Cosa deve fare chi riceve una lettera di richiamo dal datore di lavoro

Claudio Garau

20/05/2022

20/05/2022 - 12:54

condividi

La lettera di richiamo è la comunicazione scritta che l’azienda fa pervenire al lavoratore a cui contesta la violazione degli obblighi di cui al codice disciplinare. Ma il lavoratore può difendersi.

Cosa deve fare chi riceve una lettera di richiamo dal datore di lavoro

Ogni contratto e rapporto di lavoro prevede una ampia varietà di diritti e doveri, sia per il dipendente che per il datore di lavoro. Ogni lavoratore subordinato è infatti tenuto al rispetto delle direttive aziendali e all’osservanza delle norme di legge, del Ccnl di riferimento e del codice disciplinare.

Ecco perché, in caso di (asserita) violazione degli obblighi previsti da parte del dipendente, l’azienda può tutelarsi e adottare provvedimenti disciplinari. Non prima però di aver emesso la cd. lettera di richiamo, detta anche lettera di contestazione. Essa di fatto consiste in una comunicazione che il datore di lavoro effettua nei confronti del lavoratore, a seguito di un comportamento di quest’ultimo ritenuto non conforme ai doveri aziendali.

Vero è però che il dipendente può a sua volta difendersi e rispondere: perciò cosa deve fare chi riceve una lettera di richiamo dal datore di lavoro? Vediamolo di seguito.

La lettera di richiamo e il potere disciplinare del datore di lavoro: il contesto di riferimento

Prima di capire cosa fare e come comportarsi in caso di emissione di una lettera di richiamo, appare doveroso qualche cenno in materia di potere disciplinare e tutele a favore del datore di lavoro. Ebbene in virtù delle norme di cui al Codice Civile (art. 2106), laddove il dipendente violi il dovere di diligenza, il dovere di obbedienza o l’obbligo di fedeltà, l’azienda può decidere di irrogare nei suoi confronti delle sanzioni disciplinari. Si tratta di fatto del cd. potere disciplinare, che si sostanzia appunto nella possibilità di punire il dipendente, al fine di assicurare il buon funzionamento dell’organizzazione dei fattori produttivi e il regolare svolgimento dell’attività aziendale.

Notiamo che l’esercizio del potere disciplinare, in ragione del suo preciso scopo e della sua natura, è da intendersi facoltativo in via tendenziale. Infatti è l’azienda che, discrezionalmente innanzi a un comportamento contestato del proprio dipendente, sceglie se sanzionarlo oppure no.

In linea generale a quanto appena detto fanno tuttavia eccezione gli specifici casi nei quali l’inadempimento del dipendente si manifesta in una violazione dei doveri di sicurezza in ufficio o in un illecito ai danni degli altri dipendenti. In dette circostanze, appare infatti evidente che gli interessi (lesi) che rilevano non sono soltanto quelli del datore di lavoro. Quest’ultimo dovrà dunque emettere la sanzione disciplinare - se non vuole che la sua responsabilità di fatto si sommi a quella del dipendente da punire.

Potere disciplinare e limiti all’esercizio

Per completezza e in rapporto a ciò che tra poco diremo in merito alla lettera di richiamo e alla risposta del lavoratore, rileviamo altresì che il potere disciplinare non è in ogni caso del tutto libero, ma deve rispettare limiti sia di natura sostanziale che di natura procedurale. I primi si riferiscono a quanto stabilito dall’art. 2106, per cui le sanzioni disciplinari debbono essere sempre proporzionate alla gravità dell’infrazione commessa.

I limiti procedurali invece trovano fondamento nello Statuto dei Lavoratori (art. 7): ci riferiamo alla creazione del codice disciplinare aziendale e al divieto per il datore di lavoro di adottare qualsiasi provvedimento disciplinare contro il lavoratore, senza avergli prima contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

Proprio in rapporto agli aspetti di tutela del lavoratore, a colui il quale sia stata contestata un’infrazione rispetto agli obblighi contrattuali, la legge permette l’assistenza innanzi all’azienda da parte di un rappresentante dell’associazione sindacale di riferimento.

Non solo. Nello Statuto dei Lavoratori è previsto che i provvedimenti disciplinari più gravi del mero rimprovero verbale possono essere emessi soltanto dopo che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione per iscritto del fatto e del comportamento illegittimo del lavoratore.

In base alla gravità della condotta le sanzioni disciplinari sono le seguenti: rimprovero verbale; ammonizione scritta; multa; sospensione; trasferimento; licenziamento. Tranne il caso del rimprovero verbale, tutte le altre misure debbono rispettare specifici requisiti formali e di procedura. Ciò al fine di permettere al lavoratore di difendersi, impedendo possibilmente l’adozione della sanzione disciplinare stessa. E proprio in questi casi che occorre domandarsi cosa deve fare chi riceve una lettera di richiamo dal datore di lavoro.

Lettera di richiamo: finalità e struttura in sintesi

La lettera di richiamo consiste in una contestazione in forma scritta che il datore di lavoro decide di inviare ad un dipendente, in ipotesi di violazioni del codice disciplinare aziendale ed in generale di uno o più obblighi contrattuali. Con essa l’azienda vuole avvertire il lavoratore del fatto che la sua condotta è stata inadeguata rispetto a quanto pattuito al momento dell’assunzione, ma il concetto che sottende è pur sempre la riconciliazione, ossia la volontà da parte del datore di lavoro di salvaguardare il rapporto di fiducia con il lavoratore. In particolare, la lettera di richiamo deve essere tempestiva rispetto alla data di conoscenza del fatto contestato da parte dell’azienda e deve essere dettagliata e specifica - in modo che non vi siano dubbi su quale sia il comportamento criticato e in maniera da permettere al dipendente di tutelarsi appieno.

Infatti:

  • nella prima parte della comunicazione in questione è riportata la formula “con la presente si comunica l’apertura della procedura di contestazione disciplinare ai sensi dell’articolo 7 legge n. 300/70, del Ccnl applicato e del codice disciplinare”;
  • nella seconda parte l’azienda deve indicare il fatto contestato al lavoratore, in maniera circostanziata;
  • nella parte finale è contenuto l’invito a rendere note le argomentazioni a difesa in qualsiasi forma ed entro il termine di 5 giorni.

Nessun dubbio a riguardo: con l’emissione della lettera di richiamo, il datore di lavoro potrà evidenziare al lavoratore che il suo comportamento ha costituito una violazione del codice disciplinare e - al contempo - permetterà al dipendente di dare le giustificazioni del caso. Soltanto rispettando questi passaggi, l’azienda potrà eventualmente adottare poi un provvedimento disciplinare, scegliendo tra quelli sopra menzionati.

Lettera di richiamo: la risposta del lavoratore e le scelte aziendali

In particolare, entro 5 giorni dalla consegna della lettera in oggetto il lavoratore potrà difendersi presentando le proprie giustificazioni, scritte o orali. A tal fine, egli potrà servirsi anche dell’assistenza di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. In alternativa potrà decidere di scusarsi per l’accaduto. A tutela del lavoratore, i vari Ccnl possono comunque prevedere un termine più ampio dei 5 giorni suddetti.

A seguito della risposta del lavoratore, il datore può decidere di accogliere le sue motivazioni - e di scusarsi se capisce di aver commesso un errore o uno sbaglio nel contestare il comportamento. Altrimenti l’azienda potrà optare per uno dei provvedimenti disciplinari.

Infine attenzione al seguente aspetto: il lavoratore non è obbligato ad attivarsi in propria difesa. Infatti laddove il dipendente scelga di non rispondere alla lettera e, dunque, di non dare giustificazione o spiegazione del proprio comportamento, l’azienda non è tenuta a sentire le sue difese. Dopo 5 giorni dalla contestazione, può dunque scattare (o meno) la sanzione disciplinare.

Iscriviti a Money.it