Marketing Rising Stars

Marketing Rising Stars

di Luigi Caputo

Marketing, è finita l’epoca della dittatura del ROI? Le aziende vendono la vision

Luigi Caputo

18 maggio 2021

Marketing, è finita l'epoca della dittatura del ROI? Le aziende vendono la vision

Si sta affermando una nuova generazione di marketing manager che fa leva sui valori di un brand come volano per le vendite. Spesso la visione di un’azienda ha un impatto molto più potente di ciò che la dottrina tradizionale ha sempre posto come prioritario: il ritorno sull’investimento. Fabio Bin, Chief Marketing Officer di WeRoad, spiega come ha applicato questo approccio con successo.

Si può andare oltre il concetto del ROI nel marketing? Forse non bisognerebbe porla come una domanda, ma accettare che i tempi sono cambiati e non tutto è più misurabile. Non è un caso che Marketing Rising Stars venga inaugurato con questa domanda, che a tratti può sembrare una provocazione.

Cos’è, dopotutto, il ritorno sull’investimento? In un mondo fluido in cui le persone sono costantemente colpite da migliaia di messaggi, un brand non può più calcolare il suo successo con una fredda operazione matematica.

È proprio da questa constatazione che parte il racconto della nuova generazione del marketing, che affianca al ROI un valore intangibile e potentissimo: la visione di un brand come costruzione di un universo per i propri clienti e come volano per le vendite.

Ne abbiamo parlato con Fabio Bin, co-founder e Chief Digital & Marketing Officer di WeRoad, azienda di viaggi esperienziali che sta portando avanti questo approccio con successo.

Fabio, insieme al suo team, ha fatto della vision di WeRoad il punto centrale della comunicazione, arrivando a costruire una community di viaggiatori che è diventata fan del brand, prima che cliente.

Fabio dalla tua esperienza si può dire che la costruzione di una community è il miglior investimento per un’azienda nel lungo periodo?

Può sembrare strano, ma in WeRoad siamo partiti da subito con una strategia marketing non improntata alla vendita. Abbiamo capito che il nostro target (giovani adulti con una buona capacità di spesa) doveva essere intercettato con del valore, più che con offerte. Che, prima di concentrarci sulla vendita, dovevamo pensare a come diventare rilevanti per i nostri potenziali clienti.

Le nostre prime campagne erano quasi unbranded, c’erano pochissimi riferimenti all’azienda. Abbiamo puntato piuttosto su una visione: il viaggio come elemento di trasformazione della persona. Nei nostri primi video il logo di WeRoad era solo nel frame finale, esattamente il contrario del classico paradigma delle video strategy del marketing digitale, che vuole il brand presente nei primi secondi.

Come avete applicato questo concetto nel pratico?

Con i contenuti. Abbiamo sempre pensato a proporre contenuti che fossero rilevanti per l’audience. Nei primi feedback raccolti il target ci scambiava addirittura per una pagina Instagram e per una media company, più che per un’azienda che vende viaggi. Ed è proprio questo il punto: oggi il cliente si avvicina quando gli offri del valore, quando gli dai qualcosa di rilevante e progressivamente lo porti a sentirsi parte di una community che fruisce di quei contenuti che rispecchiano la sua condizione e i suoi desideri.

Ti faccio l’esempio dell’apertura del mercato in Spagna. Abbiamo iniziato ad applicare questa strategia tre mesi prima del lancio, pianificando contenuti di impatto sulle esperienze dei viaggi. Intorno a questi contenuti si è poi sviluppata una community di persone, che in automatico è diventata la nostra prima base clienti.

Il nostro funnel parte appunto da un contenuto che esprime valori in cui il target si ritrova. Questo è il gancio che porta gli utenti a conoscerci. Da questo interagiscono con il brand e poi, solo alla fine, si arriva anche all’acquisto di un viaggio. Se avessimo iniziato questo percorso con un prezzo o con uno sconto non avremmo costruito nessun valore, nessuna relazione.

Quindi una strategia basata sui contenuti. Ma solo digitali?

Assolutamente no. La nostra vision è connettere Culture e Storie attraverso i viaggi. Questo concetto non si esprime solo sui social. Anzi, noi partiamo dall’offline. Creiamo occasioni di incontro fisico per i nostri prospect in modo che possano capire cosa significhi far parte della community WeRoad. Questi incontri, che sono degli aperitivi e che chiamiamo AperiRoad in Italia e Webares in Spagna, si sono trasformati in un appuntamento fisso. Oggi partecipa anche chi ha già viaggiato con WeRoad, che spontaneamente si fa ambassador del brand per spiegare l’esperienza a chi si sta avvicinando.

Si può dire che alla generazione dei Millennials e a quelle più giovani si vende la visione prima del prodotto?

Bisogna fare un cambio di prospettiva, ossia partire dal DNA del brand e non dal prodotto finale. In WeRoad, per esempio, partiamo dal presupposto che siamo un’azienda che connette persone attraverso esperienze, storie e culture. Vista in questo modo, il viaggio è solo uno dei possibili prodotti che possiamo vendere, non l’unico.

Così si inseriscono anche gli eventi, gli aperitivi, i semplici weekend: ossia tutto ciò che rispecchia la vision dell’azienda. Gli utenti sentono di appartenere a un insieme di valori, e non a un marketplace in cui prenotare solo la vacanza. Questo sicuramente funziona con le nuove generazioni ma direi in generale anche con le nuove generazione di consumatori.

Arriviamo quindi al punto fondamentale: si deve e si può uscire dalla dittatura della misurazione del ROI?

È evidente che il digitale ha portato una cultura esasperata della performance e della sua misurazione. Tutto questo è corretto. Però non tutto è misurabile in natura.
Se dovessimo ragionare in questi termini, i nostri aperitivi potrebbero essere quasi un investimento a perdere. Come fai a misurare quanto vale il feedback positivo raccontato in una conversazione face to face tra chi ha già viaggiato e chi si sta avvicinando al brand? Ci sarà qualche collega fan della performance e della misurazione che dirà che esistono modelli per farlo. Io penso più pragmaticamente che non sia possibile. O che non valga nemmeno la pena farlo. Eppure quella azione può avere un impatto perfino più grande di una pianificazione media.

Oltre a questo tipo di dittatura bisognerebbe uscire anche da quella della frammentazione organizzativa del marketing in azienda. Si tende a organizzare il marketing in tanti compartimenti autonomi, che spesso non comunicano tra loro. Ci sono i social, la comunicazione, le PR, il media: tante unità che non interagiscono e che seguono strade differenti, spesso con obiettivi in conflitto.

Invece hanno la stessa missione, e per questo bisognerebbe tornare a un modello di organizzazione nel marketing più integrata, con dipartimenti “porosi” e obiettivi condivisi. Oltre a questo c’è il tema dell’agilità e della velocità: in WeRoad ad esempio non abbiamo agenzie esterne, ma gestiamo tutto in casa, questo ci permette di essere sempre allineati su obiettivi definiti, chiari e comuni ma soprattutto di essere veloci e costantemente responsabilizzati.

Grazie del tuo prezioso intervento Fabio
Grazie a te e al pubblico di Money.it

L’esempio di Fabio e del suo approccio in WeRoad aprono a molteplici riflessioni su come e quanto stiano cambiando i paradigmi del marketing. Il successo di una strategia oggi si misura anche dall’impatto che ha un brand nella società, non solo dal ritorno economico. Ma questa è solo la prima puntata del viaggio di Marketing Rising Stars.

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