Problemi in vista per Draghi: la Germania non sembra voler cambiare le regole

Felice Bianchini

15/12/2021

15/12/2021 - 18:08

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Il cambiamento delle regole europee, atteso da tanti e invocato dal premier Draghi, non sembra essere fondamentale per il tanto atteso nuovo Governo tedesco, tra ambiguità e cambi di direzione.

Problemi in vista per Draghi: la Germania non sembra voler cambiare le regole

Più volte, negli ultimi mesi, Mario Draghi si espresso contro l’attuale assetto di regole europee, in favore di uno nuovo maggiormente «realistico». Il modo per cambiare i trattati è racchiuso nel TUE all’art.48 e coinvolge in primo piano il Consiglio europeo, ossia il consesso in cui si riuniscono i primi ministri dei Paesi membri, e il Consiglio dell’Unione europea, quello dove si riuniscono i Ministri con i propri omologhi a seconda del dicastero.

Dall’inizio del percorso d’integrazione, un ruolo centrale, per motivi economici e politici, lo gioca la Germania. Al di là della sua posizione di forza (che è sicuramente affievolita dall’uscita di scena della Merkel e dalla crisi economica e sanitaria), le regole per cambiare i trattati richiedono una convergenza di vedute molto stretta, che quasi non ammette la minima deviazione (detto in altre parole, è richiesta unanimità, sia all’interno del Consiglio, sia in un certo senso tra i Parlamenti dei Paesi membri).

Mentre l’Italia stringe patti con la Francia e Draghi flirta con Macron (che sta per assumere la presidenza del Consiglio dell’UE), dalle parti di Berlino si è insediato il nuovo Governo, che ha fatto molto discutere, da un lato alimentando le speranze di chi vede un cambiamento vicino all’orizzonte, dall’altro di chi vede un eterno ritorno dell’uguale. Ma cosa hanno detto i tedeschi sulle regole? Vogliono realmente guidare un cambiamento?

Chi c’è nei posti chiave del nuovo Governo tedesco

L’uscita di scena di Angela Merkel è un fatto storico rilevante. Prova ne è l’uscita di scena in pompa magna tra lacrime, applausi e ringraziamenti di ogni tipo. La cancelliera tedesca ha segnato un’epoca: in positivo o in negativo lo dice e lo dirà la storia. E ora? Le speculazioni sul futuro vanno avanti già da prima che venisse annunciato il suo addio alla politica.

Il suo sostituto, Olaf Scholz, già Ministro delle finanze, è conosciuto per chi segue la politica: è un uomo del partito social democratico tedesco (SPD); il portavoce delle riforme «competitive» dei primi anni 2000, che schiacciarono i salari dei lavoratori in Germania (i cosiddetti pacchetti Hartz) - non proprio l’immagine di una manovra «di sinistra».

Scholz ha dato vita alla prima coalizione di Governo, dopo più di un decennio, che non comprende il blocco dei cristiano-democratici della Merkel. La coalizione, detta semaforo, mette infatti insieme SPD (rossi), liberali (gialli) e verdi (di cui non serve specificare il colore), e viene definita una compagine molto progressista.

Al Ministero delle finanze, nonostante gli appelli contrari - che hanno visto protagonista anche il premio nobel Joe Stiglitz -, è stato scelto Christian Lindner, già segretario del partito liberale e ritenuto un «falco» in termini di regole economiche. Non proprio indice di «progressismo».

Consiglio europeo, Ecofin, e l’informale consesso dei Paesi che hanno adottato l’Euro, chiamato Eurogruppo, sono il fulcro delle decisioni politiche ed economiche dell’UE. Per la Germania saranno presidiati da Scholz e Lindner.

Cosa dicono e hanno detto Scholz e Lindner?

In termini di regole europee, il «contratto di Governo» siglato tra i tre partiti tedeschi indica una strada di rafforzamento del Patto di stabilità e crescita, in vista del perseguimento della crescita, senza trascurare la stabilità dei conti. È una dichiarazione d’intenti molto ambigua, che non lascia trasparire nessun concreto indirizzo.

Scholz è stato protagonista di svariate giravolte in tema di regole europee e di Ue in generale. Da un lato ha auspicato un radicale cambiamento, tradotto nel senso di una maggiore integrazione dei Paesi membri in senso federale; dall’altro ha affermato che le regole hanno sostanzialmente funzionato e non richiedono particolari cambiamenti, in quanto si sono dimostrate «flessibili», aprendo più che altro a una green golden rule, che incentiverebbe gli investimenti nella transizione ecologica.

Dal canto suo, non è stato altrettanto ambiguo il Ministro delle finanze Lindner, che ha rivendicato d’ispirarsi ai suoi predecessori, compreso Schauble, uno dei più rigorosi falchi. Si è detto contrario al rendere strutturale il meccanismo del Next Gen EU (per gli amici Recovery fund), seppur non del tutto contrario a nuove emissioni di titoli. Ha dichiarato, come il Cancelliere, che le regole hanno provato il loro valore - e dunque non necessitano di particolari cambiamenti.

Infine, visto il periodo di rialzo dei prezzi, sia il Cancelliere che il Ministro hanno rispolverato i vecchi mantra sull’inflazione come frutto delle politiche di spesa troppo espansive (anche se si tratta principalmente d’inflazione sui mercati energetici) e hanno invocato, in difesa dei pensionati e dei risparmiatori, particolare attenzione, che implica un contenimento della spesa e dei debiti pubblici. Nulla di nuovo.

Draghi e Macron: trattati bilaterali e ambizioni multilaterali

Da non molto è stato firmato il cosiddetto Trattato del Quirinale, un trattato bilaterale tra Francia e Italia. All’annuncio della firma si è detto che il rapporto tra i due Paesi è stato reso ancora più stretto. Al di là delle dichiarazioni e delle coreografie delle frecce tricolori italiane e francesi, quel che è curioso è che continui a essere fondamentale la strada degli accordi bilaterali, mentre si afferma la volontà di operare mutamenti in senso multilaterale. Tuttavia, non stupisce questa firma, che nasce vecchia: le basi, infatti, furono gettate nel 2017, quando Paolo Gentiloni, attuale Commissario agli affari economici e monetari, era Presidente del Consiglio.

Nelle comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 16 dicembre, Draghi ha dichiarato che il dibattito sul Patto di stabilità è in standby, in attesa che il 1° gennaio 2022 la Francia assuma la presidenza del Consiglio dell’Unione europea (una carica a rotazione che viene assegnata a turno ogni 6 mesi): «La discussione entrerà nel vivo in quel momento» - ha detto Draghi - dicendosi sicuro che le regole cambieranno. Inoltre, nella primavera del 2022, terminerà anche la Conferenza sul futuro dell’Unione europea, un consesso in cui si è discusso di proposte in merito alle riforme da apportare all’assetto europeo.

Macron, che è negli ultimi momenti della sua carica (nel 2022 ci saranno le elezioni per il Presidente della Repubblica francese), si ritroverà dunque a gestire uno degli organi più importanti nel processo di modifica dei trattati, come stabilito dall’articolo 48 TUE. Da lì, oltre che dal Consiglio europeo, possono infatti partire le proposte di modifica. E il Presidente francese ha rilasciato dichiarazioni reboanti, nel senso di:

  • regolare e limitare il mercato dei servizi digitali e le grandi piattaforme che vi operano;
  • investire sulla difesa comune, in particolare sul controllo dei confini;
  • impostare un salario minimo europeo;
  • potenziare l’Erasmus e l’integrazione scolastica europea;
  • aumentare la collaborazione in campo di ricerca e sanità.

E altro ancora. Insomma, sembra che il prossimo semestre sia un periodo da seguire con attenzione, rivoluzionario. Tante proposte sul tavolo. Ma restano i problemi di unanimità prima ricordati: sono pronti i cosiddetti paesi frugali del nord - in particolare la Germania - a scendere a patti così stringenti con quelli del sud? Dalle dichiarazioni, un mix di grandi sogni di novità e vecchi cliché, non sembra. Se dovessero dir loro di no, cosa farebbero Draghi e Macron?

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