Allarme pellet, Italia senza legna per l’inverno: “Scorte finite e prezzi record, serve aumentare la produzione e tagliare l’lva”

Giacomo Andreoli

3 Ottobre 2022 - 15:37

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Pellet e legna da ardere per stufe e camini hanno prezzi sempre più alti e si trovano oramai raramente, per questo i produttori chiedono una strategia straordinaria per affrontare l’inverno.

Allarme pellet, Italia senza legna per l’inverno: “Scorte finite e prezzi record, serve aumentare la produzione e tagliare l’lva”

Non solo gas e luce. La crisi energetica e l’inflazione colpiscono sempre di più la legna e il pellet per i riscaldamenti, con stufe e camini che rischiano di diventare inutili per il prossimo inverno, vista la carenza di materia prima. Già quest’estate i costi per il pellet (combustibile di biomassa compressa fatto con gli scarti del legno) erano aumentati vertiginosamente e le scorte erano in esaurimento. Ora, però, la situazione rischia di essere fuori controllo.

La legna, infatti, è diventata richiestissima come possibile opzione alternativa al gas, ma la produzione non riesce a sostenere il ritmo della domanda, con i prezzi che sono triplicati. I canali di approvvigionamento tradizionali sono così in crisi e per l’inverno si rischia davvero di rimanere senza questa materia prima.

Pellet, prezzi triplicati

Un anno fa un sacco di pellet da 10-15 kg costava sui 5 euro, mentre oggi è arrivato fino a 14 euro (un aumento di quasi il 300%). Discorso simile per la legna semplice: 7 quintali di faggio si pagavano massimo 170-200 euro, ora costano anche 300.

Perché non si trovano più legna e pellet

A causare la maggior parte dei problemi, assieme al boom della domanda, è il blocco delle esportazioni da Regno Unito e Paesi dell’Est, quelli che producono di più. Tra questi ci sono diversi vicini dell’Italia, tra cui Slovenia, Croazia e Bosnia, che vista l’emergenza hanno dirottato legna e pellet verso i consumi interni. In particolare la Bosnia ha bloccato l’export per legge fino allo scorso 30 settembre.

L’approvvigionamento italiano dipende per lo più dalle importazioni, che sono nettamente superiori alla produzione nazionale, incapace di compensare la carenza del momento. Nel nostro Paese gli imprenditori lamentano infatti una mancanza di programmazione, soprattutto in relazione alle deludenti politiche forestali.

L’effetto delle sanzioni alla Russia

Tutto ciò si somma allo stop al legname proveniente da Russia e Bielorussia, che assieme alla riduzione dei flussi ucraini aveva già ridotto del 10% le quantità di prodotto commercializzate in Italia. Un effetto lo hanno avuto anche le sanzioni economiche a Mosca, che hanno fatto diminuire la materia prima necessaria alla produzione di pellet (cioè scarti e residui come la segatura).

Questo ha creato una carenza complessiva di circa 3 milioni di tonnellate di pellet, da cui la decisione di Regno Unito e Paesi dell’Europa centro settentrionale, che prendevano la materia prima proprio da Russia e Bielorussia, di ridurre le esportazioni per soddisfare i fabbisogni interni.

Le richieste degli imprenditori italiani

Per questo ora l’Associazione italiana energie agroforestali (Aiel) chiede di aumentare la produzione nazionale, così da sostenere la domanda e impedire emergenze in inverno. D’altronde nel corso dell’anno c’è stato un vero e proprio assalto alle stufe a legna e pellet.

La stessa associazione ha registrato un aumento dell’8% delle vendite nel primo semestre dell’anno. Dato destinato ad essere corretto al rialzo nel secondo semestre. Le aziende produttrici parlano di consegne che oramai vanno al 2023, a inverno già inoltrato: mancano i pezzi per realizzare le stufe e le fabbriche non stanno al passo degli ordini. In tutto ciò la legna appena tagliata, che si troverà in commercio l’anno prossimo, vale fino a 20 euro al quintale. Insomma: la tendenza è al peggioramento.

L’altra richiesta delle aziende italiane è tagliare l’Iva su pellet e legna da ardere, sul modello spagnolo. Su questo c’è una proposta, quella del Movimento 5 Stelle, che vorrebbe far passare l’imposta su questi prodotti dal 22% al 10%, ancora non accolta dall’attuale governo Draghi.

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