Variante Delta Covid, cosa serve per non averne paura

Giorgia Bonamoneta

20/06/2021

02/07/2021 - 12:44

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Preoccupa la crescita di contagi della variante Delta. I più colpiti sono i giovani (10-29) e chi non ha completato il ciclo vaccinale. Cosa serve per combattere la diffusione della variante Delta?

Variante Delta Covid, cosa serve per non averne paura

La variante Delta si sta diffondendo in tutta Europa e non solo. Nel Regno Unito rappresenta il 96% dei casi, soprattutto tra i giovani e giovanissimi (10-29 anni) e i nuovi ingressi in ospedale seguono questo andamento al ribasso, con un maggior ricovero tra i 25 e 44 anni. Dobbiamo averne paura? Sappiamo che più della metà delle persone contagiate dalla variante Delta (68%) sono soggetti non vaccinati.

Nel contesto di una nuova variante così aggressiva (almeno il 60% più contagiosa della variante Alfa) il merito dei vaccini è di risultare ancora abbastanza efficaci per aggirarne la diffusione. In generale i vaccini sono circa il 13% meno efficaci contro questa variante: per esempio Astra-Zeneca protegge al 60% rispetto ai precedenti dati che si aggirano intorno al 70-73%.

Dobbiamo fermare la diffusione della variante Delta per evitare una nuova ondata, la quarta, tra settembre e ottobre. Per evitare l’ultimo colpo di coda del virus dovremo vaccinare il più possibile, soprattutto perché, a detta degli esperti, non basterà più un’immunità di gregge data dalla vaccinazione del 60-70% della popolazione; no, con la variante Delta raggiungeremo la fatidica immunità di gregge solo quando avremo vaccinato l’88% del Paese.

La variante Delta fa paura: cosa serve per fermare la diffusione

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha inserito la variante Delta nella lista delle “varianti di preoccupazione”. Le caratteristiche preoccupanti sono l’aumento della trasmissibilità e la diminuzione dell’efficacia dei vaccini e delle terapie.

Quindi siamo davanti a una variante con il 60% in più di capacità di diffusione rispetto alla variante Alfa (inglese), che a sua volta era il 50% più contagiosa rispetto al ceppo originario riscontrato a Wuhan. I dati emergono da uno studio pubblicato su The Lancet nel quale hanno monitorato la diffusione della variante in Scozia.

Nel Regno Unito, in questo momento tra i più colpiti dalla variante Delta insieme alla Russia (variante riscontrata nell’89,3% dei contagiati), è stato possibile capire uno dei fattori principali di diffusione: non avere una completa vaccinazione.

La variante Delta infatti “ha bucato” i vaccini, vuol dire che li ha resi meno efficaci, ma soprattutto li ha resi indispensabili. Precedentemente era stata confermata l’immunità di gregge al raggiungimento della completa vaccinazione per il 65-70% della popolazione; la variante però ha modificato l’equilibrio e ha reso necessario raggiungere a un nuovo obiettivo: l’88% della popolazione vaccinata.

I casi accertati di contagio della variante Delta sono stati riscontrati principalmente tra i giovani compresi tra i 18 e i 25 anni. La fascia d’età più colpita è quindi quella per la quale la campagna di vaccinazione è iniziata dopo. A settembre il numero di ragazzi vaccinati sarà in grado di assestare la diffusione nelle scuole? La risposta alla variante è una e una soltanto: vaccinare.

Variante Delta: diffusione ed efficacia dei vaccini

L’OMS ha dichiarato che la variante Delta è attualmente diffusa in 29 Paesi: non solo nel Regno Unito, dove ha superato per numeri la variante autoctona, ma anche in Russia (89,3%) e nei Paesi che stanno riscontrando un’incidenza più elevata di contagi ogni 100 mila persone.

Spagna, Turchia, Portogallo, USA mostrano i dati più preoccupanti, mentre in Italia la variante Delta rimane sotto l’1% di diffusione. Un dato sottostimato secondo le stime del Financial Times, che denuncia una presenza di variante Delta pari almeno al 26%.

Perché così tanta differenza? Il problema risiederebbe nella bassa percentuale di sequenziamento delle nostre strutture. Per ovviare al problema l’Istituto superiore di Sanità ha annunciato una rete integrata di sequenziamento per diminuire i tempi di riconoscimento e monitoraggio delle varianti.

A preoccupare maggiormente è il dato sull’abbassamento dell’efficacia dei vaccini Pfizer-Biontech (da 92% a 79%) e Oxford-AstraZeneca (da 73% a 60%). Per il momento Pfizer fa sapere che non c’è bisogno di modificare il vaccino, ma in caso di necessità sarebbero pronti con un nuovo vaccino in circa 100 giorni.

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