In pensione sempre più tardi: così aumenterà l’età pensionabile nei prossimi anni

Simone Micocci

23/05/2019

02/12/2022 - 11:00

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Allarme pensione: chi ha iniziato a lavorare oggi rischia di andarci dopo i 70 anni. Il motivo? Adeguamento con le aspettative di vita e calcolo contributivo della pensione.

In pensione sempre più tardi: così aumenterà l’età pensionabile nei prossimi anni

Oggi per andare in pensione bisogna aver compiuto 67 anni di età, oltre ad aver maturato almeno 20 anni di contributi; ci sono poi misure che consentono di andare in pensione anche prima dei 67 anni - come ad esempio Quota 100 - ma solo quando il cittadino “dimostra” di aver lavorato per molti anni.

A molti l’età pensionabile in Italia sembra troppo alta tant’è che da anni si chiede uno smantellamento della Legge Fornero iniziato con l’ultima riforma delle pensioni ma non ancora completato. Dovete sapere però che a coloro che hanno appena iniziato a lavorare andrà molto peggio: complice l’adeguamento con le aspettative di vita, ma anche il passaggio totale al calcolo della pensione con il sistema contributivo (di seguito vi spiegheremo perché), l’età pensionabile si alzerà progressivamente nei prossimi anni, fino a superare i 70 anni di età.

In futuro quindi andremo in pensione molto più tardi. C’è comunque una bella notizia: questo avverrà perché vivremo per più anni rispetto ad oggi. Molti studi infatti ci dicono che le speranze di vita tenderanno ad aumentare nei prossimi anni e l’incremento sarà più o meno costante nel tempo.

Allo stesso tempo però questo significa che bisognerà lavorare per più anni, visto che in base a quanto stabilito dalle riforme delle pensioni approvate negli anni scorsi, l’età pensionabile sarà costantemente adeguata alle aspettative di vita.

Come noto, è la legge 122/2010 (riforma Sacconi) a stabilire che per sterilizzare gli effetti dell’allungamento della vita media della popolazione è necessario adeguare le suddette aspettative ai requisiti per la pensione. L’anno dopo la Legge Fornero ha aggiunto che l’adeguamento debba essere effettuato non con cadenza triennale (come deciso da Sacconi), bensì biennale.

Gli effetti di questa decisione li abbiamo toccati con mano dal 1° gennaio 2019, data in cui l’età anagrafica per la pensione (ove richiesta) è stata aumentata di 5 mesi; non c’è stato alcun adeguamento per la pensione anticipata (così come per quella riservata ai precoci), visto che il decreto 4/2019 ne ha bloccato l’adeguamento, tuttavia ne è stata introdotta una finestra mobile di tre mesi che ne ritarda comunque la decorrenza della pensione.

Qualora il Governo non dovesse bloccare l’adeguamento con le aspettative di vita bloccandolo definitivamente (ipotesi alquanto remota al momento) ce ne sarà un altro nel breve termine. Non faremo quindi neppure in tempo a metabolizzare questo cambiamento che subito l’età per la pensione verrà nuovamente incrementata: tra soli due anni, infatti, l’Istat potrebbe rilevare un nuovo innalzamento delle aspettative di vita e di conseguenza l’età pensionabile aumenterà ancora.

Le previsioni dell’Istat

Oggi in Italia la durata media della vita lavorativa è pari a 31,3 anni. Infatti, nonostante l’Italia abbia l’età di accesso alla pensione più alta d’Europa dispone anche di strumenti che permettono di anticipare l’uscita dal lavoro; per questo motivo l’età media effettiva in cui gli italiani vanno in pensione è pari a 62 anni.

Tuttavia, un giovane chi inizia a lavorare oggi dovrà farlo per molti più anni, specialmente se il meccanismo dell’adeguamento con le aspettative di vita rimarrà inalterato e se le previsioni dell’Istat si riveleranno corrette.

Nel dettaglio, l’Istituto di Statistica ha previsto che - complici i progressi nell’ambito della medicina e farmaceutico - le aspettative di vita ogni biennio aumenteranno dai due ai tre mesi.

Questo farà sì che ogni biennio i requisiti per la pensione aumentino progressivamente, andando a ritardare sempre più la data per il collocamento in quiescenza dei lavoratori, a discapito specialmente dei più giovani che oltre a rischiare di prendere una pensione molto bassa (a causa del passaggio totale al calcolo contributivo dell’assegno previdenziale) potrebbero superare la soglia dei 70 anni per dover smettere di lavorare.

In pensione dopo i 70 anni

Quindi se le previsioni dell’Istat si riveleranno corrette, in futuro si vivrà per più anni, ma questi dovranno essere spesi lavorando. Prendiamo come esempio un giovane nato nel 1998, che in questi mesi ha compiuto 20 anni e quindi si trova nell’età lavorativa.

Questo per andare in pensione dovrebbe attendere fino ai 71 anni e 3 mesi (come dimostra la nostra infografica dove sono indicati tutti i prossimi adeguamenti con le aspettative di vita) e quindi dovrà aspettare il 2069 per smettere di lavorare.

Ma attenzione, perché neppure il compimento dei 71 anni e 3 mesi potrebbe bastare per andare in pensione. Questa, infatti, è l’età per la pensione di vecchiaia ordinaria, alla quale possono accedere coloro che hanno contributi versati antecedenti alla data del 1° gennaio 1996 (giorno in cui è entrato in vigore il metodo contributivo per il calcolo dell’assegno).

Vi possono accedere anche coloro che hanno cominciato a lavorare dopo questa data, ma solo se l’importo della pensione è superiore di 1,5 volte a quello dell’assegno sociale (oggi pari a 453€). Il problema è che viste le difficoltà nel trovare un lavoro stabile unite al fatto che il sistema contributivo è economicamente penalizzante per il lavoratore, non è da escludere che la pensione sia inferiore al suddetto importo. In tal caso il lavoratore potrebbe ricorrere alla pensione di vecchiaia contributiva, per la quale però l’età richiesta è molto più alta: 70 anni e 7 mesi nel 2018, 71 anni nel 2019 e circa 75 anni e 3 mesi nel 2069.

Chi inizia a lavorare oggi quindi rischia concretamente di andare in pensione ad un’età superiore ai 70 anni, lavorando per quasi 50 anni. Bisogna ricordare, infatti, che anche il requisito contributivo per la pensione anticipata verrà incrementato negli anni e di conseguenza in futuro non saranno più sufficienti 43 anni (e 3 mesi) di lavoro per smettere di lavorare prima del previsto.

Naturalmente quanto appena detto vale in caso di normativa invariata: da qui ai prossimi 50 anni, infatti, potrebbero essere approvate delle nuove riforme del sistema previdenziale italiano che modificheranno quanto stabilito dalla riforma Sacconi e dalla Legge Fornero, rivedendo il meccanismo delle aspettative di vita in modo da non penalizzare troppo i giovani d’oggi.

Lo stesso Governo in carica ha promesso che metterà mano a questo sistema, anche se difficilmente nel breve periodo si troveranno le risorse per farlo.

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