Busta paga, «riforma fiscale danneggia chi guadagna meno di 30mila euro»: l’intervista al presidente Anc Cuchel

Rosaria Imparato

29/03/2022

29/03/2022 - 15:34

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Quali sono gli effetti della riforma fiscale sulla busta paga? A essere danneggiato è soprattutto il ceto medio: ne abbiamo parlato con il presidente dell’Associazione nazionale commercialisti Cuchel.

Busta paga, «riforma fiscale danneggia chi guadagna meno di 30mila euro»: l’intervista al presidente Anc Cuchel

La legge di Bilancio ha previsto un’importante riforma fiscale su due linee diverse: la prima è quella dell’Irpef, col passaggio da cinque a quattro aliquote, e la seconda è quella del welfare familiare, con l’assegno unico che incorpora gli Anf. Quali sono gli effetti di questa riforma fiscale sulla busta paga? Ne abbiamo parlato con Marco Cuchel, il presidente dell’Associazione Nazionale Commercialisti.

Il ceto medio (formato dai contribuenti con redditi fino a 30.000 euro) è quello che ne esce maggiormente danneggiato, con i cambiamenti all’erogazione del trattamento integrativo e l’uscita dell’assegno unico dalla busta paga.

Quali sono le conseguenze della riforma fiscale con il passaggio da cinque a quattro aliquote Irpef sul ceto medio, che poi costituisce la maggior parte della popolazione, con redditi fino a 30.000 euro?

Bisogna valutare caso per caso, perché ogni situazione è a sé stante e va verificata. Però effettivamente il quadro d’insieme sembra che il ceto medio ne esca un po’ danneggiato, specialmente la fascia sotto i 30mila euro. La riduzione delle aliquote da cinque a quattro, con questa nuova rimodulazione, anche in valori assoluti, fermo restando che va analizzato caso per caso, la fascia più avvantaggiata è quella che dai 40 ai 50mila euro. È già una fascia medio alta. La fascia che riguarda sicuramente una maggiore platea, fino ai 30mila euro, non beneficia molto rispetto a quello che è il messaggio che si è voluto dare di salvaguardare coloro che hanno redditi più bassi.

Non si può dire, insomma, che la riforma sia stata fatta per il ceto medio “vero”...

In linea di principio non sembra proprio. Questo messaggio che è stato voluto trasmettere alla cittadinanza rispetto alla volontà di rivedere la pressione fiscale. Anche la nuova rimodulazione delle detrazioni fiscali va rivista: ci sarà qualcuno che va a guadagnarci, ma l’impressione è che la maggior parte del ceto medio non benefici di questa riforma. Al di là della rimodulazione delle aliquote Irpef, di fatto va a innestarsi tutto l’aspetto dell’assegno unico universale, piuttosto che l’eliminazione del trattamento unico integrativo, l’eliminazione degli assegni familiari dalla busta paga, quindi specialmente i dipendenti da marzo si troveranno un po’ in difficoltà. Bisognerà vedere quando l’Inps erogherà l’assegno unico.

Chi ha fatto domanda per l’assegno unico entro una certa scadenza se lo vedrà erogato, altrimenti no. Ci si troverà soltanto col taglio dei bonus.

Ma anche per chi ha fatto domanda bisognerà verificare i tempi e la tempestività dell’erogazione da parte dell’Inps di questi milioni di assegni unici, perché non credo che sia una questione di un clic, come spesso si dice. Bisognerà vedere quale sarà l’effettivo impatto operativo, spero di sbagliarmi e che sia tutto eccezionalmente veloce e snello, ma vista la macchina della pubblica amministrazione qualche dubbio può venire. Si va incidere così sulle tasse di milioni di famiglie che sono abituate a una certa disponibilità, anche per impegni che hanno assunto a livello familiare, e non vedere in busta paga o comunque non vedere tempestivamente un assegno vuol dire mettere in forte difficoltà la tenuta della famiglia, fa la differenza se ha il mutuo da pagare o le rate della televisione o della lavatrice.

Ha citato prima il trattamento integrativo. Con la riforma Irpef i contribuenti nella fascia tra i 15 e i 28mila euro non se lo trova più. Per fare il calcolo del bonus spettante si devono guardare le spese che rientrano negli articolo 12 e 13 del Tuir. Quindi chi non ha fatto questo tipo di spese rimane fuori?

Esatto: non scatta la clausola di salvaguardia e quindi rimane fuori. Fino a 15mila euro continuano a percepirlo. Da 15 a 28mila, purtroppo, hanno una sorta di verifica della capienza, una clausola di salvaguardia ma solo nel caso in cui ci siano queste spese sostenute, quindi interessi passivi sul mutuo per l’acquisto della prima casa, piuttosto che le detrazioni per i carichi di famiglia o i lavori di recupero del patrimonio edilizio o di riqualificazione energetica. Se la somma di queste detrazione è di ammontare superiore all’imposta lorda scatta la clausola di salvaguardia e a quel punto si beneficia del trattamento integrativo, pur essendo sopra i 15mila euro ed entro i 28mila euro. Chi non ha fatto ristrutturazioni alla propria abitazione, quindi, anche se supera i 15mila euro di reddito non avrà il trattamento integrativo. E per milioni dipendenti sotto i 28mila euro di reddito il trattamento integrativo voleva dire una sostanziale differenza di possibilità e capacità di spesa. Vi si faceva affidamento, e ora improvvisamente è stato tolto. Sembra che se hai avuto capacità di spesa e hai fatto investimenti di ristrutturazione, sei più agevolato rispetto ad altri che hanno avuto più difficoltà a fare determinate spese e che però non possono usufruire del trattamento integrativo.

Però così non si verifica una situazione paradossale? Chi ha avuto più capacità di spesa si trova il trattamento integrativo, e chi invece non ha fatto spese impegnative come i lavori di ristrutturazione perché non aveva la capacità economica resta escluso dal bonus.

Ma magari ha fatto anche altre spese: in Italia il credito al consumo è una delle modalità più seguite, soprattutto per i giovani che mettono su casa e comprano la tv o la lavatrice a rate. Hanno comunque sostenuto delle spese e preso degli impegni ma non rientrano nelle fattispecie previste dalla norma. Non è detto che chi non ha fatto la riqualificazione energetica dell’edificio allora non ha speso in altri settori, però non potendo usufruire del trattamento integrativo si perde capacità di spesa, trovandosi in difficoltà perché comunque ci si è preso degli impegni. È una situazione che secondo me ancora è tutta da verificare, e si verrà a generare un impatto sociale abbastanza rilevante, soltanto a consuntivo potremmo dire quale sarà questo impatto. Da un’analisi a tavolino, preventiva, qualche perplessità la dà questa riforma. In realtà, questa è una pseudoriforma: noi chiediamo una riforma fiscale vera, generale, articolata e complessiva. In ambito fiscale si fanno sempre provvedimenti tampone, che creano più danni che benefici. Bisognerebbe invece attuare una riforma complessiva studiata e attuata bene, partendo anche dal contrasto d’interessi, perché così sì che si va a combattere l’evasione, ridurre la pressione fiscale che può essere una leva importantissima per la ripresa economica. Qui invece siamo di fronte ancora una volta a provvedimenti tampone con risorse molto limitate, 8 miliardi di euro per la rimodulazione dell’Irpef e l’eliminazione dell’Irap: niente rispetto a quanto servirebbe per una riforma seria. Quando si fanno queste cose molto parziali si rischia di creare danni invece di effettivi benefici per i cittadini.

A proposito di misure parziali, tra quelle previste dalla legge di Bilancio 2022 c’è anche il taglio dello 0,8% dei contributi a carico del lavoratore, valida solo per quest’anno. Quanto incide questa misura sul netto dello stipendio?

Incide pochissimo, nulla. Sono quelle misure di immagine che non di effettiva utilità rispetto al risultato finale per il cittadino. Si deve attuare in maniera seria una riforma generalizzata, anche del lavoro. Anche questo fatto che le detrazioni sono state rimodulate diversamente, ancora una volta, tra lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati, creando una disparità di trattamento dei soggetti, secondo noi è qualcosa da eliminare. Dipendenti e autonomi sono lavoratori che a parità di reddito devono pagare le stesse imposte, non si capisce perché anche dal punto di vista delle detrazioni ci debba essere questa disparità. Invece, questa differenza è stata mantenuta. Noi la riteniamo iniqua e contro il principio di parità di trattamento tra lavoratori e cittadini dello stesso Paese.

Tutte queste novità sul trattamento integrativo e sulle detrazioni si vedranno nella prossima dichiarazione dei redditi. Sarà ancora più difficile fare la dichiarazione anche per i dipendenti che possono fare la precompilata? Ci sarà ancora più bisogno dell’aiuto del commercialista?

Sulla precompilata sono molto critico, non solo per il 730 ma anche i registri precompilati o la dichiarazione Iva. Si vuole far passare il messaggio che l’Agenzia mette a disposizione le dichiarazione per contribuenti e poi vediamo a consuntivo che non è così: la precompilata del 730, dopo ormai anni e anni di introduzione, ancora oggi nemmeno il 20% la utilizza e pochissimi, forse il 5%, la confermano con i dati dell’Agenzia. Effettivamente, visto che queste normative complicano maggiormente la situazione, ci sarà ancora più bisogno di un consulente che possa analizzare la situazione per ogni tipo di contribuente. Tra l’altro, le verifiche tipo la clausola di salvaguardia fino a 28.000 euro per il trattamento integrativo vengono fatte in sede di dichiarazione, ma l’effetto è che nei vari mesi dell’anno ha avuto una busta paga ridotta. Poi magari dalla dichiarazione dei redditi emergono i requisiti per avere il trattamento integrativo, e potrà riprendere in busta paga quanto spettante con il conguaglio di fine anno.

Però ha passato due anni con la busta paga più leggera...

Sì, con tutti i problemi riguardanti la capacità di spesa di cui abbiamo parlato. Anche questo aspetto va analizzato: non si possono fare i conti senza tenere in considerazione le esigenze e le aspettative del singolo soggetto. Anche se poi con la clausola di salvaguardia si riprende il trattamento integrativo spettante (i primi rimborsi ci saranno a luglio 2023) nel frattempo il contribuente ha preso per due anni meno di quanto avrebbe dovuto. Spesso sono cose fatte a tavolino, senza verificare l’impatto sulla quotidianità. Noi chiediamo un coinvolgimento da anni, visto che abbiamo una maggiore percezione di come la norma vada a impattare sulla realtà, pensando alle conseguenze dal carattere personale e sociale, soprattutto in tempi di pandemia e di caro energia.

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