presta attività lavorativa, quindi, la pensione di reversibilità non spetta, in quanto vi è una totale incompatibilità tra il reddito di lavoro e il trattamento in oggetto.

Pensione di reversibilità, il coniuge può lavorare?

La pensione di reversibilità spetta anche al coniuge, anche se separato o divorziato ma solo se soddisfa tutte le seguenti condizioni:

  • sia titolare dell’assegno divorzile;
  • non sia passato a nuove nozze;
  • la data di inizio del rapporto assicurativo del defunto sia anteriore alla data della sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

A differenza dei figli, quando il coniuge superstite a cui viene riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità ha un lavoro, sia come dipendente che da autonomo, sull’assegno potrebbe scattare una riduzione d’importo variabile a seconda dei redditi da lavoro percepiti.

Per capire entro quale importo il reddito da lavoro è compatibile con la pensione di reversibilità bisogna prendere in considerazione il trattamento minimo Inps, nel 2023 pari a 563,74 euro mensili, 7.328,62 euro annui. La normativa, infatti, stabilisce che quando il reddito annuo ricavato dall’attività lavorativa è superiore alle 3 volte il trattamento del minimo ma è comunque inferiore alle 4 volte, scatta una decurtazione del 25% dell’importo originario della pensione spettante ai superstiti.

Quindi, la pensione di reversibilità si riduce del 25% per coloro che dall’attività lavorativa percepiscono un reddito compreso tra i 21.985,86 euro e i 29.314,48 euro (a fronte di uno stipendio mensile netto compreso all’incirca tra i 1.460 e i 1.750 euro).

Quando invece il reddito da lavoro è compreso tra le quattro (29.314,48 euro) e le cinque volte (36.643,10 euro) il trattamento Inps, allora scatta una decurtazione del 40% dell’importo.

Quando invece il reddito è superiore ai 36.643,10 euro - quindi per stipendi mensili vicini a 2.000 euro netti - allora la decurtazione dell’importo originario dell’assegno di reversibilità spettante è del 50%. La pensione, quindi, viene decurtata della metà.

Ricapitolando: maggiore è il reddito e più elevata sarà la riduzione dell’importo della prestazione pensionistica riscossa dal superstite.

La sentenza n. 162/2022 della Corte Costituzionale

Va specificato che come da recente sentenza n. 162 del 30 giugno 2022 pronunciata dalla Corte Costituzionale, la decurtazione della pensione di reversibilità applicata in caso di cumulo con altro reddito non può essere più alta del reddito stesso. Su questo aspetto serve però un intervento normativo volto a introdurre un tetto alle decurtazioni della pensione di reversibilità a fronte di un reddito aggiuntivo, fino a concorrenza di tali redditi, del quale però al momento non se ne ha ancora notizia.

Pensione di reversibilità: non sempre l’importo si riduce

Tuttavia, la pensione di reversibilità non sempre si riduce: è prevista una deroga al meccanismo che ne dispone il taglio in caso di presenza di redditi da lavoro.

Nel dettaglio, la normativa stabilisce che quando oltre al coniuge superstite siano contitolari della prestazione coloro che appartengono al medesimo nucleo familiare (quali ad esempio figli minori o inabili maggiorenni), allora non scatta alcuna decurtazione della pensione la quale sarà erogata in misura piena nonostante la presenza di altri redditi.

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