Crisi energetica europea: chi perde e chi ci guadagna

Claudia Cervi

6 Settembre 2022 - 11:55

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La crisi energetica colpisce l’Europa, la prima regione al mondo a industrializzarsi e la prima ad esaurire la maggior parte delle risorse fossi sul territorio. La soluzione europea? Il Green Deal.

Crisi energetica europea: chi perde e chi ci guadagna

La crisi energetica europea ha messo a nudo la dipendenza esterna dai combustibili fossili dell’Europa. «Una dipendenza maggiore rispetto alla grande maggioranza delle altre regioni del mondo perché siamo stati i primi a industrializzarci e abbiamo quindi esaurito la maggior parte delle risorse fossili sul nostro territorio», come ha sottolineato Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione europea della politica estera Ue. In attesa che il Green Deal prenda forma dobbiamo però fare i contri con una crisi senza precedenti in cui molti Paesi (europei) perdono e altri di guadagnano.

Dalla dipendenza all’indipendenza energetica: un passaggio non indolore

Non stupiscono dunque i dati di Eurostat, che riportano un indice di dipendenza esterna dell’UE-27 riferito al 2019 del 70% per il carbon fossile, del 90 % per il gas naturale e del 97 % per il petrolio greggio, con una tendenza a crescere di anno in anno. Nello stesso anno, sempre secondo Eurostat, «abbiamo importato combustibili fossili per un valore di 363 miliardi di euro, pari al 2,6% del PIL europeo».

Gli sforzi dell’Ue degli ultimi mesi hanno portato alla presentazione del Piano REPoweEu, con l’obiettivo di affrancare l’Unione dalla dipendenza delle risorse fossili importate - prevalentemente - dalla Russia.

L’idea di base del piano è quello di diversificare l’approvvigionamento energetico, puntare sul risparmio energetico e su una più rapida diffusione delle energie rinnovabili. In altre parole, si cerca di accelerare la transizione energetica.

Per perseguire questo scopo la Commissione Europea ha annunciato investimenti per quasi 300 miliardi di euro: circa 72 miliardi di sovvenzioni e 225 miliardi di euro di prestiti. Von der Leyen guarda al futuro con un incremento degli obiettivi energetici da qui al 2030: «più efficienza energetica, più capacità di produzione da fonti rinnovabili, fondi per la ricerca e per progetti sull’idrogeno». Tutti buoni propositi, ma non dimentichiamo che siamo nel 2022.

Per l’Italia, la proposta del think tank Ecco è di ridurre la dipendenza dal gas sostituendo 7,5 miliardi di metri cubi di gas entro il 2025, pari a un quarto delle importazioni dalla Russia, con 10 GW di capacità elettrica rinnovabile annua. Secondo il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani “in 24-30 mesi saremo indipendenti dal gas della Russia”. Sono due o tre anni.

Come arriva il gas in Europa?

Il gas russo arriva in Europa attraverso tre gasdotti: Nord Stream, Yamal e Urengoy-Pomary-Uzhgorod. Quest’ultimo passa dall’Ucraina e dall’Austria e arriva in Italia da Tarvisio.

Flussi di gas dalla Russia all'Europa 2020 Flussi di gas dalla Russia all’Europa 2020 Fonte NYTimes

Ma il gas arriva in Europa anche da altri esportatori come l’Algeria, l’Azerbaijan (tramite il gasdotto Tap), la Libia e il nord Europa (Norvegia e Olanda). Proprio la Norvegia quest’anno registrerà esportazioni record di gas, diventando il principale fornitore in Europa. A ottobre entrerà in funzione il nuovo gasdotto che collega la Norvegia alla Polonia chiamato Baltic Pipe portando la produzione complessiva di gas a 122 miliardi di metri cubi.

Possiamo poi contare sul gas naturale liquido (GNL) che arriva tramite navi cisterne dal Qatar e dagli Stati Uniti, ma che poi necessita di essere trasformato (rigassificato). Secondo la società di consulenza energetica Wood Mackenzie, il GNL risponderà a circa il 40% della domanda europea entro il 2023, facendo scendere al 15% la quota di mercato proveniente dalla Russia e al 9% entro il 2024.

In Europa gli impianti rigassificatori sono una ventina e sono troppo pochi per sopperire al fabbisogno di tutta l’area.
Secondo gli analisti, l’investimento globale nelle infrastrutture di GNL raggiungerà i 42 miliardi di dollari nei prossimi due anni.

Crisi energetica europea: chi perde

Le prime vittime della crisi energetica sono state a fine aprile 2022 Polonia e Bulgaria. Dopo l’interruzione del flusso di gas da Gazprom, la Polonia è riuscita a diversificare la fornitura con il ritorno al carbone e all’utilizzo dei terminali per la rigassificazione di GNL proveniente da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Israele. Anche la Bulgaria, dipendente per il 90% dal gas russo, ha ripiegato sul GNL.
Discorso diverso invece per la Finlandia, dipendente dal gas russo solo per il 5% del proprio consumo energetico annuale.
Le tre economie ad essere più colpite dalle ritorsioni russe sono Germania, Italia e Francia.

E la Russia? Le sanzioni applicate dall’Europa in risposta all’invasione ingiustificata dell’Ucraina stanno veramente piegando l’economia russa? Nel 2022 il Pil scenderà del 2,9%, fa sapere Mosca. Secondo Bloomberg, che ha visionato un rapporto interno del Cremlino, il reale impatto delle sanzioni e dell’isolamento economico sarà maggiore: l’economia russa scenderà dell’8,3% nel 2023 rispetto al 2021 e dell’11,9% nel 2024.

L’economista russo Alexander Isakov teme che «con un accesso ridotto alle tecnologie occidentali, la crescita potenziale del Paese è destinata a ridursi dello 0,5% o 1% nel prossimo decennio». Aggiungendo poi che «La Russia sarà anche sempre più vulnerabile a un calo dei prezzi delle materie prime globali, poiché le riserve internazionali non forniranno più un cuscinetto».
Ricordiamo però che prima dell’attacco in Ucraina, la Russia ha firmato un accordo per la costruzione di un gasdotto lungo 3mila chilometri in grado di portare in Cina fino a 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno. La «Forza della Siberia» fornirà petrolio e gas alla Cina per un valore stimato di 117,5 miliardi di dollari. In altre parole, la Cina sostituirà l’Europa nei rapporti contrattuali con Mosca.

Crisi energetica europea: chi ci guadagna

Chiarito che l’Europa dovrà sostituire circa il 40% del gas naturale importato dalla Russia con fonti alternative, per i Paesi che esportano gas naturale o GNL è sicuramente un’ottima opportunità di guadagno.

Nei primi quattro mesi del 2022, gli Stati Uniti hanno esportato il 74% del proprio GNL in Europa, a fronte di volumi esportati pari al 34% nel 2021, come riporta l’ente governativo sull’energia statunitense, Energy information administration (Eia).

Conti positivi anche per la Norvegia, che quest’anno ha superato la Russia per le esportazioni di gas naturale in Europa. Secondo l’istituto nazionale di statistica norvegese Ssb, le esportazioni di gas hanno raggiunto la cifra record di 12,8 miliardi di euro nel 2022, quattro volte tanto rispetto al 2021. Il surplus commerciale registrato a luglio è stato il più alto di sempre, pari a 15,6 miliardi di euro.

Attenzione alla Cina, non in qualità di produttore di gnl ma di compratore. Secondo il Financial Times, nel primo semestre del 2022 Pechino ha rivenduto il gas in eccesso all’Europa, contribuendo per il 7% ai flussi importati.

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