Quanto durerà lo smart working?

Isabella Policarpio

02/10/2020

17/01/2023 - 12:42

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Con la proroga imminente dello stato di emergenza si allungano i tempi dello smart working nel settore pubblico e privato. Secondo le previsioni, il lavoro agile durerà fino a gennaio.

Quanto durerà lo smart working?

L’imminente proroga dello stato di emergenza porta con sé una domanda: quanto durerà ancora lo smart working? Verosimilmente il lavoro da casa - nei settori in cui è possibile - durerà per tutta l’emergenza, quindi fino al 31 gennaio 2021.

Questo non significa che dal 1° febbraio tutto sarà come prima: il ritorno alla normalità richiede un percorso graduale, e molte delle misure di sicurezza ora obbligatorie continueranno ad essere “fortemente consigliate” a lungo, soprattutto l’attenzione all’igiene e la sanificazione degli ambienti affollati.

Per molti lavoratori lo smart working potrebbe durare per sempre: diverse aziende hanno deciso di sfruttare i vantaggi economici del lavoro da casa (in primis il risparmio su affitto e bollette) e implementare il lavoro agile come regola e non come eccezione. In altre, invece, si tornerà a pieno regime in ufficio non appena il numero dei positivi tornerà sotto controllo, ma comunque non prima della fine dello stato di emergenza.

Quanto durerà lo smart working: le indicazioni del Governo

Chi può dovrà lavorare da casa almeno fino alla fine dell’anno, anzi, molto probabilmente fino alla fine di gennaio 2021: difficile al momento stabilire una data esatta, ma informazioni più dettagliate si avranno quando il Governo deciderà di prorogare lo stato di emergenza, probabilmente a ridosso del 15 ottobre.

Estendere l’emergenza su tutto il territorio nazionale significa continuare ad applicare le regole adottate fin ad oggi, e quindi lo smart working totale o parziale (alternando giorni a casa e giorni in sede) ovunque sia possibile, sia nel settore pubblico che in quello privato.

Il lavoro da casa resta la misura di sicurezza più efficace per evitare nuovi contagi: riduce il numero di pendolari sui mezzi pubblici, evita l’affollamento negli uffici e limita le possibilità di contagio tra colleghi e, di riflesso, tra i rispettivi conviventi. Inoltre in molti casi il lavoro da casa si rivela ugualmente efficiente di quello in ufficio (anzi è stato dimostrato che si lavora di più) e permette ai dipendenti di conciliare gli impegni lavorativi con la vita familiare e sociale.

Per quanto riguarda il settore pubblico, le direttive ministeriali impongono di proseguire con lo smart working fino alla fine dell’anno, ma l’estensione dello stato di emergenza al 31 gennaio 2021 richiederà una proroga ulteriore.

E nel settore privato quanto durerà lo smart working?

Per quanto riguarda i privati molto è lasciato alla discrezionalità delle singole aziende. Ogni settore ha le sue esigenze organizzative, quindi sarebbe impossibile imporre dall’alto una data di fine. Da parte del Ministero resta l’invito a promuovere il più possibile il lavoro agile, dove e quando sia funzionale all’attività produttiva.

Fino alla fine dello stato di emergenza (15 ottobre 2020) le aziende potranno usufruire della procedura semplificata di richiesta del lavoro agile per i propri dipendenti. Per il futuro non ci sono ancora indicazioni, ma sembra logico che i privati saranno invitati a seguire quanto stabilito per il pubblico impiego, quindi incentivare il lavoro da casa almeno fino alla fine di gennaio 2021.

Cosa succederà dopo?

Prima del coronavirus in Italia lo smart working era quasi sconosciuto e infatti la normativa di riferimento - legge 81/2017 - è piuttosto scarna. Ma ora che molte realtà aziendali hanno scoperto questo strumento per il futuro sarà necessario rivedere e aggiornare la normativa.

Non è da escludere che molte aziende vorranno imporre lo smart working come regola generale, magari alternando giorni in sede e giorni a casa. Altre hanno addirittura detto addio agli uffici e continueranno a lavorare da casa per sempre.

Nel settore pubblico si tornerà alla normalità ma con gradualità e attenzione, anche perché l’epidemia ha aperto gli occhi su quanto sia facile contrarre malattie e infezioni negli spazi chiusi e affollati, e questo non vale soltanto per il coronavirus.

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