Come portare i dati delle aziende italiane in cloud, il modello Oracle

Dario Colombo

2 Aprile 2022 - 19:38

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Data in motion è il nuovo mantra e si adatta bene al Pnrr. Trend e testimonianze dall’Oracle Technology Summit di Milano.

Come portare i dati delle aziende italiane in cloud, il modello Oracle

Non c’è mai stato così bisogno di informazione sulla tecnologia come oggi, con il Pnrr e la digitalizzazione. Le aziende tecnologiche hanno una grande chance: stanno arrivando fondi, investimenti per portare valore e innovazione.
Le parole, come ammoniva Nanni Moretti in Palombella Rossa, sono importanti, e quelle che avete letto sono di Alessandro Ippolito, country manager di Oracle Italia, dette in occasione dell’Oracle Technology Summit, tenutosi questa settimana a Milano e a cui Money.it ha partecipato.

Da che è iniziata la pandemia, per Oracle si è trattato della prima uscita pubblica, fisica, “in presenza”, termine dalle connotazioni scolastiche ormai entrato nella vulgata, che nel mondo anglofono viene reso con “in person”. Di persona ci si mette il fisico, la faccia, il valore, la propria cifra. Si assiste sì, ma si contribuisce. Si cresce insieme. E allora, che valore sia.

Alessandro Ippolito Oracle Alessandro Ippolito Oracle

Dal database al data center

Il valore che Oracle porta alle aziende italiane affonda le proprie radici in un oggetto tecnologico che il 99% di voi lettori conosce, anche per sentito dire: il database.
Anche se oggi, giustamente, vuole essere associata a ciò che fa e farà, e non a ciò che con merito ha fatto, osiamo dire che Oracle sta al database aziendale come la Treccani al sapere enciclopedico, i Rolling Stones alla musica rock, la Nutella alle creme spalmabili.
Lo ha spiegato bene ai presenti al summit Michele Porcu, che nominalmente è Vice president Business Value Services e Strategy Emea, di fatto è colui che incarna il verbo tecnologico di Oracle a livello europeo.

La tecnologia che Oracle propone alle aziende, ha spiegato, è fatta da infrastrutture, piattaforme e database.
E per dare testimonianza di un continuo processo evolutivo, Porcu non ha faticato ad ammettere che nel mercato delle infrastrutture cloud per le aziende Oracle può considerarsi un nuovo entrato e senza stucchevoli understatement.
Per capire i connotati di questo mercato, infatti, serve partire dalla considerazione che sinora le aziende hanno usato il cloud per i workload periferici, laterali. Per i lavori meno importanti, insomma. Quelli centrali, fondamentali, critici (non a caso vengono definiti “mission critical”) sono invece rimasti chiusi a chiave dentro le aziende, nei centri dati, nei server, nei computer aziendali privati.

Perché sinora i lavori critici sono rimasti dentro le aziende?
Lo ha spiegato Porcu. Per portare i carichi di lavoro sulle infrastrutture cloud il loro fornitore impone una standardizzazione, una normalizzazione dei dati, dei processi, delle applicazioni. Non lo fa con intenzioni vessatorie, lo fa perché altrimenti sarebbe impossibile. Ma spesso le aziende hanno esigenze che le impongono di tenere i dati vicino a sé, anziché metterli nel cloud, e possono avere motivazioni prestazionali (si dice di latenza nella lavorazione dei dati) o giuridiche (si dice di (sovranità del dato).
Come se ne esce? Con le persone giuste che costruiscono un cloud di seconda generazione.

Michele Porcu Oracle Michele Porcu Oracle

Il cloud di seconda generazione

Ha raccontato Porcu che “dal 2014 al 2015 abbiamo saccheggiato talenti dai nostri competitor, li abbiamo messi a Seattle, lontani dalla nostra casa madre di S.Francisco” dandogli la libertà creativa per “sviluppare un cloud di seconda generazione”. 
Si tratta di un macro-sistema in grado di muoversi su tre direttrici: togliere tutti i colli di bottiglia, ossia ridurre la latenza nella gestione dei dati, creare uno stato di diritto per sicurezza (si usa dire sicurezza by design) ed essere capaci di creare in sei mesi, da zero, una cloud region, ossia un sistema cloud completo e autosufficiente.
Di cloud region pubbliche al momento Oracle ne ha 37 nel mondo, di cui una a Milano, inaugurata lo scorso dicembre, e 8 sono già pianificate.

Quindi, per portare un data center esistente in cloud cosa si deve fare? Lo spiega sempre Porcu, entrando un po’ sul tecnico, ma non potrebbe essere altrimenti: “standardizzare, usando le proprie tecnologie. Il nostro PaaS è standard, ma non è proprietario, il che significa che si possono portare applicazioni e infrastrutture dentro e fuori il cloud Oracle. Senza rischi, con costi prevedibili. E se non si può andare in public cloud per problemi di latenza o governance, si possono costruire pezzi di cloud o una region dedicata dentro il data center”.

A proposito di database

Alla base di tutto vale la considerazione che il cloud di Oracle non nasce per gestire il database di Oracle, ma qualsiasi database, legacy e applicazioni moderne.
Vanno infatti diversamente le cose nel mercato dei dati, dove la tradizione, il genoma non creano spazi per fraintendimenti o ambiguità: Oracle è il database.
Come ha spiegato Porcu, quello di Oracle non è più un database solamente relazionale, è anche convergente, multimodello, coerente e concorrente per le ricerche in real time, e interpreta la gestione del dato in modo moderno. Da qualche anno, infatti, è autonomo, ossia si autogoverna e autoregola per gestire i fabbisogni digitali.

I dati sono in movimento

Maria Costanzo, south Emea Regional Leader Technology Software Oracle. invita a ragionare in termini di dati in movimento.
Ogni azienda ha due anime: quella del business corrente - gli americani dicono «as is», quel che é -, dove gira buona parte del business, e una nuova, dove confluiscono le applicazioni innovative - e sempre gli americani dicono «to be», quel che sarà -. Sono destinate a integrarsi, cioè il data center aziendale deve diventare cloud”.
I dati devono essere generati, portati e capiti in tempo reale nel posto in cui servono. Ecco perché si deve parlare di data in motion.

Cosa stanno facendo le aziende italiane


Fra i testimonial di questo trend intercettati all’Oracle Technology Summit c’è Pietro Pacini, direttore generale di Csi Piemonte, che ha sviluppato un cloud che si inserisce nel modello del Pnrr. “Abbiamo 130 soci, fra comuni ed enti e il processo di migrazione al cloud lo stiamo attuando. Il tema che si pone forte è essere capaci di progettare questa transizione: diffondere la cultura della migrazione in cloud negli enti locali. Nei piccoli comuni non ci sono capacità tecnologiche in grado di progettare una migrazione in cloud. I voucher per i comuni usciranno a maggio-giugno, ma la capacità di decidere come farlo sarà fondamentale".

Come stanno i ponti italiani?

Mauro Giancaspro, direttore Ict di Anas ha chiarito che la società ha avuto accesso ai fondi per eseguire il monitoraggio dinamico di quelle che si chiamano opere d’arte, ossia ponti e gallerie.
Un lavoro non da poco se consideriamo che sul nostro territorio abbiamo il 50% di tutte le gallerie europee).
Per fare questo monitoraggio è stata costruita una digital business platform per un’analisi delle infrastrutture in tempo reale.
Anas è partita con un esperimento su 40 ponti. È stata creata un’architettura logica per il controllo dello stato di salute del ponte che effettua un monitoraggio continuo delle vibrazioni e del rumore del ponte, con controllo delle deformazioni nel tempo.
Il cloud, ha spiegato Giancaspro, dà una grossa mano alla sensoristica, scalando la capacità computazionale con gli algoritmi di machine learning.
La fase di sperimentazione avanzata si concluderà a fine anno. Dopodiché con i bandi legati al Pnrr, il sistema sarà applicato a tutti i ponti e gallerie italiane.

Cerved: dato, valore, informazione

Flavio Mauri, chief technology officer di Cerved ha ricordato che la difficoltà oggi non è tanto avere il dato, ma costruirci sopra quel valore che fa raggiungere l’informazione utile per l’impresa. 
In questo intelligenza artificiale e machine learning sono strumenti fondamentali.
Oggi siamo tutti travolti da un’informazione ridondante, la difficoltà è capire quella che vale. Cerved è passata da essere società che acquistava bilanci a una che distilla dati di sintesi. Sui miei report aziendali guardo la prima pagina: lì ho distillato tutto quello che mi serve per fare un’analisi. Noi continuiamo a vendere rapporti ma il valore aggiunto è il dinamismo; vendiamo un monitoraggio continuo che consente di capire quali dati sono importanti per le decisioni. Dobbiamo arrivare ad avere meno dati ma più informazioni di altissima qualità”. E questo lo si fa migrando sul cloud.

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