Perché le Regioni vogliono abbandonare l’indice di contagio Rt

Alessandro Gregori

11/05/2021

11/05/2021 - 18:06

condividi

Il parametro che viene calcolato tutte le settimane dall’Iss è accusato di essere in ritardo e di sovrastimare la circolazione del virus all’interno di una popolazione. Per questo c’è chi vorrebbe sostituirlo con il tasso di ospedalizzazione o di occupazione delle terapie intensive. Ma...

Perché le Regioni vogliono abbandonare l’indice di contagio Rt

Il primo a uscire allo scoperto è stato il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga: «La prima cosa da superare oggi, vista anche la situazione contingente, è l’indice Rt che oggi andiamo a valutare». E così l’indice di contagio che viene calcolato tutte le settimane nel report dell’Istituto Superiore di Sanità e fa parte dei parametri che determinano i colori delle regioni è finito sul banco degli imputati.

Ma perché le Regioni vogliono abbandonarlo e come la pensano sulla questione gli esperti e il governo Draghi?

Perché le regioni vogliono abbandonare l’indice di contagio Rt

Andiamo con ordine. L’indice di contagio Rt (che si legge erre-con-ti) è il parametro che ci dice quante persone può contagiare un solo malato in un periodo di tempo dato. Quando è superiore a uno significa che una persona riesce a contagiare più di un’altra persona e più il numero si ingrandisce più una malattia sta circolando all’interno di una popolazione. Se l’indice è uguale a 2 significa che in media ogni infetto contagia altre due persone.

Attualmente l’Rt viene calcolato solamente sui soggetti sintomatici. E può succedere che l’indice di contagio e l’incremento (giornaliero, settimanale, mensile) dei casi non vadano di pari passo. Questo perché il conteggio dei casi si riferisce al numero di persone che sono state diagnosticate come positive a un test per il coronavirus Sars-CoV-2, mentre Rt si calcola sui casi con sintomi e in riferimento alla data di inizio di questi ultimi. Attenzione: il valore Rt rischia di essere sovrastimato in aree a bassa incidenza, dove un rialzo assoluto anche di scarsa entità può far impennare l’indice relativo.

Oppure può succedere quello che è accaduto la settimana scorsa, ovvero che l’indice calcolato dal monitoraggio delle regioni era in risalita mentre il totale complessivo dei casi scemava. E quindi all’aumento dell’indige Rt (arrivato a 0,89, sempre sotto la soglia di allerta dell’unità), non è corrisposta una ripartenza dell’epidemia. Infatti la curva dei casi è rimasta in decrescita su tutto il territorio nazionale.

Proprio per questo oggi che la pandemia è in fase di decrescita si è scatenato il dibattito intorno all’indice Rt. Un dibattito al quale non sono insensibili gli esperti, visto che anche il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro ha detto che c’è la necessità di «prevedere degli strumenti sensibili che ci diano precocemente l’allerta laddove si dovessero verificare dei focolai o situazioni di incremento della circolazione del virus in modo da poterlo contenere rapidamente. Questo ci consente di intervenire in maniera più chirurgica e di far fronte all’eventuale circolazione di nuove varianti».

Come può cambiare l’indice di contagio

C’è poi un altro punto che viene sollevato in relazione all’importanza dell’indice Rt tra i parametri che determinano i colori delle regioni, ovvero quello della tempestività. L’indice è calcolato sui numeri delle due settimane precedenti rispetto a quella in cui vengono varate le ordinanze. E quindi fotografa una situazione che giocoforza può non essere più attuale, ovvero quella in cui è scoppiato un focolaio che nel frattempo è stato spento. Ma proprio in base a quei numeri arriva poi la collocazione in zona rossa o arancione.

Ovvero, come ha detto all’Adnkronos Salute Giorgio Sestili, fisico ed ideatore della pagina Facebook Coronavirus - Dati e analisi scientifiche, «ha dimostrato di non essere più adeguato perché basato su dati in ritardo rispetto alla settimana in corso. Dobbiamo provare metodi alternativi, che ci sono, in grado di fotografare velocemente la situazione del presente. Ma questo non significa che dobbiamo riaprire tutto come qualcuno vorrebbe». Quali?

C’è chi, come il fisico Roberto Battiston, già presidente dell’Asi e professore di Fisica sperimentale Università di Trento, ha sviluppato un altro Rt, che si calcola a partire dagli ingressi in terapia intensiva, ovvero un parametro che non dipende dai tamponi effettuati. Il Comitato Tecnico Scientifico invece ha suggerito di calcolare l’Rt sui ricoveri nei reparti di degenza covid e nelle terapie intensive per due ordini di motivi: «primo perché in questa maniera i dati sarebbero più recenti e raccolti più rapidamente e secondo perché così si potrebbe valutare l’impatto della pandemia sui sistemi sanitari regionali, risentendo meno delle fluttuazioni determinate dal numero dei tamponi positivi», ha detto ieri Fabio Ciciliano, segretario nel primo Cts e ora membro del nuovo comitato in rappresentanza della Protezione Civile.

Ci sono anche altri modelli alternativi a cui guardare. Come il rapporto tra casi positivi e tamponi - ovvero l’indice di positività - confrontato con quello della settimana precedente. Ma quello degli ingressi in terapia intensiva ha il vantaggio di poter così «pesare» anche i risultati della vaccinazione «in quanto le vaccinazioni degli anziani riducono gli ingressi nelle terapie intensive: di conseguenza l’Rt potrebbe restare basso anche a fronte di un aumento dei contagi», ha osservato Sestili. Altrimenti «sarebbe curioso che mentre si svuotano i reparti ospedalieri con i pazienti gravi, cala il numero di contagi, risale l’indice Rt. Sarebbe un bel paradosso», ha osservato proprio oggi il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.

Cosa succede se si cambia l’indice di contagio

Per questo è in programma domani, mercoledì 12 maggio, un incontro tra la Cabina di Regia del governo sull’emergenza coronavirus e gli enti locali in cui le Regioni chiederanno all’esecutivo di sostituire l’attuale Rt con quello ospedaliero. E di farlo in fretta, ovvero già nel nuovo decreto in preparazione che dovrebbe posticipare di almeno un’ora il coprifuoco.

Il motivo della necessità di una scelta celere lo ha spiegato ieri Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ricordando che oggi siamo in piena fase discendente della terza ondata e che sicuramente per questa settimana avremo questa continuazione della fase discendente: «Dall’altro lato, l’Iss ha segnalato un lieve incremento dell’indice Rt. Le Regioni dicono che bisogna modificare i parametri per il sistema a colori, se ci devono essere delle modifiche devono essere fatte in tempi rapidi, altrimenti molte Regioni finiranno in zona arancione».

E quindi, ha spiegato Cartabellotta, «se il governo dice che le riaperture sono irreversibili a questo deve corrispondere un cambiamento di questi parametri. A partire dalla prossima settimana l’indice rischia di aumentare ancora visto che vedremo gli effetti delle prime riaperture. Con il completamento della vaccinazione delle persone più anziane, dovremmo avere una maggiore tranquillità nelle riaperture».

Ma d’altro canto va ricordato che l’indice Rt non è l’unico parametro in base al quale si decide il colore delle regioni. Per esempio, si finisce in zona rossa se si ha anche un’incidenza dei casi ogni 100mila abitanti superiore a 250. E se si ha una valutazione del rischio compatibile con uno scenario da moderato fino ad alto. E il rischio moderato arriva con l’incremento oltre il 30% delle terapie intensive. Ovvero, si valuta proprio la situazione degli ospedali. Proprio quell’indice che le Regioni vorrebbero per sostituire Rt.

L’occupazione delle terapie intensive al posto dell’indice Rt?

E cosa sta succedendo attualmente nelle terapie intensive? Le analisi di Giovanni Sebastiani, dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo Mauro Picone del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Iac) la scorsa settimana diceva che «in 13 regioni e province autonome avevano smesso di scendere gli ingressi di pazienti Covid nelle unità di T. E la curva della media settimanale del numero di ingressi giornalieri di pazienti Covid-19 nei reparti di terapia intensiva mostrava anche che che 8 regioni e province autonome sono in trend di discesa negli ultimi 28 giorni, mentre questo non accade per le rimanenti 13, la cui curva media decresce fino alla penultima settimana, ma cresce nell’ultima».

La scorsa settimana la tendenza alla diminuzione non era presente in Abruzzo, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Sardegna, Toscana, Valle D’Aosta e nelle due province autonome di Trento e Bolzano. Mentre secondo l’ultimo monitoraggio settimanale sull’andamento dell’epidemia quasi tutte le regioni italiane erano sotto la soglia 1 dell’indice Rt, tranne il Molise e la provincia autonoma di Bolzano.

Argomenti

Iscriviti a Money.it