Contributi non versati dal datore di lavoro: come scoprirlo, cosa fare e come difendersi

Claudio Garau

9 Maggio 2022 - 12:24

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Nella prassi dei rapporti di lavoro, il caso del mancato pagamento dei contributi da parte del datore lavoro è tutt’altro che raro. Ma il dipendente può tutelarsi in modo efficace. Ecco come.

Contributi non versati dal datore di lavoro: come scoprirlo, cosa fare e come difendersi

La realtà pratica dei rapporti di lavoro ci mostra che non sempre gli obblighi di natura contributiva sono rispettati. Come è ben noto i contributi non soltanto sono previsti dalla legge, ma soprattutto consentono di accedere alla pensione - ricorrendone altresì tutti gli altri requisiti. In linea generale, i cd. contributi obbligatori debbono essere versati da tutti i soggetti che producono un reddito da lavoro e su quest’ultimo calcolati in percentuali diverse, in relazione alla gestione previdenziale di appartenenza.

La contribuzione rappresenta peraltro la forma di finanziamento con cui si alimenta il sistema previdenziale. Inoltre è per il lavoratore il prelievo percentuale che permette al proprio ente di provvedere al versamento della prestazione pensionistica.

Adempiere all’obbligo di versare i contributi significa dunque versare somme di denaro per espressa finalità previdenziale. Sono i datori di lavoro i soggetti tenuti al rispetto del citato obbligo in caso di lavoro dipendente, mentre i lavoratori autonomi si occupano in prima persona di pagare i propri contributi ogni anno a fini pensionistici.

Come accennato, non è così rara la situazione in cui l’azienda per la quale si lavora non rispetta l’obbligo di versamento dei contributi Inps, a favore dei propri lavoratori dipendenti. Chiaro che in dette circostanze, il datore di lavoro è sanzionabile in base alle norme vigenti.

Di seguito intendiamo affrontare proprio il caso dei contributi lavoro dipendente non versati da parte del datore di lavoro: come scoprirlo? Come comportarsi a tutela dei propri diritti di lavoratore? Vediamolo nel corso di questo articolo.

Contributi non versati nel lavoro subordinato: i rischi per il datore di lavoro

Lo ribadiamo: per quanto attiene al lavoro subordinato è l’azienda o datore di lavoro il soggetto che deve costantemente versare i contributi Inps, necessari per accedere alla pensione e di fatto per determinarne la misura. Nessun dubbio a riguardo: il datore che si avvale della prestazione professionale del suo dipendente, è tenuto a ricompensare quest’ultimo, a pagare le tasse ed anche a versare periodicamente i contributi cumulati ogni mese - in considerazione del rapporto di lavoro in essere.

Peraltro i contributi obbligatori in totale incidono per il 33% della retribuzione del lavoratore subordinato, sulla scorta di tutti i giorni lavorativi svolti. La percentuale appena citata (aliquota contributiva) è da intendersi come la somma del 9,19% a carico del lavoratore e del 23,81% a carico del datore di lavoro. Il datore di lavoro di fatto agisce come sostituto previdenziale, versando i contributi in luogo del dipendente.

Il punto è proprio questo: che cosa succede al datore di lavoro che non adempie all’obbligo in oggetto? Ebbene nei confronti dell’azienda potranno essere applicate sanzioni specifiche, per ciascun dipendente per cui è mancato il versamento. In altre parole, in tutte le circostanze pratiche nelle quali l’obbligo contributivo è violato, l’azienda si trova in un caso di omissione o evasione contributiva. Perciò il datore di lavoro che omette di versare (in tutto o in parte) i contributi previdenziali, incorre in possibili sanzioni civili, penali e amministrative. Tuttavia - come ora vedremo - la legge consente al lavoratore di porre rimedio alla situazione di svantaggio, creatasi a causa del mancato pagamento del dovuto.

Contributi non versati: come può tutelarsi il lavoratore dipendente?

Chiaramente il lavoratore può controllare se la situazione è regolare sul piano contributivo, tramite la verifica della posizione contributiva con il sito web dell’Inps. Per accedere al servizio occorre il possesso delle credenziali SPID - o della carta nazionale dei servizi (CNS) - al fine di visualizzare il cd. ’Estratto conto contributivo’. Quest’ultimo altro non è che il documento riepilogativo di tutti gli anni contributivi accreditati a nome del lavoratore che esegue la verifica.

Nel documento sono visualizzabili alcuni dati da cui è possibile capire con esattezza non soltanto quanti contributi sono stati accreditati, ma anche che tipologia di contributi, oltre al numero delle settimane contributive e l’importo. Ovviamente nell’estratto in oggetto compare altresì il nome dell’azienda che ha pagato i contributi. Per accedere all’estratto conto contributivo, occorre entrare nella sezione “Prestazioni e servizi”, cliccando sul servizio “Fascicolo previdenziale del cittadino”.

Laddove dai controlli emergano mancanze:

  • il lavoratore è certamente legittimato a chiedere all’azienda il versamento di quanto dovuto;
  • e se il datore dovesse persistere nell’inadempimento sul piano contributivo, sarà comunque possibile recuperare detti contributi rivolgendosi direttamente all’Inps e denunciando le irregolarità.

A questo punto, se è vero che l’ente previdenziale può provvedere al recupero degli importi, è altrettanto vero che le norme in materia lo consentono entro 10 anni dalla data effettiva presupposta per il versamento. I contributi previdenziali si prescrivono in 5 anni, ma il termine di prescrizione si allunga a dieci anni in caso di denuncia da parte del dipendente.

In queste circostanze entra in gioco quello che in gergo è definito ’principio di automaticità delle prestazioni’, il quale vale fino al verificarsi della prescrizione contributiva. Attenzione però: detto principio opera a condizione che l’interessato attesti la sussistenza del rapporto di lavoro, presentando all’Inps idonea documentazione.

Inoltre c’è un altro dettaglio non indifferente: l’assenza di contributi versati all’ente previdenziale per inadempienza dell’azienda può determinare un allontanamento di più anni dal momento nel quale si matura il diritto al trattamento pensionistico. Va da sé che siamo innanzi a conseguenze in cui nessun lavoratore vorrebbe trovarsi nella propria carriera. Ecco perché la prassi in queste spiacevoli circostanze ci ricorda altresì che il lavoratore non di rado effettua la richiesta di risarcimento danni nei confronti dell’azienda.

Contributi non versati: la rilevanza della prescrizione e la rendita vitalizia

Rimarchiamo che occorre verificare se i contributi non versati si riferiscono a un periodo inferiore o superiore a 5 anni:

  • laddove si riferiscano ad un periodo al sotto dei 5 anni, occorre informare immediatamente l’Inps che, in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate, provvederà a compiere la verifica dei versamenti del datore di lavoro. Per questa via l’ente previdenziale si rivolge al datore di lavoro per ottenere il recupero del debito, a favore del lavoratore dipendente.
  • laddove invece l’inadempienza contributiva si riferisca ad un periodo al di sopra di 5 anni, scatta la prescrizione, e perciò decade l’obbligo di pagare i contributi. In dette circostanze, l’Inps non può agire nei confronti del datore di lavoro per conseguire il dovuto. Tuttavia il lavoratore ha la possibilità di riscattarli per il tramite della cd. “costituzione di rendita vitalizia”.

Come in precedenza accennato, il citato termine quinquennale si prolunga a 10 anni se il dipendente provvede a denunciare all’Inps il mancato versamento dei contributi da parte dell’azienda.

La rendita vitalizia rappresenta il frutto di una significativa ed utile iniziativa del lavoratore dipendente, che potrà così riscattare i contributi su cui sia intervenuta la prescrizione. Essa è d’importo pari alla quota di pensione che sarebbe spettata al lavoratore in base ai contributi non versati.

Lo strumento in oggetto è tuttavia sfruttabile soltanto avendo un documento scritto, che attesti l’esistenza del rapporto di lavoro alla data del vuoto contributivo. Grazie ad esso dovranno emergere informazioni circa la sussistenza e la durata del rapporto, nonché l’importo della retribuzione erogata.

In relazione alla costituzione di rendita vitalizia non vi è alcun requisito minimo. Perciò non è necessario avere un minimo di annualità di contribuzione.

Rendita vitalizia: l’onere di riscatto per accreditare i contributi omessi

Con la rendita in oggetto, i contributi omessi possono essere accreditati esclusivamente a seguito del pagamento di un onere di riscatto e sono utili per il diritto e per la misura della pensione.

In particolare, la costituzione della rendita vitalizia - ossia il riscatto - può essere richiesta all’Inps:

  • dal datore di lavoro che ha omesso il versamento dei contributi e vuole così procedere al pagamento degli stessi, rimediando di fatto al danno arrecato al lavoratore subordinato;
  • da parte del lavoratore stesso, al posto del datore di lavoro, sia nell’ipotesi in cui presti ancora attività lavorativa sia nell’ipotesi nella quale abbia già ottenuto il trattamento pensionistico;
  • dai superstiti del lavoratore.

Nessun dubbio a riguardo: la rendita vitalizia ha come scopo quello di compensare la pensione o la quota di essa che sarebbe spettata al lavoratore in rapporto ai contributi omessi.

Non bisogna dimenticare che il dipendente ha altresì facoltà di rivalersi, a titolo di risarcimento, sul datore di lavoro responsabile dell’omissione contributiva - chiamandolo in giudizio per la restituzione della somma pagata per il riscatto.

Riassumendo: se è intervenuta la prescrizione quinquennale il lavoratore non può richiedere all’Inps la regolarizzazione della posizione assicurativa, ma la legge protegge comunque il lavoratore con l’istituto della rendita vitalizia. E in ogni caso - come rimarcato anche dalla Suprema Corte - il lavoratore può agire contro il datore di lavoro per il risarcimento del danno “poichè tale situazione determina l’attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante” (Cass. n. 27660 del 2018).

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