Lavoratore in malattia: può il capo comunicare in ufficio il motivo dell’assenza?

Claudio Garau

12 Dicembre 2022 - 13:26

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Il dipendente in malattia, e che si assenta dal lavoro, ha diritto alla non divulgazione di dati ed informazioni circa il motivo della mancanza in ufficio? Ecco come stanno le cose.

Lavoratore in malattia: può il capo comunicare in ufficio il motivo dell’assenza?

Quella dei lavoratori in malattia è una problematica che non di rado riguarda i datori di lavoro, i quali - momentaneamente - perdono parte del contributo alla produttività dell’azienda. Le ragioni dei disturbi di salute possono ovviamente essere le più svariate e il lavoratore ha tutto il diritto di tutelare la propria salute, di vedersi attribuito comunque un trattamento economico anche in presenza di ore non lavorate e, al contempo, di conservare il proprio posto.

D’altronde la salute è un bene primario tutelato in Costituzione e, specialmente in quei contesti di lavoro in cui il personale non è di poche unità, ci si potrebbe domandare se il datore di lavoro abbia davvero la libertà di comunicare ai propri colleghi il motivo dell’assenza e, in particolare, la malattia. Può farlo senza essere incolpato di un qualche illecito? Si tratta di comportamento legittimo se il datore non rivela anche di quale malattia si tratti? A queste domande daremo risposta nel corso di questo articolo, in considerazione dell’evidente rilievo concreto di argomenti come questi. I dettagli.

Lavoratore in malattia, comportamento del datore di lavoro e tutela della privacy: il contesto di riferimento

Quanto abbiamo accennato poco sopra fa riferimento a situazioni di certo non così improbabili per un lavoratore che è stato assente per malattia. Pensiamo infatti al caso di chi, di ritorno al lavoro dopo un periodo di malattia, scopre che il datore di lavoro ha informato l’ufficio del motivo della propria assenza. Il dipendente sa di aver agito senza rendere noto alcunché circa lo stato della propria salute, semplicemente rispettando i vari step previsti per i casi di malattia del dipendente - tra cui la presentazione del certificato medico.

Ebbene, in queste circostanze, il lavoratore certamente non gradirà sapere che buona parte dei colleghi sono venuti a conoscenza del motivo dell’assenza, ovvero la malattia. E questo pur senza che il datore di lavoro abbia anche specificato il tipo di disturbo - il quale potrebbe essere una semplice influenza ma anche qualcosa di più grave.

Ebbene, sappi che se, un volta tornato sul posto di lavoro, noti una situazione di questo tipo, non devi aver alcun dubbio: il comportamento del capo che non conserva riserbo e discrezione sui motivi della tua assenza, lede la tua privacy e, seppur non in grado di procurarti un effettivo danno, potrebbe comunque costituire per te un comprensibile motivo di fastidio. Conseguentemente, ti potresti domandare come fare a tutelare i tuoi diritti di lavoratore, in relazione ad argomenti così delicati come la salute e la tutela di informazioni riservate.

Un punto molto importante di cui bisogna aver piena consapevolezza in situazioni di questo tipo, attiene al tipo di dati di cui stiamo parlando. Ebbene le condizioni di salute di una persona, ovviamente anche di un lavoratore dipendente, rappresentano dati sensibili - vale a dire i dati personali più privati che esistono. Insieme a questi includiamo anche quei dati che indicano invece l’origine etnica oppure quella razziale, le opinioni politiche. le convinzioni di ambito religioso, o i dati relativi alla vita sessuale o ancora quelli legati all’appartenenza sindacale.

Le condizioni di salute del lavoratore rappresentano dati sensibili

Essendo dati sensibili, si intuisce che non possono essere liberamente diffusi in un ambiente come quello di lavoro. Ma attenzione a questo punto: la mera diffusione di un dato sensibile non può dar luogo ad un reato, e perciò il lavoratore fatto oggetto di ’chiacchiere’ sul suo stato di salute non può denunciare il relativo colpevole, tuttavia può difendersi in altro modo. Come? Ebbene egli può chiedere - ed ottenere - un risarcimento danni legato appunto alla violazione della sfera della sua privacy, a condizione però di provare un danno effettivo e sostanziale - e non meramente legato alla diffusione della notizia in sé.

Tuttavia non dimentichiamo che ogni situazione ha un suo specifico rilievo. In particolare, di volta in volta sarà necessario capire se, nell’ambiente di lavoro in cui è circolata la notizia del motivo dell’assenza, può sussistere una qualche deroga alla tutela della privacy e dei dati relativi alla salute del lavoratore.

Infatti, talvolta il rispetto della riservatezza potrebbe scontrarsi con il dovere del datore di proteggere la salute di tutti i dipendenti – pensiamo ai casi di una malattia assai contagiosa e facilmente trasmissibile - oppure con le condizioni del contesto di lavoro, il quale può anche essere di ridottissime dimensioni - il caso tipico è ad es. quello della piccola bottega o del negozio - e in qualche modo assimilabile a quello familiare. E, come abbiamo accennato in precedenza, in situazioni come queste occorre altresì capire se il proprio capo compie un comportamento illecito nel comunicare meramente il fatto che dell’assenza per malattia, senza però dettagliare di quale malattia si tratti.

Dipendente in malattia e diffusione della notizia: Il supporto della giurisprudenza

Ebbene, a fare luce sugli argomenti appena accennati è stata la giurisprudenza, che più volte ha emanato delle sentenze su questi temi - a riprova di quanto siano diffuse situazioni di questo tipo. In particolare, la Corte di Cassazione considera illecita la comunicazione, da parte del datore di lavoro, dei dati personali e sensibili di un proprio lavoratore alle dipendenze, il quale non può andare a lavoro “per malattia”.

Si tratta d’altronde di un gesto che va contro le regole di tutela sul trattamento dei dati personali e che, pertanto, non può che rappresentare un comportamento contrario alla legge. In altre parole, secondo la Suprema Corte la comunicazione a terzi del motivo dell’assenza per malattia, è una violazione dei dati sensibili - e ciò anche quando la notizia non faccia riferimento a specifiche patologie.

Perciò il datore di lavoro non può divulgare liberamente queste informazioni, e questo al di là dell’effettivo numero di colleghi informati e delle dimensioni del luogo di lavoro (che potrà essere una grande azienda come una piccola attività).

Una importante eccezione alla tutela della privacy

Tuttavia, se questo è il principio generale a tutela del dipendente in malattia, i giudici hanno riconosciuto alcune eccezioni alla regola della tutela in tema di dati personali, sensibili e sanitari. Proprio la Suprema Corte in un recente provvedimento ha rimarcato che non viola la privacy del lavoratore la nota interna dell’ufficio - nel caso affrontato dalla Cassazione un ospedale - legata alla malattia del lavoratore, se la notizia del disturbo alla salute era già stata evidenziata dal dipendente stesso nell’ambiente di lavoro, prima della sua assenza.

Nel caso concreto affrontato dai giudici la nota era stata emanata proprio a tutela del prestatore di lavoro, come anche degli utenti del servizio. In altre parole, la doverosa tutela della salute del lavoratore sanitario, e conseguentemente anche degli utenti, ha sempre importanza primaria e ciò mette in secondo piano il tema della tutela della riservatezza del lavoratore malato.

Conclusioni

Alla luce di ciò che abbiamo visto finora, è vero comunque che il lavoratore subordinato potrà tutelarsi - se lo riterrà opportuno. Se pertanto ritieni che il datore di lavoro abbia leso il tuo diritto alla privacy e alla non divulgazione di dati sensibili e personali, potrai senza alcun dubbio fare ricorso al Garante per la protezione dei dati personali. Esiste infatti una particolare procedura grazie alla quale è possibile giungere al sanzionamento del datore di lavoro che si è lasciato sfuggire qualche informazione di troppo.

Ma non solo. Il lavoratore potrà al contempo citare il proprio capo, in un giudizio civile in tribunale, allo scopo di conseguire un risarcimento proporzionato all’entità dei danni patiti. Ma attenzione, perché detti danni andranno comunque provati nel dettaglio e non basterà evidenziare la mera diffusione dei dati per vedersi attribuito un risarcimento.

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