Perché il Covid in Cina spaventa di nuovo l’economia globale

Violetta Silvestri

06/04/2022

06/04/2022 - 16:33

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La Cina alle prese con l’impennata dei contagi è una brutta notizia per l’economia globale. Chiusa nella strategia zero-Covid, la nazione sta bloccando intere città. Una minaccia per il commercio.

Perché il Covid in Cina spaventa di nuovo l’economia globale

La Cina va in lockdown e il commercio globale, di nuovo, trema.

Non c’è soltanto la guerra in Ucraina a mettere in difficoltà le catene di approvvigionamento e le forniture di gas, già in affanno nel post-pandemia. Il dragone in preda alla rigida politica del Covid-Zero, con città cruciali che chiudono le loro attività produttive, appare come una minaccia per diversi settori economici.

Il Paese ha segnalato più di 20.000 nuovi casi giornalieri nella giornata del 5 aprile, guidati dall’aumento delle infezioni a Shanghai, dove 25 milioni di residenti sono stati confinati nelle loro case in un blocco prolungato inteso ad arginare la diffusione del virus.

Cosa significa tutto questo per gli scambi commerciali nel mondo e per i prezzi globali già alle stelle?

Cina in allarme Covid: perché l’economia mondiale trema

L’allerta su quanto sta accadendo in Cina arriva innanzitutto dalle imprese europee che operano nella nazione asiatica, che stanno lottando per far fronte a blocchi imposti in varie città.

Il principale gruppo imprenditoriale europeo cinese ha avvertito, infatti, che la strategia di Pechino Covid-Zero sta danneggiando l’attrattiva di Shanghai come hub finanziario.

Nomura ha stimato che un totale di 23 città cinesi hanno implementato blocchi totali o parziali, che collettivamente ospitano circa 193 milioni di persone e contribuiscono al 22% del Pil cinese.

La Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina ha affermato che la politica rigorosa cinese stava causando crescenti difficoltà nel trasporto di merci attraverso le province e attraverso i porti, danneggiando la produzione delle fabbriche.

Il presidente della Camera Joerg Wuttke ha detto che ciò avrebbe probabilmente un impatto sulla capacità della Cina di esportare, il che potrebbe alla fine alimentare l’inflazione.

Alcuni economisti hanno abbassato le previsioni di crescita per la prima metà del 2022, poiché l’ondata di Covid, che arriva tra la persistente debolezza immobiliare e le incertezze globali, rende più difficile per la Cina raggiungere il suo obiettivo per l’intero anno di circa il 5,5%.

La Bank of Communications, con sede a Shanghai, ha ridotto le sue previsioni per la crescita del Pil cinese nel primo trimestre dal 5% al ​​4%, con il calo dovuto esclusivamente al rallentamento dell’attività a marzo, ha affermato l’economista senior Tang Jianwei.

Si teme anche una crisi agricola

I severi blocchi della Cina stanno esacerbando la grave carenza di fertilizzanti, manodopera e semi, proprio mentre molte delle più grandi province agricole del Paese si preparano per la loro cruciale stagione di semina primaverile.

Secondo i dati ufficiali, ben un terzo degli agricoltori nelle province nord-orientali di Jilin, Liaoning e Heilongjiang non dispone di risorse agricole sufficienti dopo che le autorità hanno chiuso i villaggi per combattere la pandemia. Le tre province rappresentano oltre il 20% della produzione cerealicola cinese.

Un calo della produzione di cereali cinesi coltivati ​​in primavera, come riso o mais, potrebbe minare lo sforzo decennale di Pechino per raggiungere l’autosufficienza negli alimenti di base, costringendola ad aumentare le importazioni e potenzialmente aumentando l’inflazione globale dei prezzi alimentari.

Non solo, secondo il Governo provinciale di Jilin, circa un terzo degli agricoltori non aveva abbastanza fertilizzanti alla fine di marzo, solo tre settimane prima dell’inizio della semina.

Gli agricoltori e i dirigenti delle fabbriche hanno accusato l’intransigente politica zero-Covid della Cina, in base alla quale le autorità hanno adottato severi controlli che vanno dai divieti del traffico alla chiusura delle attività produttive.

Carenze agricole e di materie prime legate al settore in Cina, oltre che di fertilizzanti, non fanno altro che peggiorare lo shock mondiale dell’offerta. Con inevitabile aumento dei prezzi.

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