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di Glauco Maggi

L’occasione mancata di Biden: colpire Putin a colpi di barile

Glauco Maggi

8 marzo 2022

L'occasione mancata di Biden: colpire Putin a colpi di barile

Il presidente degli Stati Uniti aveva l’occasione per colpire davvero la Russia e il suo presidente: smettere di comprare il petrolio e iniziare a produrre più energia in America.

La settimana scorsa Joe Biden aveva la grande chance di lanciare un forte, convincente messaggio agli americani (oltre che al mondo) per invertire il costante collasso del suo rating e aiutare gli ucraini. Non capita spesso che un presidente abbia a sua disposizione il pulpito delle reti tv unificate, nella solennità del Discorso annuale sullo Stato dell’Unione, mentre succedono tutti assieme tre eventi di una portata tale da essere uno stimolo a fare subito qualcosa di forte, di ben visibile per l’opinione pubblica: il sondaggio Washington Post-Abc News che gli dà il 37% di approvazione e il 55% di disapprovazione, record negativo della sua presidenza da due media amici; Putin che invade l’Ucraina e fa strage di civili; il prezzo del petrolio che sfonda il tetto dei 100 dollari al barile trascinando l’inflazione al suo massimo da 40 anni.

Era uno scenario da super-audience. Sulla carta, almeno: in realtà solo 38 milioni di americani hanno poi seguito il discorso, contro i 48 milioni del primo mandato di Obama e i 45,5 di Trump, a conferma della moscia personalità di Biden e del suo scarsissimo appeal. Eppure il popolo americano era sotto choc per la bestialità del criminale di guerra del Cremlino, e commosso dall’eroismo dei 40 milioni di ucraini guidati da Volodymyr Zelenskyyl, il leader già entrato nel mito (il suo “la lotta è qui; mi servono munizioni, non un passaggio”, detto agli Usa che gli offrivano di farlo fuggire, rimarrà nella Storia insieme al “Mr. Gorbaciov, butta giù questo muro” di Ronald Reagan a Berlino nel 1987).

Ma oltre alla tensione per i venti di guerra, le famiglie americane, colpite nel portafoglio dal costo crescente del gasolio per riscaldarsi e della benzina per usare l’automobile, si aspettavano idee e impegni dal loro presidente. La gente sa, perché il nesso è facile da vedere, che meno petrolio e gas naturale vengono estratti in America, più si alza il prezzo per i consumatori costretti ad acquistare energia da fuori. Dalla Russia, nientemeno. Nel 2021, gli Usa hanno comprato da Mosca una media di 209mila barili al giorno di petrolio grezzo e 500mila barili al giorno di altri derivati fossili (Fonte: Afpm, associazione dei produttori americani di carburanti e prodotti petroliferi).

E questo è, purtroppo per gli americani e gli ucraini, il treno che Biden si è fatto scappare. Poteva saltare sulla drammaticità del momento per annunciare lo stop immediato all’acquisto americano di energia da Putin. Poteva ricordarsi che era stato in passato un centrista, un moderato, e l’invasione russa era l’occasione giusta per rilanciare lo slogan della “indipendenza energetica americana”, obiettivo che piace a tutta la gente normale, non ossessionata dall’ambientalismo esasperato. Vero che erano state le politiche di Trump (via libera al fracking e alle trivellazioni) a trasformare gli Usa in esportatore netto e primo produttore di petrolio e gas al mondo a fine 2020.

Poi Biden aveva capovolto la strategia pro-fossili appena entrato alla Casa Bianca, cancellando i piani per l’oleodotto Keystone XL e bloccando i permessi per le estrazioni in Alaska, in Texas e in altri stati. Il risultato è stato, lo dice l’agenzia governativa Energy Information Administration, che gli Stati Uniti stanno producendo mediamente 1,2 milioni di barili di petrolio in meno rispetto al 2020. E 1,2 milioni di barili, moltiplicati per 115 dollari (il prezzo al barile del 4 marzo) significano un mancato introito di 115 milioni di dollari al giorno per gli Usa. I 115 milioni di mancato introito sono ovviamente una proiezione ipotetica per dare l’idea del danno inferto alla economia Usa, poiché nessuno può sapere quale sarebbe oggi il prezzo per barile se l’America non avesse tagliato di 1,2 milioni di barili la propria produzione. La cosa indubitabile è che è stato un salasso per le casse americane, e contemporaneamente un trasferimento di ricchezza agli altri produttori, molti dei quali ostili, ai quali gli Usa si sono dovuti rivolgere nell’ultimo anno.

Inoltre, fatale per il rating di Biden, c’era la pressione dell’inflazione. Se una merce scarseggia il suo prezzo sale, e gli americani lo notano alla pompa di benzina: quando Trump lasciò la carica, il prezzo medio nazionale al gallone (circa 3,9 litri) era di 2,59 dollari; ora è a 3,49 e va verso i 4, con certi Stati (California e New York) addirittura vicini ai 5 dollari, secondo Stephen Moore, economista senior presso il pensatoio FreedomWorks.

Ricapitolando: se la Russia finanzia la sua aggressione con i proventi del proprio petrolio, non comprarne è la prima mossa di chi intende condannare Putin sul serio; se l’America ha riserve fossili e si autolimita nel produrle fa il gioco della Russia sul piano militare e fa male al portafoglio dei cittadini Usa che subiscono i rincari della benzina in patria. Biden, quindi, aveva validissimi motivi, di sicurezza ed economici, per annunciare una svolta che avrebbe rappresentato una win-win situation.

Poteva congelare l’ideologia del Green New Deal dei Sanders e della Ocasio Cortez, che del resto non era stata neppure al centro della sua campagna elettorale ma che lui aveva abbracciato solo dopo il voto, vinto peraltro con una percentuale tanto risicata da non costituire affatto il trampolino per un mandato tanto radicale. Poteva persino, visto che era stato il vice di Obama che l’aveva applicato in Libia (dietro Francia e Ue), seguire il modello non proprio eroico del “leading from behind”, del “guidare da dietro”, che stavolta sarebbe stato comunque un successo. Bastava, a Biden, imitare il nuovo leader tedesco, Olaf Scholz (socialdemocratico!), che ha ribaltato dieci anni di Ost-Politik filo russa di Angela Merkel (la ex capa della CDU cristiano-democratica).

I tedeschi avevano infatti commesso il suicidio economico-politico consegnando alla Russia l’appalto del proprio benessere energetico, con un programma accelerato di uscita dal fossile e di chiusura delle centrali nucleari, in aggiunta alla approvazione e compartecipazione al famigerato oleodotto Nord Stream 2 caro ai russi e letale per Kiev. Di fronte all’invasione di Putin, però, il cancelliere Scholz ha visto la luce. In una storica seduta domenicale (mai successo prima) del parlamento, il leader di Berlino ha annunciato la decisione del suo governo di bloccare l’oleodotto Nord Stream 2 e di costruire due porti in grado di ricevere gas naturale liquido non russo (anche americano), di fornire armi a Kiev, di lanciare sanzioni contro la Russia, e di alzare la spesa per la difesa dall’1,5% al 2% annuo del bilancio (come la Nato aveva stabilito da anni, e come Trump da presidente aveva chiesto di fare ai paesi membri inadempienti, senza convincere tutti, e tanto meno la Merkel).

Presente l’ambasciatore ucraino Andriy Melnyk, Scholz, sommerso dagli applausi di tutti i parlamentari eccetto quelli del gruppo parlamentare di estrema destra, ha detto che “la guerra d’aggressione a sangue freddo ha marcato un punto di svolta nella storia del continente”. Biden il filmato l’avrà visto di sicuro, ma due giorni dopo, nel suo discorso al Congresso Usa unificato, non ha lanciato la stessa rivoluzione, pacifica ma devastante per Putin, del cancelliere tedesco. Mentre la Germania ha gettato il cuore oltre all’ostacolo (il paese dipende per il 40% dei suoi consumi dal gas russo), il presidente americano (anche se gli Usa ne comprano per meno del 3%) non ha corretto di un baffo l’estremismo ideologico verde che domina il partito democratico Usa.

Eppure, scartata l’opzione di usare i soldati per aiutare Zelenski, l’arma più micidiale e strategica di cui dispongono gli Stati Uniti per far male davvero a Putin, insieme alle sanzioni, è produrre più energia in America. Per gli americani e per gli alleati europei.

Glauco Maggi

Giornalista dal 1978, vive a New York dal 2000 ed è l'occhio e la penna italiana in fatto di politica, finanza ed economia americana per varie testate nazionali

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