La guerra del gas: Putin attacca con un rincaro prezzi all’800%

Chiara Esposito

9 Luglio 2022 - 23:41

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La dipendenza energetica dell’Europa non può essere colmata a breve termine: gli errori politici del passato si pagano oggi con i rincari stellari del gas.

La guerra del gas: Putin attacca con un rincaro prezzi all’800%

Il costo dell’energia schizza alle stelle e con un balzo dell’800% Putin tiene ancora in scacco l’Occidente, profondamente diviso sul futuro dei suoi aggrovigliamenti e della sua nuova, possibile, rotta energetica, peraltro alla luce di un passato dai palesi contorni problematici.

Le avvisaglie e i lugubri prospetti erano infatti all’orizzonte già da tempo, ma solo lo scoppio della guerra in Ucraina è stato in grado di portare in superficie il tutto e risvegliare parzialmente le coscienze europee su un tema tanto caldo quanto portante.

Correre ai ripari, seppur in ordine sparso, in vista dell’inverno è la strategia che attualmente i Paesi dell’UE stanno adottando, ma con buona probabilità questa mobilitazione non sarà sufficiente e nel breve periodo non sarà possibile raggiungere il livello di diversificazione e indipendenza tanto reclamizzato negli ultimi mesi.

Alla luce dei prezzi esorbitanti della materia prima più volatile del momento ripercorriamo le falle nel fragile sistema di equilibri geopolitici per come li abbiamo conosciuti fino a oggi.

Non è la prima volta che l’Europa subisce

Rinunciare al gas russo in modo indolore è pressoché impossibile oggi, ancor più visto lo storico di occasioni mancate che l’Europa ha alle spalle. Putin aveva infatti lanciato molteplici segnali sulla sua politica distributiva aggressiva e sfrontata a partire dalla prima guerra del gas scatenata contro l’Ucraina a inizio 2006. All’epoca Mosca voleva punire Kiev per la rivoluzione arancione e, come pretesto per l’allontanamento dalla sfera di influenza russa, l’accusò di non aver rispettato i termini contrattuali per le forniture di metano. L’Ucraina per tre giorni resto immobilizzata e il contraccolpo, vista l’interdipendenza del sistema di gasdotti, fu avvertito anche in Europa.

Un altro episodio chiave in cui l’UE si sarebbe potuta accorgere del fenomeno e della criticità di rimanere tanto legata a Mosca si manifestò nell’agosto del 2008 ovvero quando Putin decise di invadere la regione dell’Ossezia del sud, in Georgia. Poco dopo infatti Gazprom mise in atto la più pesante sospensione delle forniture di gas all’Ucraina causando un blocco del comparto industriale e affossando i ritmi di transito della materia prima per ben 18 Paesi europei.

Arrivò poi il 2014 con ben due campanelli d’allarme: l’invasione russa della Crimea e la guerra in Donbass, i veri prodromi del conflitto attuale che, in maniera inevitabile, era ed è il male più grande rispetto al sistema politico e al piano economico.

Un’Unione poco coesa: strategie deboli sul gas

Se il passato ormai è consolidato e non possiamo riscrivere la storia, l’Unione potrebbe almeno adottare una politica energetica meno disuguale e disomogenea. Le promesse e l’ideale di autonomia rilanciato in questi mesi da Bruxelles sta infatti naufragando lentamente visto che ogni Stato, guardando ai propri personali interessi, è andato per la sua strada. I Paesi che hanno realizzato nuovi gasdotti non intendono perdere l’investimento e altri stanno invece correndo ai ripari gettandosi sui mercati spot e costruendo rigassificatori.

Questo andamento poco compatto di fatto non garantisce solidità nella risposta al ricatto di Putin che continua a porre l’UE in scatto visto che giovedì il prezzo sul mercato nostrano ha superato i 180 euro per megawattora mentre lo scorso agosto e a inizio 2021 i prezzi erano rispettivamente di 30 euro e meno di 20 euro. Il tasso di dipendenza prima del 24 febbraio era del 90% con 155 miliardi di metri cubi di importazioni - oggi dobbiamo dire che non ci sono stati sostanziali cambiamenti.

Le prospettive di recessione diventano quindi concrete perché altrettanto lo sono rischi per il prossimo inverno. L’Europa ha sottovalutato la sua dipendenza energetica e ora ne paga le conseguenze: si delinea così un futuro quantomai incerto. Il vero fulcro del dibattito, dopo uno shock petrolifero alle spalle, è questo; è davvero possibile riadattarsi e rispondere a una simile situazione senza seguire una linea comune?

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