Peste suina in Italia: zero pericoli per l’uomo, ma serie conseguenze economiche

Giorgia Bonamoneta

11 Gennaio 2022 - 00:03

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Registrati casi di peste suina in Italia. Il rischio per l’uomo è nullo, ma per l’economia del settore i danni sono molto più elevati. Ecco quali sono le conseguenze della diffusione della malattia.

Peste suina in Italia: zero pericoli per l’uomo, ma serie conseguenze economiche

Non è la prima volta che in Italia vengono registrati casi di peste suina proveniente da diverse parti del mondo, oltre che dall’Africa come nel caso più recente. I casi passati avevano però caratteristiche non preoccupanti, cioè erano circoscritti ad aree ristrette. Questo permetteva a settore della carne suina d’esportazione di non risentirne e di limitare l’impatto negativo sull’economia.

In questo frangente però i casi di peste suina sono più diffusi e sparsi sul territorio, principalmente nelle aree Settentrionali. Il rischio è quello di ricevere un bollino rosso e un blocco delle esportazioni, con un danno economico che potrebbe quantificarsi intorno ai 20 milioni di euro per ogni mese di sospensione dell’export. Per questo da preoccupate, le richieste degli allevatori sono diventate un grido di allarme.

Peste suina africana in Italia: un concreto rischio economico

I casi di peste suina africana, lamentata da diversi organizzazioni agricole su tutto il territorio italiano, sono un allarme per l’economia del settore carne suina e salumi. Non è tanto preoccupante per l’essere umano infatti, infatti la malattia non viene trasmessa all’uomo; ma la peste suina è molto contagiosa tra gli animali e rischia di mettere in ginocchio allevamenti di suini e cinghiali. Un altro rischio è legato alla diffusione tra i cinghiali selvatici, che spostandosi in cerca di cibo potrebbero finire per infettare un numero sempre maggiore di bestiame, che andrebbe poi abbattuto.

Non c’è però solo il rischio di una diffusione della malattia su un numero sempre maggiore di bestiame, già di per sé preoccupante; esiste anche il rischio concreto economico. Secondo le associazioni di settore, le misure restrittive alle esportazioni potrebbero arrecare danni economici pesantissimi all’intera filiera della carne suina. Il valore complessivo non è al momento calcolabile, ma dai conteggi fatti sembra che il settore rischi una perdita costante di circa 20 milioni di euro per ogni mese di blocco all’export. Una situazione simile a quanto accaduto in Cina nei mesi scorsi, che ha avuto effetti devastanti: milioni di capi abbattuti e un vuoto nell’offerta che ne ha fatto aumentare i costi.

Per la Cina questo ha comportato una spesa maggiore per l’introduzione di carne suina dall’estero per colmare il vuoto lasciato dai capi malati, quindi un ulteriore danno economico collaterale. “Per questo confidiamo che le Autorità competenti affrontino l’emergenza col massimo rigore, rafforzando [...] la sorveglianza nel settore del selvatico e innalzando al livello massimo di allerta la vigilanza sulle misure di biosicurezza nel settore”, ha riferito il direttore dell’Assica Davide Calderone (Associazione degli industriali delle carni e dei salumi).

Peste suina in Liguria: cosa sta accadendo

Un caso particolare, tra le tante segnalazioni, accende i riflettori sulla diffusione della pesta suina in Italia e in particolare nel settentrione. A risultare infetti sembrano essere i cinghiali selvatici, quelli liberi di circolare e che con il tempo si avvicinano sempre di più alla zona urbana. In questo contesto vengono a contatto con gli allevamenti, non tutti però rispettosi delle norme di biosicurezza.

Il risultato è la diffusione della pesta suina su un numero sempre maggiore di capi di bestiame. Secondo Aldo Alberto, presidente di Cia Liguria, il problema sarebbe legato al numero spropositato di cinghiali sul territorio. Un problema che sarebbe ben noto da tempo al settore della carne suina.

Infatti con lo stop alla caccia per via dei casi di peste suina, il numero dei cinghiali è destinato a crescere ulteriormente. Questo causerebbe notevoli danni economici agli allevatori, ma anche danni a livello sanitario. Il blocco della caccia permetteva l’abbattimento di 23 mila capi, ma ne sono stati cacciati circa la metà. “Una ragione in più per accelerare le azioni di modifica della legge regionale che abbiamo richiesto - conclude - e avviare una concreto piano di contrasto riducendo il numero di cinghiali in circolazione”.

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